EMORRAGIA POST PARTUM E MORTALITÀ MATERNA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
L’emorragia post partum severa è la prima causa di mortalità materna ed è anche la più frequente delle complicanze che insorgono dopo il parto che sia avvenuto spontaneamente o attraverso taglio cesareo e la sua incidenza è del 5% circa.
Si parla di mortalità materna quando una donna muore durante la gravidanza o entro 42 giorni dal suo termine per qualsiasi causa correlata o aggravata dalla gravidanza o dal suo trattamento ma non da cause accidentali o fortuite.
L’emorragia del post partum può essere primaria o tardiva. Si parla di emorragia post partum primaria quando si verifica un’eccessiva perdita di sangue nelle prime 24 ore dal parto, in particolare, per parlare di emorragia post partum deve essersi verificata una perdita di sangue maggiore di 1000 ml durante il parto avvenuto tramite taglio cesareo e maggiore a 500 ml durante un parto spontaneo; per emorragia post partum tardiva si intende invece un’emorragia che avviene fra le 24 ore e le 12 settimane dopo il parto.
Le criticità assistenziali circa l’emorragia del post partum sono:
- inappropriata indicazione al taglio cesareo;
- inappropriato monitoraggio nell’immediato post partum;
- incapacità di stimare la gravità;
- ritardo nella diagnosi;
- mancata richiesta di sangue e di emoderivati in tempi opportuni.
In base al quantitativo di sangue perso, l’emorragia del post partum può essere classificata in emorragia del post partum maggiore ed emorragia del post partum minore. Nel caso di emorragia del post partum minore la perdita di sangue è compresa fra 500 e 1000 ml, mentre si parla di emorragia del post partum maggiore quando la perdita ematica è maggiore di 1000 ml; in questo ultimo caso l’emorragia del post partum può essere controllata se vi è una compromissione materna e persistente se si è in presenza di shock ipovolemico, dovuto all’eccessiva perdita di sangue e pericolo di vita immediato.
I diversi gradi di shock correlati all’emorragia del post partum
Lo shock che accompagna l’emorragia del post partum, può essere:
- compensato se la perdita di sangue è compresa fra 500 e 1000 ml; in questo caso si ha una pressione arteriosa normale, tachicardia come effetto di compenso alla perdita di sangue e palpitazioni;
- lieve se la perdita ematica è compresa fra 1000 e 1500 ml. La perdita ematica è accompagnata da una riduzione della pressione arteriosa sistolico (ipotensione) la quale si aggira fra i 90 e 80 mmHg, polso piccolo e rapido, tachipnea (aumento della frequenza respiratoria), pallore per la diminuzione del quantitativo di emoglobina, sudorazione e debolezza;
- moderato quando la perdita ematica è compresa fra i 1500 e i 2000 ml. Lo stato di shock moderato si presenta con ipotensione sistolica quindi la massima sarà compresa fra gli 80 e i 60 mmHg, polso piccolo e rapido e tachipnea come nel caso dello shock lieve, irritabilità, ansia e confusione;
- severo quando la perdita ematica è maggiore dei 2000 ml; in questo caso si è alla presenza di un’ipotensione severa la cui massima risulta quindi minore di 50 mmHg, pallore, cute fredda, cianosi (colorazione bluastra della cute e delle mucose), fame d’aria, alterazione dello stato di coscienza, anuria (assenza di urine) fino al collasso cardiocircolatorio.
I segni e i sintomi dell’emorragia del post partum
L’emorragia del post partum avviene quando la perdita ematica durante il parto vaginale è maggiore di 500 ml e maggiore di 1000 ml in seguito al parto avvenuto tramite taglio cesareo.
Per quantificare la perdita ematica al momento del parto vengono utilizzate delle sacche trasparenti graduate che vengono posizionate sotto il bacino della paziente durante il parto spontaneo e deve essere rimossa dopo che è avvenuto il secondamento ovvero l’espulsione della placenta. Durante il taglio cesareo viene posizionato un telo per coprire la paziente così da isolare l’addome in cui verrà praticata l’incisione. Tale telo è dotato di una tasca dove si raccoglie il sangue, il quale viene aspirato da un aspiratore che conduce il sangue in una sacca graduata che permette di quantificare la perdita ematica alla fine dell’intervento.
La perdita ematica può essere anche quantificata attraverso la pesatura delle garze impregnate di sangue o “ad occhio” prendendo come riferimento delle figure che dovrebbero essere presenti nelle sale parto per orientare gli operatori circa l’entità della perdita ematica.
