OMISSIONE DELLA DIAGNOSI PRECOCE DI CANCRO DELLA VESCICA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
La vescica è un organo cavo che si trova nella parte bassa dell’addome, in cui si raccoglie l’urina, il liquido di rifiuto prodotto dai reni. Il cancro della vescica è causato dall’anomalo sviluppo di alcune cellule vescicali, nello specifico di quelle che formano il rivestimento interno della vescica: l’epitelio uroteliale o urotelio ed è la più comune forma tumorale a carico dell’apparato urinario.
Come per qualsiasi altra tipologia di tumore, una diagnosi precoce e corretta aumenta le probabilità di guarigione. Un errore nella diagnosi o uno sbaglio medico o dell’urologo può comportare seri danni al paziente soprattutto in caso di ritardo nell’iniziare le cure ed i trattamenti. Molti medici sottovalutano specifici sintomi e spesso ci si ritrova a dover fare i conti con veri e propri casi di malasanità. Uno studio legale specializzato può stabilire la possibilità di un risarcimento danni per errore medico a favore del paziente o dei suoi familiari. La colpa medica o la responsabilità dell’Ospedale, infatti, può verificarsi anche se viene effettuato un intervento chirurgico nella zona interessata senza aver prima fatto approfonditi esami, o qualora abbia proceduto con negligenza, imperizia o imprudenza.
Sintomi del tumore alla vescica
I sintomi con cui si può presentare il tumore della vescica sono comuni anche ad altre malattie che colpiscono l’apparato urinario:
- il sangue nelle urine;
- la minzione frequente o dolorosa o intermittente;
- la sensazione di incompleto svuotamento della vescica;
- infezioni del tratto urinario;
- dolore addominale e/o alla bassa schiena.
Come per ogni forma tumorale, le possibilità di cura del cancro alla vescica sono sensibilmente aumentate da una diagnosi precoce. L’individuazione e la stadiazione della neoplasia richiedono il ricorso congiunto ad esami clinici, strumentali e di laboratorio soprattutto in presenza di ulteriori fattori di rischio quali l’età maggiore di 40 anni; il sesso maschile (giacché è meno frequente nelle donne); il fumo perché aumenta l’accumulo di sostanze nocive nell’urina; l’esposizione a sostanze chimiche quali l’arsenico e i prodotti utilizzati nella lavorazione della gomma, della pelle, delle vernici e nell’industria tessile; alcuni farmaci utilizzati nel trattamento del cancro, quali la ciclofosfamide; l’esposizione a radiazioni in seguito a un trattamento di radioterapia nella regione pelvica; le infiammazioni croniche della vescica quali infezioni urinarie o cistiti, causate ad esempio da parassiti diffusi in alcuni paesi del Medio Oriente (Schistosomiasi); la familiarità e la razza caucasica.
Fasi cancro vescica
Fasi cancro vescica
In questa fase preliminare molto delicata potrebbero purtroppo verificarsi errori medici, dell’urologo, dell’oncologo o dei medici dell’Ospedale (o del Pronto Soccorso, Asl, Asst, Ats) o della Clinica privata. Sottovalutare il persistere di alcuni sintomi o alcuni fattori di rischio, ad esempio, potrebbe portare ad un ritardato o – addirittura – mancato riconoscimento del tumore. Un simile comportamento omissivo del medico negligente potrebbe causare gravi danni al paziente che avrebbe diritto a veder risarciti i danni subiti con l’assistenza di un avvocato esperto in malasanità.
Diagnosi del cancro della vescica
Per individuare la presenza di un cancro alla vescica sono numerosi gli esami da effettuare. Si va dall’esame delle urine alla cistoscopia, fondamentale per la diagnosi delle neoplasie vescicali. Si tratta comunque di operazioni invasive che richiedono la massima attenzione da parte del medico specializzato.
Il paziente, o i suoi familiari, potrebbero – in certi caso – ottenere il risarcimento del danno anche qualora il medico non abbia spiegato, o non abbia sufficientemente spiegato al paziente, il tipo di esame o terapia a cui sarà sottoposto o il tipo di intervento chirurgico, oppure le modalità con cui si svolge, le conseguenze, i rischi e le possibili complicanze ed effetti collaterali, i vantaggi e svantaggi, le eventuali alternative terapeutiche (consenso informato).
Esiste, infatti, da un lato il dovere del medico di informare e, dall’altro lato, il diritto del paziente a conoscere non solo le informazioni sulla propria salute e malattia ma anche il diritto di poter scegliere consapevolmente. Il medico, pertanto, non si deve limitare a far firmare un foglio c.d. modulo di consenso informato, ma dovrà spiegare, in modo chiaro, completo e comprensibile – anche in rapporto all’età del paziente, al grado di scolarizzazione e alle possibili difficoltà di comprensione (si immagini, ad esempio, un cittadino straniero che ha una conoscenza basica della lingua italiana) – tutti i vari aspetti medici.
