INFEZIONI SECONDARIE AD INTERVENTO CHIRURGICO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
L’intervento chirurgico è una procedura invasiva in quanto prevede l’accesso alle cavità corporee e quindi agli organi e ai tessuti. In seguito ad un intervento chirurgico possono insorgere delle infezioni (c.d. secondarie) a carico della ferita chirurgica, del tessuto o dell’organo interessato, soprattutto se i professionisti sanitari non seguono le linee guida e i protocolli o mettono in atto degli atteggiamenti che aumentano il rischio di contaminazione.
Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico sono quindi delle infezioni ospedaliere/nosocomiali, correlate all’assistenza, che vengono acquisite in ambiente ospedaliero.
È opportuno ricordare che in caso di trasmissione di infezioni secondarie ad intervento chirurgico nosocomiali/ospedaliere potrebbe essere possibile chiedere il risarcimento dei danni all’Ospedale che è responsabile della carenza organizzativa o se il personale medico dovesse commettere degli errori (potrebbe sbagliare, confondersi, essere negligente ecc.). Anche in questo caso sarà opportuno rivolgersi ad un avvocato esperto in malasanità per chiedere il risarcimento dei gravi danni subiti quali, ad esempio, danni da perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza per morte del paziente, o per l’accelerazione del decesso, o una perdita di chance di conservare una vita migliore
È fondamentale la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico poiché queste possono essere responsabili di gravi complicanze che nei casi più gravi possono anche essere fatali (morte per infezione del sito chirurgico).
La diagnosi precoce e il trattamento tempestivo delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico riducono sicuramente l’incidenza di esiti avversi.
Le infezioni ospedaliere/nosocomiali rispecchiano la qualità delle cure erogate poiché sono delle complicanze conseguenti agli interventi chirurgici e che si possono evitare.
Come insorgono le infezioni secondarie ad intervento chirurgico
Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico sono causate dalla trasmissione dei microrganismi patogeni attraverso il contatto diretto tra un presidio medico, oggetti o strumenti chirurgici contaminati e il paziente, fra un paziente con infezione e un paziente sano o fra pazienti e professionisti sanitari.
L’intervento chirurgico, essendo una procedura invasiva che prevede l’esposizione a sangue, ai tessuti, agli organi e ai fluidi corporei, comporta un elevato rischio di trasmissione di agenti patogeni. Il rischio di trasmissione di microrganismi patogeni si correla anche al tipo di intervento chirurgico, al paziente e alle condizioni del campo chirurgico.
Il rischio di insorgenza di un’infezione secondaria ad intervento chirurgico aumenta quando:
1) non viene predisposto un campo operatorio sterile prima dell’inizio dell’intervento chirurgico.
Prima dell’inizio di qualsiasi intervento chirurgico, fondamentale per mantenere l’asepsi in sala operatoria ed evitare la contaminazione del sito chirurgico da parte di microrganismi patogeni, deve essere preparato il campo sterile.
Il campo sterile comprende: il paziente, i chirurghi, lo strumentista, il tavolo sul quale vengono posti gli strumenti e tutto ciò che viene ricoperto sterilmente.
L’operatore strumentista, dopo aver eseguito il lavaggio delle mani e la vestizione con camice e guanti sterili, cuffietta, mascherina e visiera, prepara un tavolo con tutta l’attrezzatura occorrente per l’intervento. Il tavolo deve essere ricoperto con un telo sterile, facendo attenzione a non toccare ciò che non è sterile per non contaminare il campo che si sta per preparare; poi sistema sul tavolo i ferri chirurgici, dopo essersi accertato che questi siano stati sottoposti al processo di sterilizzazione, e tutto l’altro occorrente sterile (guanti, aghi, fili, strumenti).
Dopo aver disinfettato la cute del sito chirurgico questo viene delimitato con un telo sterile. I chirurgi che eseguono l’intervento devono maneggiare e toccare solo ciò che è sterile.
Sul campo operatorio deve essere posizionato quindi solo materiale sterile e deve essere evitata qualsiasi tipo di contaminazione esterna per questo gli operatori devono sapere come muoversi in sala operatoria;
2) non vengono somministrati antibiotici ad ampio spettro come profilassi prima, durante o dopo gli interventi chirurgici invasivi. Alcuni interventi chirurgici prevedono la profilassi antibiotica per limitare l’insorgenza delle infezioni postoperatorie.