La perdita ematica è accompagnata da una modifica dei parametri vitali, si avrà una riduzione della pressione arteriosa sistolica che sarà tanto ridotta quanto maggiore sarà l’entità della perdita ematica e di conseguenza lo stato di shock, e un aumento della frequenza cardiaca (tachicardia) come effetto di compenso. La frequenza cardiaca, a differenza della pressione arteriosa, aumenta in maniera direttamente proporzionale all’entità della perdita ematica.
Si può calcolare l’indice di shock ostetrico (ISO) per stimare la perdita ematica e per avere informazioni sullo stato emodinamico della paziente. Questo indice deriva dal rapporto fra la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa sistolica; quindi tanto grave è la perdita di sangue tanto maggiore sarà l’indice di shock ostetrico. Se questo è maggiore di 1 è opportuna procedere con la trasfusione di sangue.
Altri segni conseguenti all’emorragia sono:
- l’aumento della frequenza respiratoria (tachipnea);
- polso piccolo e rapido;
- pallore per la riduzione dell’emoglobina;
- cianosi (colorazione bluastra della cute e delle mucose) per la ridotta ossigenazione;
- fame d’aria;
- alterazione dello stato di coscienza;
- sudorazione;
- debolezza;
- anuria;
Cosa succede dopo il parto
In seguito al parto, che sia questo avvenuto attraverso taglio cesareo o spontaneamente, è importante valutare le condizioni cliniche della puerpera durante le due ore del post partum e in maniera più intensiva se la perdita di sangue è risultata maggiore di 500 ml dopo il parto vaginale e maggiore di 1000 ml dopo il taglio cesareo.
Nelle due ore che seguono il parto deve essere valutata la contrazione e la retrazione del viscere uterino, la presenza di perdite ematiche chiamate lochiazioni le quali sono normali dopo il parto e che andranno sempre più riducendosi fino a scomparire del tutto dopo qualche settimana, i parametri vitali in particolare pressione arteriosa, temperatura corporea e frequenza cardiaca, stato di coscienza e il legame che si viene ad instaurare fra madre e bambino poiché se entrambi sono in buone condizioni di salute può subito essere iniziato il contatto pelle a pelle e l’allattamento al seno.
La suzione del bambino contribuisce a far contrarre l’utero e a prevenire l’eccessiva perdita ematica.
In seguito all’espulsione del feto, la cavità dell’utero torna ad essere uno spazio virtuale e l’utero assume una forma globosa e a consistenza lignea grazie ad una contrazione diffusa della muscolatura dell’utero. Tale contrazione attiva la chiusura delle arteriole spirali determinando la formazione di quello che viene chiamato globo di sicurezza il quale produce un’emostasi meccanica evitando la perdita eccessiva di sangue. L’emostasi meccanica dura circa 20 minuti e a questa si sostituisce un’emostasi coagulatoria che innesca il normale processo di trombosi fisiologica.
L’utero, quindi, deve essere contratto dopo il parto al fine di evitare l’eccessiva perdita di sangue e le lochiazioni devono essere regolari così come anche i parametri vitali devono essere nella norma.
Per il monitoraggio dei parametri vitali nelle prime ore dal parto possono essere utilizzati dei sistemi grafici in cui vengono annotate le rilevazioni dei parametri. Considerando i cambiamenti fisiologici della gravidanza i parametri non mostrano alcun cambiamento fin quando la perdita ematica non è maggiore di 2000 ml. Questo sistema grafico prende il nome di MEOWS (Modified Early Obstetrics Warining System) ed è un sistema di monitoraggio e di allerta il cui scopo è quello di riconoscere precocemente l’alterazione dei parametri vitali e di allertare l’emergenza in caso di sospetta emorragia del post partum. I controlli nelle due ore del post partum devono essere effettuati ogni 30 minuti e con maggior frequenza se la perdita ematica è risultata essere maggiore di 500 ml durante il parto spontaneo e maggiore di 1000 ml durante il cesareo.
Le cause dell’emorragia del post partum
Le cause dell’emorragia del post partum possono essere raccolte nelle così dette 4 T:
- tono;
- trauma;
- tessuto;
- trombina
Il tono
L’emorragia post partum da tono deriva dalla mancata contrattilità dell’utero in seguito al parto nota come atonia uterina che è la causa più frequente. Dopo l’espulsione del feto, infatti, si viene a creare un’emostasi meccanica dovuta alla contrazione delle fibrocellule della muscolatura uterina che grazie alla loro disposizione vanno ad occludere le arteriole spinali in modo da ridurre la perdita ematica. In caso della mancata contrazione e retrazione dell’utero si assiste ad una perdita ematica eccessiva.