Pur se non è sempre previsto l’obbligo della forma scritta, ove disponibile, è pertanto importante che il medico legale che affianca l’avvocato verifichi il documento. Ottenere la documentazione (modulo di consenso informato, cartella clinica, esami, refertazione ecc.) dal medico o dall’Ospedale è anch’esso un diritto tutelato dall’ordinamento giuridico.
Le procedure diagnostiche consigliate, nel caso vi sia un sospetto di cancro alla vescica, sono:
- esame delle urine. Il campione di urina viene inviato in laboratorio, dove sarà esaminato per evidenziare eventuali tracce di sangue, cellule tumorali o altri segni di patologie in atto;
- la cistoscopia rimane l’esame cardine nella diagnosi delle neoplasie vescicali; durante questa procedura, un sottile tubicino munito di telecamera e fonte luminosa all’estremità (cistoscopio) viene inserito nell’uretra e fatto risalire sino alla vescica. A questo livello la microcamera trasmette immagini dettagliate dell’organo, permettendo all’urologo di individuare eventuali lesioni sospette;
- biopsia. Il medico può rimuovere alcuni campioni di tessuto con il cistoscopio; poi il patologo li esamina al microscopio, per individuare eventuali cellule tumorali. Nella maggior parte dei casi, la biopsia è l’unico esame in grado di determinare con certezza se sono presenti cellule tumorali;
- esami strumentali quali ecografia, TAC, (eventualmente la PET nei casi metastatici dubbi) e scintigrafia ossea (nei pazienti che presentano sintomi di danno osseo) per valutare se il tumore si è esteso oltre la vescica coinvolgendo altri organi.
La mancata prescrizione degli esami specialistici costituisce un errore medico dell’urologo o dell’oncologo: simili omissioni, infatti, impediscono la diagnosi efficace dell’infezione e possono far sorgere complicanze gravi per il malato e, di conseguenza, il diritto a chiedere il risarcimento dei danni con l’intervento di un avvocato esperto in malasanità.
Terapia e trattamenti del tumore alla vescica
L’approccio terapeutico al tumore alla vescica oggi prevede interventi che possono vedere impiegati in combinazioni varie come chirurgia, chemioterapia (endovescicale o endovena) ed eventualmente radioterapia.
Le possibilità di trattamento chirurgico di un tumore della vescica comprendono:
- la resezione transuretale, per neoplasie di piccole dimensioni non infiltranti la tonaca muscolare. Questo trattamento spesso non risulta risolutivo, poiché le lesioni vescicali tendono a recidivare, ossia a ripresentarsi nella stessa sede della vescica od in altre sedi;
- la cistectomia (asportazione dell’organo) totale, a seconda dello stadio clinico (quando è interessata la tonaca muscolare), e di altre considerazioni (ad esempio, un tumore superficiale ma recidivato spesso oppure aggressivo istologicamente e presente in più zone della vescica contemporaneamente).
La diagnosi precoce è sempre fondamentale per aumentare le probabilità di guarigione e per contribuire così ad aumentare il tasso di sopravvivenza. La maggioranza delle pazienti di sesso femminile con tumore vescicale ricevono la diagnosi tardivamente a causa della mancanza di urgenza nella valutazione urologica dell’ematuria. Benché il sangue nelle urine sia spesso un segno di infezione del tratto urinario, molti medici sottovalutano tale sintomo non consigliando esami più approfonditi.
Qualora vi siano i presupposti, il paziente oppure la madre, il padre, i nonni, il fratello o la sorella – o gli eventuali eredi (coniuge, genitori ecc.) in caso di morte – potrebbero dunque chiedere il risarcimento dei danni per essere stati vittime di un caso di malasanità a causa di una diagnosi sbagliata, errata, tardiva oppure di una cura sbagliata o errata o di una terapia non tempestiva o inefficace che potrebbero aver ridotto le possibilità di guarigione o addirittura portato a cambiamenti drastici nella vita del paziente (perdita di chance di guarigione) o alla morte del paziente o all’accelerazione del decesso, o ad una perdita di chance di conservare una vita migliore.
Lo studio legale o l’avvocato, preferibilmente specializzati in danni da responsabilità medica, insieme al proprio medico legale, valuteranno se vi sia o meno la possibilità di chiedere i danni all’Ospedale, all’Assicurazione, all’urologo o all’oncologo più in generale ai medici coinvolti.