La profilassi antibiotica deve essere eseguita solo quando raccomandato dalle linee guida basate sulle evidenze scientifiche aggiornate; l’uso sproporzionato di antibiotici può causare antibiotico resistenza.
Si parla di antibiotico resistenza quando i microrganismi patogeni acquisiscono resistenza nei confronti di determinati antibiotici e quindi questi antibiotici risultano inefficaci per il loro trattamento. Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico provocate da microrganismi patogeni resistenti agli antibiotici saranno quindi più difficili da trattare.
Anche in caso di trasmissione di infezioni nosocomiali secondarie ad intervento chirurgico potrebbe essere possibile chiedere il risarcimento dei danni all’Ospedale che è responsabile della carenza organizzativa che ha provocato il contatto tra il paziente e l’agente patogeno o se il personale medico dovesse commettere degli errori (potrebbe sbagliare ad effettuare la sterilizzazione degli strumenti o del tavolo operatorio, potrebbe sbagliare nella disinfezione delle mani, potrebbe essere negligente ecc.): risulterà opportuno, quindi, rivolgersi ad un avvocato esperto in malasanità per individuare i possibili danni patiti e chiedere un giusto risarcimento.
La somministrazione degli antibiotici come profilassi dipende dal tipo di intervento, dal sito corporeo interessato, dalla durata dell’intervento, dalle condizioni cliniche del paziente e da patologie preesistenti.
3) vengono utilizzati strumenti chirurgici che non hanno subito il processo di sterilizzazione e che sono quindi contaminati.
Prima di porre gli strumenti chirurgici sul campo operatorio sterile, l’operatore deve verificare che questi siano stati correttamente sottoposti al processo di sterilizzazione e che siano quindi sterili.
Uno strumento si definisce sterile quando la probabilità di trovare un microrganismo patogeno sulla sua superficie è inferiore ad uno su un milione. Per raggiungere questo obiettivo gli strumenti vengono messi in un’autoclave, un macchinario che utilizza vapore saturo ad una temperatura di 121°C sotto pressione in modo di inattivare ed eliminare completamente i microrganismi presenti.
Prima di essere messi in autoclave, gli strumenti devono essere sottoposti ad una procedura che prevede otto fasi: raccolta degli strumenti; decontaminazione con applicazione di disinfettanti; lavaggio; risciacquo; asciugatura; controllo; confezionamento; sterilizzazione.
Dentro e fuori le confezioni in cui sono contenuti gli strumenti, viene applicata un indicatore di sterilità, che al termine del processo di sterilizzazione, si colora se la sterilizzazione è avvenuta correttamente. Sulle confezioni vengono anche applicate delle etichette che riportano la data in cui è avvenuta la sterilizzazione e la scadenza.
Nel caso in cui l’autoclave non funzioni e lo strumento non ottiene adeguata sterilizzazione, questa carenza della struttura ospedaliera può essere fonte di responsabilità medica o sanitaria e, quindi, la struttura potrebbe essere chiamata al risarcimento dei danni patiti dal paziente o dai suoi familiari (madre, padre, marito, moglie, convivente, partner, figlio, figlia, sorella, fratello ecc.).
3) Non viene disinfettata la cute prima della sua incisione. Prima di procedere con l’incisione del sito chirurgico si deve eseguire la disinfezione della cute in maniera corretta per evitare che i microrganismi commensali (lo staphylococcus epidermidis e lo staphylococcus aureus) presenti sulla sua superficie cutanea penetrino negli strati più profondi provocando l’infezione.
Le garze sterili, posizione su un apposito ferro chirurgico, devono essere imbevute con una soluzione a base alcolica. L’operatore con il ferro chirurgico procedere con la disinfezione della cute sul sito di incisione, partendo dalla parte più interna per poi dirigersi verso quella più esterna. Questo procedimento deve essere eseguito per tre volte eliminando la garza utilizzata per la disinfezione dal campo operatorio.
La disinfezione deve interessare un’area vasta. Dopo aver disinfettato la cute viene posto un telo sterile sul paziente in modo da isolare il sito chirurgico.