Le cause di atonia uterina possono essere:
- quelle condizioni che determinano una sovradistensione uterina durante la gravidanza come gravidanza gemellare, feto macrosomico (peso stimato maggiore di 4500 grammi), polidramnios (aumentato quantitativo di liquido amniotico > 2000 ml);
- pregressa emorragia del post partum;
- mancata progressione del secondo stadio del travaglio;
- prolungamento del terzo stadio ovvero quando la placenta tarda ad essere espulsa;
- uso eccessivo di Syntocinon® durante il travaglio e il parto;
- uso eccessivo di prostaglandine per l’induzione del travaglio di parto;
- obesità (BMI > 30);
- età materna avanzata (> 40 anni);
- presenza di miomi;
- infezioni;
- distacco di placenta di grado severo a causa dell’infarcimento emorragico della muscolatura dell’utero il quale appare di colore bluastro; dopo il parto l’utero si contrae scarsamente (apoplessia uterina).
Il trauma
L’emorragia post partum può essere causata da lacerazioni perineali che sono sfuggite o non sono state adeguatamente suturate. Può essere conseguente a inversione uterina (invaginamento a dito di guanto del fondo uterino in cavità endometriale) e rottura d’utero.
Il tessuto
L’emorragia del post partum può essere causata da lembi di placenta che in seguito alla sua espulsione rimangono all’interno della cavità uterina, situazione che ne impedisce la sua contrazione aumentando la perdita di sangue. Per evitare questa evenienza è importante controllare l’integrità degli annessi (placenta e membrane amniocoriali) dopo che è avvenuto il secondamento. Nel caso in cui questi non risultassero completi è indicato procedere con lo scovolo della cavità uterina in modo da rimuovere tutto il materiale residuo.
Una causa per la quale lembi di placenta possono rimanere all’interno della cavità uterina è la placenta accreta ovvero l’anomala adesione della placenta alla parete uterina. In base al grado di invasione della parete uterina la placenta può essere:
- accreta quando i villi placentari sono incorporati nel miometrio;
- increta quando i villi sono presenti profondamente nel miometrio;
- percreta quando i villi si presentano oltre la sierosa.
La trombina
L’emorragia del post partum può anche essere causata da disturbi della coagulazione che possono essere conseguenti a preeclampsia, utilizzo di alte dosi di eparina a basso peso molecolare e anemia.
Le complicanze dell’emorragia del post partum
L’emorragia del post partum maggiore è considerata la prima causa di mortalità materna. Se la perdita ematica è grave e supera i 2000 ml la paziente va in shock severo il quale causa collasso cardiocircolatorio.
Una complicanza dell’emorragia del post partum è la coagulazione intravascolare disseminata (CID) ovvero una coagulopatia da consumo caratterizzata dalla presenza disseminata di trombi e dal consumo dei fattori della coagulazione con conseguente fibronolisi. La coagulazione intravascolare disseminata si verifica in seguito a complicanze ostetriche e si presenta come una condizione emorragica con sanguinamento cutaneo e mucoso ed episodi trombotici. Nei casi più gravi si presenta con insufficienza multiorgano e shock ipovolemico fino al decesso.
Nel caso di CID si assiste ad una riduzione delle piastrine, del fibrinogeno e dell’antitrombina III mentre si ha un aumento dei prodotti della degradazione del fibrinogeno (D dimero) e un prolungamento del PT e PTT per il consumo dei fattori della coagulazione. Il trattamento della CID consiste nell’identificazione e nella correzione tempestiva delle cause di base e infusione di plasma fresco congelato per reintegrare i fattori della coagulazione, infusione di liquidi ed emazie concentrate per la correzione della volemia e somministrazione di antitrombina III.
Un’altra complicanza dell’emorragia del post partum è l’isterectomia ovvero la rimozione dell’utero, procedura che pone fine alla possibilità procreativa della donna. Si giunge alla rimozione dell’utero quando non è possibile ottenere un’emostasi meccanica e poi coagulatoria per prevenire l’eccessiva perdita di sangue. L’isterectomia viene praticata quando il sanguinamento persiste nonostante la somministrazione di farmaci uterotonici di prima e di seconda linea e la messa in atto di tutte le manovre per promuovere la contrazione e la retrazione dell’utero e di conseguenza la riduzione del sanguinamento.
