PATOLOGIA MALIGNA VULVARE – TUMORE DELLA VULVA (CANCRO ALLA VULVA)
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
Il tumore alla vulva o patologia maligna della vulva è una neoplasia rara e rappresenta il 4% di tutti i tumori ginecologici. Essendo un tumore di natura asintomatica (quantomeno inizialmente) può verificarsi una mancata diagnosi o una diagnosi in ritardo da parte del medico, del ginecologo o dell’oncologo.
La mancata diagnosi o omessa diagnosi del tumore alla vulva si verifica quando il medico non individua la malattia, quindi quando non capisce la patologia della paziente, o non prescrive esami diagnostici di approfondimento o visite specialistiche oppure in caso di errori durante la refertazione dell’esame (referto sbagliato). Casi di malasanità o errore medico per errata diagnosi si verificano quando il medico sbaglia ad individuare la patologia, spesso scambiando i sintomi per un’altra malattia. Pertanto, le cure sbagliate potrebbero anche dipendere da un errore durante la diagnosi. La tardiva diagnosi – o non tempestiva diagnosi – si verifica quando la patologia viene individuata in ritardo, e ciò potrebbe essere rischioso per il malato perché una cura non corretta o una terapia somministrata tardi potrebbe portare a un peggioramento della sua salute e, nei casi peggiori, il decesso (morte per tumore della vulva).
Omessa diagnosi
Omessa diagnosi
Un avvocato specializzato in malasanità può aiutare a chiedere il risarcimento dei danni. Spesso lo studio legale si fa aiutare, oltre che dal proprio medico legale anche da medici specialistici. Pertanto, chi ha ha subito un danno – per un caso di malasanità, errore medico, colpa e responsabilità dell’Ospedale sia pubblico che privato (Clinica) o del medico (specialista, medico di base o generico, ginecologo, primario dell’ospedale, dirigente medico, infermiere, ostetrica, personale paramedico, la guardia medica) dovuti a diagnosi sbagliata o tardiva del tumore alla vulva, ad esame o analisi non effettuati o effettuati male o in ritardo, ad operazione o intervento chirurgico sbagliato, a cura errata o a terapia e medicinali somministrati in ritardo – può rivolgersi ad un avvocato in malasanità.
La vulva è l’insieme dei genitali esterni femminili ed è formata dalle grandi labbra, dalle piccole labbra, dal clitoride, dal vestibolo vulvare e dagli orifizi vaginale e uretrale.
Le funzioni della vulva sono molteplici:
- consente la minzione dell’urina;
- agevola lo svolgimento dei rapporti sessuali;
- permette il passaggio del feto nel momento del parto.
Il tumore alla vulva si manifesta generalmente come una lesione alle cellule squamose della pelle (circa il 90% dei casi) e, in maniera minoritaria, sotto forma di melanoma (circa il 5% dei casi) ed adenocarcinoma.
Le neoplasie vulvari intraepiteliali sono racchiuse nell’acronimo VIN che include le condizioni di proliferazione dell’epitelio vulvare che mostra maturazione cellulare anormale ed atipia nucleare, accompagnata da numero variabile di mitosi.
Precedentemente le lesioni erano classificate in VIN1, 2 e 3, tuttavia questa classificazione è ormai superata e sostituita da una nuova secondo cui il termine VIN1 è stato abolito, in quanto non vi è evidenza che esso sia un precursore del carcinoma, mentre rimane la terminologia VIN2 e VIN3 che saranno comprese nelle VIN usual type e differentiated type.
l tumore vulvare può diffondersi per diffusione diretta (ad esempio nell’uretra, nella vescica, nella vagina, nel perineo, nell’ano o nel retto), ematogena (cioè attraverso il sangue), ai linfonodi inguinali, dai linfonodi inguinali ai linfonodi pelvici e para-aortici
Fattori di rischio del tumore alla vulva
I fattori di rischio legati all’insorgenza di questa neoplasia sono:
- l’età avanzata, si stima un’età media delle pazienti di 70 anni;
- l’infezione da Papillomavirus (HPV);
- il fumo di sigaretta;
- la presenza di condizioni infiammatorie croniche dell’apparato genitale esterno femminile;
- le condizioni di immunodeficienza cronica.
