INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in Italia è tutelata dalla legge n° 194 del 22 Maggio del 1978.
Secondo tale legge, l’interruzione volontaria di gravidanza è consentita eseguirla nei primi 90 giorni, corrispondenti a 12 settimane, di amenorrea (mancata mestruazione), periodo che viene calcolato dalla data dell’ultima mestruazione.
Conoscere questa data è importante per accertare in modo preciso l’epoca di gestazione.
Molte donne scoprono di essere incinte attraverso il test di gravidanza che si acquista in farmacia, mentre altre attraverso il dosaggio dell’ormone βhCG, dopo una settimana o più dalla mancata mestruazione. Quindi l’epoca gestazionale della scoperta si aggira sempre intorno alla 5° – 6° settimana.
Ai sensi dell’art. 4 della legge 194/78, 4 si dà la possibilità di interrompere la gravidanza a tutte le donne che “ accusino circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”.
La decisione dell’interruzione della gravidanza
Quando la donna decide di interrompere la gravidanza, deve affidarsi al suo medico di fiducia o al medico del consultorio o ad una struttura socio-sanitaria che pratichi l’intervento.
Il medico, quindi, deve accertarsi dello stato gravidico della donna attraverso l’esecuzione di un’ecografia che permette di ricalcolare l’epoca gestazionale. In più si valuta quelli che sono i motivi che spingono la gestante a fare questo intervento. Se non vi è urgenza, viene rilasciato alla donna un certificato attestante il suo stato gravidico e la sua volontà di interrompere. Il documento è datato e firmato dal medico ma anche dalla donna. La legge 194 prevede un tempo di 7 giorni di “ripensamento” da parte della donna. Trascorsi i 7 giorni, la donna può recarsi nelle sedi autorizzate per eseguire l’interruzione.
Ai sensi dell’art. 6 della legge 194/78, è possibile fare richiesta di interruzioni di gravidanza nel II trimestre se la prosecuzione della gravidanza e l’espletamento del parto comportano gravi danni alla vita della donna, o se sono accertati processi patologici gravi o incompatibili con la vita a carico del nascituro.
Inoltre, dal 2010, è stato introdotto un nuovo metodo farmacologico per l’interruzione della gravidanza attraverso la somministrazione di una pillola chiamata RU486. Tale pillola abortiva deve essere somministrata dal medico per tutte le donne che decidono di interrompere la gravidanza entro la 7° settimana di gestazione (49 giorni di amenorrea).
Per ogni caso, ai fini di interrompere la gravidanza (IVG) deve essere sempre richiesto il consenso informato che può essere ritirato dalla donna in qualsiasi momento prima dell’inizio delle procedure per l’intervento.
Una particolare attenzione è da dare anche alle donne che hanno un gruppo sanguigno con Rh- negativo: devono essere sottoposte a profilassi in quanto la mancata esecuzione di questa espone la donna e il bambino in una successiva gravidanza a seri danni come emorragie.
Modalità di intervento di interruzione volontaria di gravidanza
A seconda dell’epoca gestazionale, è possibile eseguire l’interruzione in modalità diverse.
Ve ne sono due principali:
- metodo di Karman: tecnica che prevede la dilatazione del collo uterino e l’aspirazione del materiale del concepimento;
- pillola RU486: al 1° giorno in cui la donna afferisce alla sede autorizzata all’IVG, viene somministrata una pillola contenente Mifepristone che provoca emorragia uterina, distacco dell’embrione dalle pareti uterine, inibizione della sintesi di HCG e aumento della contrattilità del miometrio (Couzinet, Schaison, 1988). Al 3° giorno viene somministrato un’altra pillola contenente Misoprostolo che provoca l’espulsione del prodotto del concepimento.
Le conseguenze del fallimento dell’aborto
In alcuni casi, l’errore del medico potrebbe causare:
- un aborto incompleto;
- la ritenzione di materiale placentare in utero.
Quando l’aborto fallisce, la gravidanza potrebbe andare quindi avanti contro la volontà della donna. Nei casi più gravi, la donna potrebbe anche avere una emorragia massiva, esponendo la paziente in certi limitati casi a rischi di mortalità materna.
A seguito di una gravidanza indesiderata ossia di una gravidanza che va avanti nonostante si è ricorsi ad un metodo di interruzione, la coppia o spesso la donna da sola, è costretta ad affrontare una situazione che pensava di non dover affrontare.