Possibili errori medici nella diagnosi del cancro alla vescica e risarcimento danni
Il medico, l’oncologo o l’urologo potrebbero compiere svariati errori nella gestione e nella diagnosi o nel trattamento del cancro alla vescica, ad esempio:
- ignorare una segnalazione di sangue nelle urine da parte del paziente;
- non prescrivere ulteriori esami in caso di sangue nelle urine, minzione frequente o minzione dolorosa;
- omettere la diagnosi differenziale con infezioni dell’apparato urinario;
- non prescrivere la cistoscopia;
- sbagliare a leggere i risultati degli esami diagnostici;
- non programmare l’intervento chirurgico o sbagliare nell’asportazione;
- non seguire la reazione del paziente alle terapie;
- non prescrivere incontri e controlli di follow-up.
Non esiste un automatismo tra errore medico e risarcimento del danno. Bisogna poi individuare quali effettivi danni ha subito il paziente. Potrebbero infatti essere presenti più danni: ad esempio danno patrimoniale, non patrimoniale e biologico ecc. È comunque fondamentale che l’avvocato faccia un esame ad ampio spettro insieme al medico legale. Esistono molti aspetti da valutare dall’eventuale danno da perdita della capacità lavorativa al danno da perdita di chance di guarigione o sopravvivenza, a quello di doversi sottoporre ad un nuovo trattamento medico con i connessi rischi.
Il paziente, o i suoi familiari, potrebbero – in certi casi – ottenere il risarcimento del danno anche qualora il medico non abbia spiegato, o non abbia sufficientemente spiegato al paziente, il tipo di terapia a cui sarà sottoposto o il tipo di intervento chirurgico, oppure le modalità con cui si svolge, le conseguenze, i rischi e le possibili complicanze ed effetti collaterali, i vantaggi e svantaggi, le eventuali alternative terapeutiche (consenso informato).
I danni per un aggravamento della malattia, per una diagnosi ritardata o per un’errata gestione della stessa non sono solo circoscritti al doversi, ad esempio, sottoporre ad una operazione chirurgica o a un trattamento di radio o chemioterapia, ma sono dovuti anche alle conseguenze successive. Si pensi, per esempio:
- alla necessità di una più lunga degenza ospedaliera;
- ai postumi dell’operazione (ad esempio essere rimasti senza vescica e doverla ricostruire);
- all’essere maggiormente esposti alle infezioni nosocomiali (infezioni ospedaliere) a causa della riduzione temporanea dei globuli bianchi a seguito di chemioterapia (peraltro gli effetti collaterali di un trattamento oncologico sono anche altri: senso di stanchezza, nausea, inappetenza, vomito, caduta dei capelli ecc.);
- alla necessità di sottoporsi con maggiore frequenza ad esami e visite di follow up (accertamenti e controlli successivi);
- alla possibile difficoltà a concepire figli a causa delle terapie invasive.
Non sempre poi il reparto di oncologia dell’Ospedale è vicino alla residenza del paziente, il quale quindi dovrà sostenere costi per gli spostamenti, a volte spese per il pernottamento, oltre a dover usufruire di permessi di lavoro o, per certe categorie, l’assenza dal lavoro potrebbe comportare una perdita di fatturato/guadagno ecc.
Tali costi potrebbero anche aumentare tenuto conto che spesso il paziente ha necessità di un accompagnatore, ad esempio la moglie, il marito, il partner convivente, un figlio o un membro della famiglia che – spesso – anch’esso dovrà sostenere delle spese personali. Altre volte, invece, l’accompagnatore è una persona esterna che dovrà essere quindi pagata per il servizio di trasporto, per l’assistenza e l’aiuto prestato.
È importante sapere che molte voci di danno potranno essere chieste sia dal paziente che dai familiari (moglie/marito/madre/padre/figlio/figlia/sorella/fratello ecc.) ed anche in caso di morte della persona malata. Ad esempio potrebbe essere chiesto il ristoro per il danno da perdita parentale (importo determinabile in base a grado di parentela), potrebbe essere chiesto il rimborso delle spese sostenute per l’assistenza del malato prima del decesso, potrebbe essere risarcita la sofferenza (danno morale) patita nel vedere un parente stare male o, ancora, il danno derivante dal peggioramento delle condizioni di vita di chi è sopravvissuto ma deve far fronte alla perdita, ma, potrebbe anche essere chiesta la liquidazione del danno fisico e morale patito dal familiare prima di morire, durante la sfortunata agonia.
I danni che ciascun parente subisce in prima persona vengono definiti danni iure proprio, perché rientrano direttamente nella sfera giuridica del familiare che ha visto morire il proprio caro. I danni patiti dal defunto, invece, possono essere definiti “indiretti” e vengono chiamati danni iure hereditatis. La modalità di prova e liquidazione delle due tipologie di danno è molto simile ma è determinante sapere che il termine per chiedere il risarcimento dei danni iure proprio è sempre di 5 anni dal decesso, mentre quelli “ereditati” possono essere chiesti entro 5 o 10 anni dalla morte a seconda che l’azione venga esperita contro il medico o contro l’ospedale.