Come prevenire l’emorragia del post partum
L’emorragia del post partum può essere prevenuta, come dimostrato dalle evidenze scientifiche, dalla somministrazione di 10 Unità di Syntocinon® in muscolo dopo l’espulsione della spalla anteriore del feto o dopo la sua nascita prima di recidere il cordone ombelicale se il parto è spontaneo e di 5 Unità di Syntocinon® in bolo in caso di taglio cesareo più infusione lenta di 10 Unità di S
Syntocinon® disciolte in 500 ml di soluzione fisiologica.
È importante, inoltre, al fine di prevenire l’emorragia post partum da ritenzione di tessuto in cavità uterina, controllare l’integrità degli annessi in seguito all’espulsione della placenta e praticare lo scovolamento in modo da rimuovere il materiale residuo nel caso in cui questi non siano completi. È raccomandato di indagare la localizzazione della placenta in occasione dell’ecografia del II trimestre così da escludere una placenta accreta.
Per la prevenzione dell’emorragia post partum da trauma è necessario suturare correttamente le lacerazioni perineali fino a garantire un’emostasi adeguata.
Infine, per prevenire l’emorragia del post partum da trombina ovvero da disordini dei fattori della coagulazione è importante, nel caso in cui la gravida stia assumendo una terapia anticoagulante, di sospenderla in previsione del parto e riprenderla circa 12 ore dopo il parto; è anche fondamentale il trattamento dell’anemia effettuando dei prelievi di sangue (emocromo) durante la gravidanza in modo da tenere monitorati i valori di emoglobina ed eventualmente assumere un’integrazione di ferro in modo da raggiungere dei valori ottimali in previsione del parto.
Al fine di riconoscere precocemente un’emorragia del post partum, la puerpera deve essere tenuta sotto osservazione nelle successive due ore dal parto controllando la contrazione e la retrazione del viscere uterino, le lochiazioni e i parametri vitali.
La gestione dell’emorragia del post partum
Il trattamento dell’emorragia del post partum consiste nel mantenimento delle funzioni vitali, nel ricercare la causa dell’emorragia così da apportare una terapia mirata.
Una volta che viene diagnosticata un’emorragia del post partum, dopo aver quantificato la perdita ematica, devono essere eseguite una serie di operazioni in parallelo dopo aver chiamato aiuto ed aver attivato l’emergenza.
Innanzitutto, bisogna posizionare due accessi venosi, uno per favorire la perfusione somministrando liquidi per trattare l’ipovolemia e l’altra per somministrare farmaci uterotonici. Effettuare poi un prelievo di sangue per eseguire un emocromo completo, la coagulazione e il gruppo sanguigno per la richiesta di sacche di sangue da trasfondere se ci fosse necessità. Somministrare ossigeno e ripristinare il volume circolante per il mantenimento della volemia con cristalloidi o sangue ed emoderivati.
Devono essere costantemente monitorati i parametri vitali quali pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, saturazione dell’ossigeno, stato di coscienza e la temperatura. Deve essere evitata l’ipotermia utilizzando dispositivi di riscaldamento. Deve essere eseguito un emo gas analisi dopo aver prelevato un campione di sangue arterioso al fine di rilevare il pH sanguigno, la concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica, l’obiettivo è quello di evitare l’acidosi.
Per iniziare la trasfusione si deve decidere in base alle indicazioni cliniche e agli esami di laboratorio. In caso di emorragia del post partum maggiore, dopo aver somministrato 4 unità di globuli rossi si deve infondere plasma fresco congelato per reintegrare i fattori della coagulazione. Non è raccomandata la profilassi anti D se una donna Rh negativa riceve plasma fresco congelato positivo. Deve essere mantenuta la concentrazione plasmatica di fibrinogeno maggiore di 2 g/L. Valutare la trasfusione di concentrati piastrinici se le piastrine sono ridotte e in questo caso è necessaria una profilassi anti D se vengono trasfuse piastrine.
Per favorire la contrazione dell’utero e prevenire l’eccessiva perdita ematica da atonia uterina devono essere somministrate farmaci uterotonici partendo da quelli di prima linea e poi passare a quelli di seconda linea se la perdita ematica non si arresta.
I farmaci di prima linea sono: ossitocina (Syntocinon®) 20 unità in 500 ml di soluzione fisiologica o e il Methergin® (2 fiale in muscolo).
I farmaci di seconda linea sono: sulbrprostone (Nalador®) una fiala in 250 ml.
Nel caso in cui anche con i farmaci di seconda linea il sanguinamento non si arresta si passa a manovre più invasive quale il posizionamento del bakri ballom all’interno della cavità uterina al fine di promuovere un’emostasi meccanica. Prima di procedere a queste manovre più invasive deve essere esclusa la presenza di lacerazioni del canale del parto le quali devono essere suturate e la ritenzione di materiale placentare in cavità uterina il quale deve essere rimosso tramite una revisione della cavità uterina raschiando il materiale residuo.