4) I chirurghi e l’altro personale sanitario che lo assiste non indossano guanti sterili e gli altri dispositivi di protezione individuale quali il camice, la cuffietta e la mascherina chirurgica.
Per prevenire la contaminazione del campo operatorio anche i chirurghi e gli operatori direttamente coinvolti nell’intervento devono essere sterili.
Prima di iniziare l’intervento, i chirurgi devono prepararsi indossando la cuffietta, la mascherina chirurgica, la visiera e, dopo aver eseguito il lavaggio delle mani, il camice e i guanti sterili.
Dopo questa vestizione, gli operatori possono toccare solo ciò che è sterile.
5) Al termine dell’intervento chirurgico vengono dimenticate garze o altri strumenti chirurgici all’interno delle cavità corporee.
Per evitare che vengano dimenticate garze o altri strumenti all’interno di cavità corporee deve essere eseguita e registrata la conta di questi strumenti tre volte: prima dell’inizio dell’intervento, prima della chiusura delle cavità corporee e al termine dell’intervento. Tutte e due le volte successive alla prima, la conta degli strumenti deve combaciare a quella iniziale; se la conta non coincide, l’intervento non deve proseguire finché la conta non risulta esatta.
La dimenticanza di strumenti all’interno delle cavità corporee, essendo corpi estranei, può essere la causa di un’infezione postoperatoria la quale è conseguente ad un errore medico evitabile dovuta a negligenza.
Se si ritiene di essere stati vittima di un errore medico per infezione secondaria ad intervento chirurgico e dimenticanza di una garza o di uno strumento nell’organismo, ci potrebbe essere una colpa medica dell’Ospedale o un caso di malasanità e potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per responsabilità e colpa medica.
6) I professionisti sanitari non eseguono il lavaggio delle mani prima dell’intervento chirurgico.
Il lavaggio chirurgico delle mani permette di eliminare la flora transitoria, inibire la crescita dei batteri sotto i guanti e ridurre la flora residente e viene eseguito utilizzando un sapone antisettico.
Il lavaggio delle mani deve essere eseguito prima di qualsiasi intervento chirurgico; solo dopo aver eseguito il lavaggio delle mani è possibile indossare i guanti sterili.
I microrganismi patogeni responsabili delle infezioni secondarie agli interventi chirurgici possono essere:
- staphylococcus aureus: è un batterio gram positivo aerobio commensale presente sulla cute e sulle mucose;
- enterobatteriacee: sono dei batteri presenti nell’intestino;
- staphylococcus epidermidis: è un batterio gram positivo che colonizza la cute e a volte lo si può ritrovare anche nelle mucose;
- escherichia coli: è un batterio facente parte della flora intestinale.
Quali sono le infezioni secondarie ad intervento chirurgico
Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico sono tutte quelle infezioni che si manifestano dopo che il paziente è stato sottoposto, per l’appunto, ad un intervento chirurgico durante il quale è avvenuta la contaminazione di un organo o tessuto da parte di microrganismi patogeni. Gli interventi chirurgici aumentano il rischio di contaminazione e quindi di infezione, perciò, per evitare che ciò avvenga devono essere rispettati i protocolli da parte del personale sanitario per la prevenzione delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico che prevedono in linea generale il rispetto dell’asepsi e della sterilità e la somministrazione di profilassi antibiotica ove raccomandato, secondo le linee guida.
Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico possono essere:
- infezioni del sito chirurgico in base al sito corporeo che ha interessato l’intervento. Le infezioni del sito chirurgico possono essere superficiali se coinvolgono la cute e il sottocute o profonde quando coinvolgono gli strati muscolari e i tessuti molli adiacenti al sito chirurgico. Le infezioni del sito chirurgico possono riguardare anche l’organo o uno spazio corporeo che è stato manipolato durante l’intervento;
- peritonite: infezione del peritoneo (membrana che riveste la cavità addominale e protegge gli organi). La peritonite può essere una complicanza postoperatoria di un intervento chirurgico che ha interessato la cavità addominale come l’accidentale perforazione di un organo addominale che può avvenire a causa di un errore medico o dalla deiscenza di una sutura chirurgica;
- mediastinite: infezione del mediastino ovvero la parte del torace che contiene alcuni organi e grossi vasi, tra cui il cuore. Questa infezione può verificarsi in seguito ad un intervento chirurgico a livello del torace o da una lacerazione dell’esofago;
- endocardite: infezione dell’endocardio (cavità che riveste le cavità del cuore e le valvole cardiache) che si possono verificare in seguito ad un intervento chirurgico che ha interessato il cuore;
- osteomielite: infezione delle ossa che può verificarsi in seguito ad interventi chirurgici che prevedono l’esposizione del tessuto osseo o a partire da un’altra infezione collocata in una sede differente.