Papilloma virus
Papilloma virus
Per prevenire questo tipo di tumori è importante evitare comportamenti che ne aumentino il rischio e, soprattutto, cercare di evitare l’infezione da Papillomavirus, facilitata da una non consapevole attività sessuale e da un alto numero di partner.
I controlli ginecologici periodici possono essere decisivi nella prevenzione dei tumori di vulva in quanto permettono di scoprire eventuali lesioni pre-cancerose che negli anni potrebbero trasformarsi in un tumore.
Individuare il tumore alla vulva in modo tempestivo consente di raggiungere livelli di guarigione alti anche se i sintomi possono non presentarsi fino a che il cancro non si trova in stadi avanzati.
Quando si presentano fattori di rischio, il medico, il ginecologo, l’ostetrica e, più in generale, il personale dell’ospedale per non incorrere in un caso di malasanità devono essere più attenti nella profilassi preventiva e nella prescrizione di esami di controllo e potrebbero purtroppo verificarsi errori medici. L’eventuale colpa e responsabilità – per la mancata o ritardata individuazione della malattia/patologia o per l’errato trattamento della stessa – deve essere verificata in modo approfondito così come la possibile insorgenza di danni, valutando se questi potessero essere o meno evitati.
Segni e sintomi del tumore alla vulva
Come detto, il tumore alla vulva spesso si presenta in maniera asintomatica. Più dell’80 per cento delle donne con tumore invasivo della vulva mostra sanguinamento (spesso dopo un rapporto sessuale) o perdite vaginali anomale, dolore durante i rapporti e, nei casi più avanzati, anche fastidio quando si urina, costipazione e dolore pelvico continuo.
In alcune circostanze la paziente può lamentare:
- prurito genitale;
- irritazione che non risponde a terapia cortisonica;
- lesione palpabile (notata dalla donna o dal medico durante una visita ginecologica);
- dolore, sanguinamenti.
Se la lesione, invece, è correlata a infezione da Papillomavirus sono presenti lesioni multiple, di norma ulcerate, e da concomitanti neoplasie della cervice uterina, mentre i tumori che sorgono in persone negative al Papillomavirus si presentano prevalentemente come singole masse.
Diagnosi del tumore alla vulva
Il primo step per giungere ad una diagnosi di tumore alla vulva è una visita ginecologica durante la quale il medico specialista fa un esame obiettivo della zona genitale.
In caso di sintomi sospetti o fattori di rischio, devono essere prescritte la vulvoscopia (chiamata anche colposcopia) che è un esame piuttosto rapido e indolore che di osservare nel dettaglio le cellule che rivestono vagina e cervice uterina e di mettere in luce eventuali anomalie.
Se il dubbio sussiste dovrà essere prescritta una biopsia per ottenere una diagnosi tramite il prelievo di cellule da analizzare al microscopio.
Ago Biopsia
Ago Biopsia
In caso di presenza di neoplasia è importante valutare il livello di infiltrazione nei tessuti adiacenti e quindi stabilire la stadiazione del tumore.
Una volta diagnosticato con certezza il tumore, si procede con altri esami per capire se la malattia si è diffusa anche in altri organi: risonanza magnetica, tomografia computerizzata, PET e alcuni esami endoscopici come la cistoscopia che analizza la vescica mediante un tubo al quale è fissata una sonda che permette di illuminare e visualizzare l’area e, se necessario, anche di prelevare campioni di tessuto, o la rettoscopia che utilizza la stessa tecnica per il retto.
Masse tumorali (metastasi), infatti, potrebbero essersi diffuse in altre parti del corpo. La procedura di accertamento della dimensione e posizione del tumore, detta stadiazione, permettere di decidere la scelta del trattamento terapeutico più indicato (osservazione attiva, chemioterapia, radioterapia e chirurgico) tenendo anche conto dello Stadio di malattia (si identificano in genere cinque stadi per i tumori della vulva da quello in fase inziale – stadio 0 – a quello più avanzato – stadio IV).
La mancata prescrizione degli esami e degli accertamenti diagnostici costituisce un errore medico del ginecologo, dell’urologo o dell’oncologo: simili omissioni, infatti, impediscono la diagnosi efficace del tumore e possono far sorgere complicanze gravi, di conseguenza, il diritto a chiedere il risarcimento dei danni con l’intervento di un avvocato esperto in malasanità.