Il bakri ballom ha la forma simile a un catetere vescicale il quale, dopo essere stato inserito, attraverso la cervice uterina, all’interno dell’utero, viene gonfiato con soluzione fisiologia e rimane in sede per 24 ore. In caso di inserimento del bakri ballom devono essere somministrati antibiotici.
Se il bakri ballom non ha successo devono essere praticate delle suture compressive dell’utero o valutare la legatura dei vasi pelvici e l’embolizzazione.
L’ultimo step, nel caso di fallimento delle suddette manovre, è l’isterectomia ovvero la rimozione dell’utero alla quale si deve ricorrere prima che le condizioni della paziente risultano critiche, specialmente nel caso di sospette anomalie della placentazione (placenta accreta, increta o percreta) e rottura d’utero.
Gli errori medici
I possibili errori medici:
- mancato riconoscimento dei segni e dei sintomi di emorragia del post partum;
- mancata quantificazione della perdita ematica durante il parto e nelle ore dopo il parto;
- trattamento intempestivo e/o non adeguato;
- mancata stabilizzazione delle condizioni emodinamiche della paziente;
- mancato riconoscimento della causa di emorragia del post partum;
- mancata rilevazione dei parametri vitali nelle due ore successive al parto, della contrattilità del viscere uterino e mancata valutazione delle lochiazioni;
- mancata esecuzione della profilassi antiemorragica con 10 unità di Syntocinon® al momento dell’espulsione della spalla anteriore o in seguito all’espulsione del feto prima di recidere il cordone ombelicale;
- mancata profilassi antiemorragica durante il taglio cesareo con 5 unità di ossitocina (Syntocinon®) in bolo più 10 unità in 500 ml di soluzione fisiologica;
- mancata somministrazione di uterotonici nel caso di atonia uterina;
- mancato ricorso a farmaci di seconda linea nel caso di inefficacia di quelli di prima linea;
- mancato posizionamento del bakri ballom in caso di fallimento di farmaci di prima e di seconda linea;
- mancato ricorso all’isterectomia prima che le condizioni cliniche della paziente diventino critiche;
- mancato controllo dell’integrità degli annessi dopo la fuoriuscita della placenta;
- mancata esecuzione della revisione della cavità uterina se gli annessi non sono integri e se vi è persistenza di materiale placentare all’interno della cavità uterina dopo il parto;
- sutura non adeguata delle lacerazioni del canale del parto;
- somministrazione inappropriata di ossitocina e di prostaglandine per l’induzione del travaglio di parto;
- mancata interruzione di farmaci anticoagulanti in previsione del parto e mancata ripresa della terapia dopo 12 ore dal parto;
- mancato controllo dei valori dell’emoglobina al fine di raggiungere livelli ottimali al momento del parto;
- mancato trasferimento in strutture di un livello appropriato alle donne con rischio di emorragia post partum che presentano i seguenti fattori di rischio:
- precedente emorragia del post partum;
- placenta previa (impianto basso della placenta);
- anomalie della placentazione e preeclampsia.
- mancata indagine della localizzazione della placenta in occasione dell’ecografia morfologica;
- omissione nell’esecuzione dell’isterectomia in caso di anomalie della placentazione;
- mancata trasfusione di emazie concentrate e di plasma fresco concentrato quando necessario;
- mancata somministrazione di concentrati piastrinici se i valori delle piastrine sono ridotte;
- mancata esecuzione della profilassi anti D nel caso in cui alla donna RH negativa vengono somministrate piastrine RH positive;
- mancata somministrazione della profilassi antibiotica in caso di posizionamento del bakri ballom;
- mancata attivazione dell’emergenza dopo aver diagnosticato un’emorragia del post partum;
- mancata esecuzione di esami ematochimici quali emocromo e fattori della coagulazione;
- mancata richiesta di emazie concentrate se emorragia persistente;
- mancata somministrazione di liquidi per ripristinare la volemia;
- mancato monitoraggio dei parametri vitali al fine di prevenire lo shock ipovolemico, l’ipotermia e l’acidosi;
- mancato riconoscimento dei segni di shock ipovolemico e mancata discriminazione tra shock compensato, lieve, moderato e severo;
- mancato riconoscimento e trattamento delle cause dell’emorragia del post partum;
- sottostima delle condizioni cliniche della paziente;
- mancato riconoscimento e trattamento della coagulazione intravascolare disseminata (CID).