Qualora vi siano i presupposti, il paziente o i familiari o gli eventuali eredi in caso di morte della moglie o del feto, neonato, o bambino per il decesso del figlio – potrebbero dunque chiedere il risarcimento dei danni per infezione secondaria ad intervento chirurgico per essere stati vittime di un caso di malasanità a causa di un intervento sbagliato, di un errata adesione dei protocolli. Lo studio legale o l’avvocato, preferibilmente specializzati in danni da responsabilità medica, insieme al proprio medico legale, valuteranno se vi sia o meno la possibilità di chiedere i danni per infezione secondaria ad intervento chirurgico all’Ospedale, all’Assicurazione, al medico al chirurgo e più in generale ai medici coinvolti. Con lo Studio legale Marzorati non dovrai anticipare il compenso per l’avvocato malasanità, il medico legale e lo specialista e neppure per la perizia medico legale (ossia un parere medico con una relazione medico legale).
La diagnosi delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico
La diagnosi delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico prevede la valutazione clinica, l’esecuzione di esami di laboratorio e l’esecuzione di esami strumentali.
Il paziente con un’infezione secondaria ad intervento chirurgico può manifestare uno o più dei seguenti segni e sintomi:
- febbre;
- presenza di rossore, dolore, riduzione della funzionalità e calore a livello del sito corporeo in cui si è sviluppata l’infezione;
- aumento della frequenza cardiaca (tachicardia);
- riduzione della pressione arteriosa (ipotensione);
- stanchezza;
- inappetenza;
- mal di testa;
- debolezza.
In presenza di questi segni devono essere eseguiti, in prima battuta, ulteriori accertamenti che permettono di definire la diagnosi di infezione secondaria ad intervento chirurgico e di individuare qual è l’agente patogeno che l’ha provocata così da iniziare in maniera tempestiva la terapia più corretta per guarire l’infezione in tempo.
Sono generalmente richiesti esami di laboratorio quali:
- l’emocromo: un aumento dei leucociti (globuli bianchi) si traduce nella presenza di un processo infettivo e la PCR (proteina C reattiva) e pro-calcitonina il cui loro aumento è indice di infezione. Questi esami si eseguono con un prelievo di sangue venoso;
- colture: consistono nel prelievo di un campione di sangue venoso o di urina con delle apposite provetto. Grazie alle colture, attraverso tecniche di laboratorio, è possibile isolare eventuali microrganismi patogeni presenti.
Gli esami strumentali quali ecografie, TAC, risonanza magnetica permettono invece di rilevare la presenza di eventuali danni a carico degli organi dovuti al processo infettivo stesso.
In mancanza potrebbe sorgere una responsabilità in capo alla struttura o all’ospedale per malasanità e potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per responsabilità e colpa medica.
Il trattamento delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico
La somministrazione della terapia antibiotica è il primo passo per il trattamento delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico. Si comincia somministrando antibiotici ad ampio spettro ovvero quegli antibiotici rivolti contro più microrganismi patogeni. Successivamente, dopo che è pervenuto l’esito dell’antibiogramma, si procede con la somministrazione di antibiotici specifici in grado di debellare il microrganismo che ha provocato l’infezione. L’antibiogramma viene eseguito sulla base del risultato delle colture: dopo aver isolato l’agente patogeno questo lo si fa reagire con più antibiotici in modo tale da rilevare la sua sensibilità e la sua resistenza nei confronti di quest’ultimi. Per il trattamento dell’infezione, vengono scelti dal medico, quegli antibiotici per i quali il microrganismo patogeno risulta essere sensibile.
In alcuni casi, per il trattamento delle infezioni secondarie ad intervento chirurgico, è necessario anche il ricorso alla chirurgia come per il drenaggio degli ascessi o la rimozione del focolaio di infezione.
Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico ed errori medici
Le infezioni secondarie ad intervento chirurgico possono essere il risultato di errori commissivi od omissivi che possono essere fatti prima o durante l’intervento stesso da parte di tutta l’equipe chirurgica (medici, infermieri, strumentisti, operatori sociosanitari), quali ad esempio:
- mancato lavaggio delle mani prima dell’intervento chirurgico;
- inadeguata preparazione del campo sterile;
- mancata disinfezione del sito chirurgico prima dell’incisione;
- utilizzo di strumenti chirurgici che non sono stati sottoposti al processo di sterilizzazione;
- utilizzo di presidi medici e di macchinari per l’anestesia contaminati;
- mancato utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (mascherina chirurgica, guanti sterili, visiera, cuffietta, camice sterile);
- mancata somministrazione della profilassi antibiotica quando raccomandata dalle linee guida;
- dimenticanza di garze sterili o altri strumenti utilizzati durante l’intervento (aghi, ferri chirurgici) all’interno delle cavità corporee;
- inadeguata medicazione e disinfezione della ferita chirurgica.
Una volta che l’infezione insorge questa può provocare delle gravi complicanze che se non diagnosticate precocemente e di conseguenza trattate tempestivamente possono essere fatali per il paziente (morte per infezione secondaria ad intervento chirurgico).
I medici/gli specialisti/i chirurghi potrebbero, quindi, commettere errori o incorrere in colpa medica a seguito di un’infezione secondaria ad intervento chirurgico per i quali potrebbe essere responsabile anche la struttura ospedaliera (con obbligo di risarcimento dei danni in favore del paziente e dei suoi familiari), quali ad esempio:
- diagnosi errata;
- errata interpretazione degli esami di laboratorio e degli esami strumentali;
- trattamento errato;
- trattamento intempestivo;
- mancato riconoscimento dei segni e dei sintomi di infezione;
- somministrazione di antibiotici errati;
- mancato ricorso alla chirurgia per il trattamento dell’infezione quando indicato.
Risarcimento dei danni in caso di infezioni secondarie ad intervento chirurgico
Come facilmente comprensibile, le infezioni secondarie ad intervento chirurgico possono avere conseguenze così gravi che possono essere invalidanti in modo permanente per il paziente, il quale per tutta la vita potrebbe subire le conseguenze della colpa medica o della responsabilità dell’ospedale per il trattamento errato o per la diagnosi ritardata dell’infezione o per l’errore nello svolgimento dell’antibiogramma e la conseguente prescrizione di un farmaco resistente al batterio che provoca l’infezione. Tali conseguenze possono sfociare in seri danni per il paziente: tra questi il danno non patrimoniale che ricomprende il danno biologico per la lesione all’integrità psico-fisica del danneggiato, il danno morale per le sofferenze patite o, nei casi, più gravi il danno da morte o da perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza); ma anche il danno patrimoniale che ricomprende il danno emergente (spese effettuate), il lucro cessante (guadagni persi o diminuiti), determinazione spese future ecc.
Per questo motivo rivolgersi ad un avvocato esperto in casi di malasanità e risarcimento danni da responsabilità medica può essere determinante per il paziente, il quale avrà la possibilità di essere seguito da un Professionista legale coadiuvato da un medico legale che svolga gli accertamenti diagnostici che portano alla redazione di una perizia medico legale con la relativa quantificazione dei danni subiti.
Nel caso in cui l’esito della cura dovesse essere infausto e, quindi, il paziente dovesse morire per infezioni secondarie ad interventi chirurgici anche gli eredi (madre, padre, marito, moglie, figlio, figlia, fratello, sorella ecc.) potrebbero agire per chiedere il risarcimento del danno patito dal familiare mentre ancora era in vita (ad esempio per la sofferenza subita, c.d. danni iure hereditatis), del danno per la perdita parentale (variabile in base al grado di parentela, c.d. danni iure proprio) ma anche dei danni patiti direttamente per il dolore provato per la morte di una persona cara o per i peggioramento subito al proprio stile di vita (ad esempio perdite economiche o modifiche drastiche delle proprie abitudini, c.d. danni iure proprio).