In caso di neoplasia, quindi, bisogna verificare tutto quanto fatto, o non fatto, dal ginecologo o dall’équipe medica o dall’ospedale. Un passaggio fondamentale se ci si trova davanti ad un caso di malasanità. Un avvocato, coadiuvato da un medico legale e da un medico specialista può capire se vi sia stato un errore nella diagnosi, nell’esecuzione del trattamento sanitario o nello svolgimento della terapia e, di conseguenza, se c’è responsabilità del medico, dell’équipe dei medici o dell’Ospedale (o del Pronto Soccorso, Asl, Asst, Ats) o della Clinica privata. In caso affermativo potrà darsi corso ad una richiesta di risarcimento dei danni da malasanità.
Essenziale, in questa fase, risulterà l’esame della documentazione medica, tra cui le analisi e gli esami, i medicinali assunti, la cartella clinica e il consenso informato.
Trattamento e cura del tumore alla vulva
Il trattamento di scelta dipende da molti fattori quali la posizione, l’età, la condizione della paziente. A differenza del passato, ormai l’intervento chirurgico per questo tipo di tumori può essere poco invasivo anche nell’ottica di un sostegno psicologico per la donna che potrebbe vivere male un’operazione eccessivamente demolitiva.
Sarebbe opportuno adottare un approccio multidisciplinare, in modo che il piano terapeutico sia concordato dal radioterapista e dal ginecologo oncologo. Bisognerebbe, inoltre, possedere conoscenze approfondite di chirurgia ginecologica oncologica maggiore (colpectomia radicale, chirurgia exenterativa) e poter disporre di una consulenza intraoperatoria in chirurgia plastica ricostruttiva vulvare e vaginale, colo-rettale e urologica.
La rimozione selettiva del tessuto coinvolto talvolta può avvenire anche attraverso il laser altrimenti, nei casi di tumori più invasivi, si dovrà procedere con la chirurgia classica e, talvolta, ad una linfadenectomia inguino-femorale bilaterale. Le pazienti con uno stadio di malattia più avanzato richiederanno anche chemioterapia e/o radioterapia (esterna e interna). Sono disponibili anche trattamenti topici che consistono nell’applicare il farmaco chemioterapico direttamente sulla pelle nella regione del tumore e che si utilizzano soprattutto nel caso di lesioni precancerose, ma non nel caso di tumori invasivi.
Il programma terapeutico potrebbe cambiare nel corso della cura a seconda, ad esempio, del tipo di risposta del tumore al trattamento, o dell’insorgenza di eventuali reazioni allergiche o complicanze, oppure a seconda di come reagisce il paziente agli effetti collaterali causati dalla chemioterapia, e quindi al grado di tolleranza.
Il cocktail di farmaci utilizzati in chemioterapia, infatti, può variare a seconda di vari aspetti, quali ad esempio, del tipo e delle caratteristiche del tumore, dell’età, specificità e condizioni del paziente, del protocollo seguito.
Se vengono somministrati farmaci sbagliati o il medico non controlla in modo costante e attento l’efficacia della chemioterapia il paziente può andare incontro a gravi complicanze o morte. In questi casi pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (marito, partner, convivente, genitori, figlio/figlia, fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso, e se c’erano effettive possibilità di guarigione, o di evitare l’evento. Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzato in risarcimento danni da responsabilità medica, insieme al medico legale, si potrebbe capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità o colpa medica
Dopo l’intervento chirurgico e negli anni successivi, la paziente riceve supporto medico e psicologico per affrontare le eventuali complicanze.
L’educazione della paziente è fondamentale anche per il riconoscimento precoce di eventuali recidive locali che, se individuate in tempo, sono spesso suscettibili di trattamento efficace chirurgico e/o radioterapico.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un eventuale errore del ginecologo (ad esempio per l’errata valutazione degli esiti degli esami strumentali o per la mancata prescrizione di controlli di follow up), del chirurgo (ad esempio per la non completa rimozione delle cellule tumorali) o dell’Ospedale (ad esempio per la presenza di un macchinario guasto) per mancata, errata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze, fino anche alla morte, ed essere causa di danni da risarcire.
Errori medici correlati al tumore alla vulva
I possibili errori medici che possono essere commessi nella gestione di un caso di tumore alla vulva o nel suo trattamento sono:
- errata anamnesi della paziente (segni e sintomi);
- assenza di promozione di controlli periodici;
- in caso di sospetto, assenza di percorso diagnostico adeguato o errato utilizzo dello stesso;
- assenza di informazioni alla paziente relative alla patologia segni e sintomi, test di screening e diagnosi, terapia (limiti e benefici);
- mancata cura di sanguinamenti sospetti;
- mancata prescrizione di ulteriori esami in caso di dolori pelvici persistenti e non riconducibili ad altra patologia;
- errata terapia medica (dose, vie di somministrazione, concentrazione, presenza di controindicazioni) ad esempio che non viene cambiata nonostante la “resistenza” della lesione al farmaco che, quindi, non guarisce nonostante la somministrazione;
- assenza/errato utilizzo di terapia chirurgica.
I danni che possono essere chiesti non sono solo riferibili al doversi, ad esempio, sottoporre ad una operazione chirurgica o a un trattamento di radio o chemioterapia, ma sono dovuti anche alle conseguenze successive. Si pensi, per esempio:
- ad un allungamento del ricovero ospedaliero;
- al rischio di infezioni nosocomiali (infezioni ospedaliere);
- ai dolori post operatori;
- alla necessità di sottoporsi con maggiore frequenza ad esami e visite di follow up (accertamenti e controlli successivi);
- alle conseguenze dell’intervento (chirurgia ricostruttiva, mancanza di sensibilità con relativa riduzione del piacere).
Non sempre poi il reparto di oncologia dell’Ospedale è vicino alla residenza della malata, che quindi dovrà sostenere costi per gli spostamenti, per il pernottamento, oltre a dover usufruire di permessi di lavoro o, addirittura, rischiare di perdere il lavoro o diminuire il fatturato/guadagno ecc.
Tali costi potrebbero anche aumentare tenuto conto che spesso la paziente ha necessità di un accompagnatore, ad esempio il marito, il partner convivente, un figlio o un membro della famiglia che dovrà sostenere delle spese personali. Altre volte, invece, l’accompagnatore è una persona esterna che dovrà essere quindi pagata per il servizio di trasporto, per l’assistenza e l’aiuto prestato.
Il paziente, o i loro familiari, potrebbero – in certi caso – ottenere il risarcimento del danno anche qualora il medico non abbia spiegato, o non abbia sufficientemente spiegato alla paziente, il tipo di terapia a cui sarà sottoposta o il tipo di intervento chirurgico, oppure le modalità con cui si svolge, le conseguenze, i rischi e le possibili complicanze ed effetti collaterali, i vantaggi e svantaggi, le eventuali alternative terapeutiche (consenso informato).
Bisogna, in ogni caso, ricordare che non esiste un automatismo tra errore medico e risarcimento del danno perché devono essere qualificati e quantificati i reali danni subiti dalla paziente ed il nesso con l’errore medico (nesso causale). Potrebbero infatti essere presenti più voci di danno: ad esempio danno patrimoniale per le spese mediche presenti o future, mancato guadagno per la perdita del lavoro, oppure danno non patrimoniale, come il danno biologico per la lesione o menomazione subita, il danno morale per le sofferenze ecc.
È comunque fondamentale rivolgersi ad un avvocato esperto in malasanità che faccia un esame ad ampio spettro insieme al medico legale. Esistono molti aspetti da valutare dall’eventuale danno da perdita della capacità lavorativa al danno da perdita di chance di guarigione o sopravvivenza, a quello di doversi sottoporre ad un nuovo trattamento medico con i connessi rischi.
In caso di morte della paziente, potrebbe essere possibile chiedere il risarcimento dei danni patiti direttamente dai familiari (ad esempio per le sofferenze patite per la perdita prematura del parente), ma anche i danni subiti dalla defunta prima di morire dopo l’errore medico (ad esempio per le sofferenze patite o per la consapevolezza di essere in fin di vita senza possibilità di cura).
I parenti (marito, madre, padre, sorella, fratello, figlio, figlia ecc.) potrebbero ottenere, da un lato, il risarcimento dei danni relativi al loro dolore per la perdita ingiusta della loro cara e, dall’altro, potrebbero chiedere la liquidazione del danno fisico e morale da lei patito prima di morire, durante la sfortunata agonia.
Mentre i primi vengono chiamati danni iure proprio (devono essere chiesti entro 5 anni dalla morte) perché rientrano direttamente nella sfera giuridica del familiare della defunta, questi ultimi potrebbero essere definiti “indiretti” vengono chiamati danni iure hereditatis.