MORTE DELLA MADRE DURANTE IL TRAVAGLIO DEL PARTO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
La morte della mamma durante il travaglio del parto è un fenomeno che con il passare degli anni va diventando via via sempre più raro considerando anche il progresso della medicina, degli strumenti diagnostici e trattamenti sempre più specifici.
La morte della madre può essere conseguente ad un aggravamento di una situazione patologica preesistente o a delle complicanze che insorgono durante il travaglio di parto stesso; questo evento drammatico, inoltre, può verificarsi anche come conseguenza di un’inadeguata assistenza ostetrica. L’incidenza delle morti materne può comunque essere ridotta mettendo in atto degli standard assistenziali adeguati e migliori.
Al fine di sorvegliare la mortalità materna e analizzare le cause associate a questo evento può essere attivato un sistema di sorveglianza. L’obiettivo è quello di ridurre l’incidenza e l’insorgenza di eventi avversi durante il travaglio e il parto perciò si raccomanda l’adozione di adeguate misure assistenziali e organizzative. L’aumento del fenomeno dipende dall’età media delle donne al momento del parto, dal numero di parti espletati tramite taglio cesareo, da errori medici e da un’assistenza ostetrica inadeguata.
Le morti materne vengono distinte in dirette e indirette. Le morti materne dirette sono conseguenza di complicanze ostetriche della gravidanza e del parto a causa di trattamenti inappropriati o ad omissioni mentre le morti indirette sono il risultato di malattie preesistenti aggravate dalla gravidanza come per esempio cardiopatie.
La gestione del rischio per la prevenzione di eventi avversi
Al fine di evitare degli esiti sfavorevoli è importante la gestione del rischio clinico durante il travaglio. Per gestione del rischio clinico si intende tutte quelle attività che hanno lo scopo di prevenire, individuare e gestire tutti i possibili errori e gli eventi avversi che i professionisti sanitari possono causare nei confronti della persona assistita in modo da gestire e misurare il rischio sviluppando delle strategie per governarlo.
Gli obiettivi sono quindi quelli di migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e di garantire la sicurezza del paziente.
Il rischio clinico può essere gestito partendo dall’errore il quale è considerato un’opportunità per l’apprendimento. D’altra parte, l’errore è difficilmente accettabile e giustificabile in ambito sanitario poiché lo scopo dell’assistenza è quello di assistere e sostenere madre e bambino nel loro percorso assistenziale senza causare alcun danno.
Deve essere garantita un’assistenza qualitativamente elevata con lo scopo di assicurare il benessere materno e fetale. L’assistenza sanitaria è fortemente condizionata dal fatto che possono verificarsi degli eventi avversi che potrebbero essere responsabili di danni permanenti.
L’errore non è del tutto eliminabile tuttavia si cerca di ridurre quelle azioni che potrebbero essere responsabili dell’errore in modo da prevenire il ripetersi di situazioni pericolose e dannose.
Al fine di prevenire eventi avversi la prima cosa da fare è identificare il rischio, quali errori possono accadere durante il percorso assistenziale e come succedono attraverso l’incident reporting, la revisione delle cartelle cliniche, database, scheda di dimissione ospedaliera.
La segnalazione degli eventi avversi
L’incident reporting è una scheda di segnalazione spontanea che deve essere fatta dai professionisti sanitari nel momento in cui si verifica un evento avverso o si riscontrano dei problemi organizzativi in conseguenza ai quali avrebbe potuto verificarsi un errore o un danno a carico del paziente.
La scheda di segnalazione deve contenere la data e l’ora dell’accaduto, le persone che sono state coinvolte, la descrizione delle cause dell’evento indesiderato e la tipologia delle prestazioni fornite.
La segnalazione deve essere tempestiva, indipendente e non punitiva e devono essere segnalati i near miss (o quasi evento, sono delle situazioni per le quali l’evento non si è verificato quindi non vi è stato l’errore o l’incidente poiché sono state adottate delle misure che lo hanno evitato), gli eventi senza esiti (in questo caso l’evento si è verificato ma non ha provocato esiti sfavorevoli per il paziente il quale non ne è risultato danneggiato), gli eventi avversi (si è verificato l’evento e il paziente è stato danneggiato) e gli eventi sentinella (evento inatteso che provoca la morte o gravi conseguenze per la salute del paziente).
In ambito ostetrico gli eventi sentinella sono la morte della madre del bambino correlata al travaglio o al parto e anche la morte di un neonato sano di peso maggiore di 2500 grammi entro le 48 ore dalla nascita.
La valutazione del rischio
Il secondo step della gestione del rischio clinico è l’analisi e la valutazione del rischio attraverso la RCA ovvero l’analisi delle cause profonde in modo da comprendere cosa è successo e perché è successo. L’analisi non si limita ad identificare la causa ma anche a capire quello che si sarebbe potuto fare affinché l’evento non si verificasse analizzando il processo che ha portato al verificarsi dell’evento stesso. L’analisi può essere reattiva quando gli incidenti vengono studiati a posteriori dopo che si sono verificati in modo da individuarne le cause; l’analisi proattiva invece individua ed elimina le criticità prima che l’evento di verifica.
Allo scopo di analizzare delle situazioni critiche che sono state cause di errore o che avrebbero potuto causare un danno può essere attivato l’audit clinico.
L’audit clinico
L’audit clinico è una metodologia di analisi il cui scopo è quello di migliorare la qualità dell’assistenza del paziente e dei servizi sanitari; attraverso questa analisi è possibile identificare quanto l’assistenza prestata si è discostata dagli standard di riferimento, mettere in atto un cambiamento al fine di migliorare le prestazioni e monitorare che impatto hanno i cambiamenti introdotti.
I protocolli e linee guida per prevenire la morte della madre
Il terzo e l’ultimo step della gestione del rischio clinico è quello di trattare gli errori definendo dei protocolli basati sulle evidenze scientifiche e attenersi alle linee guida durante lo svolgimento del proprio operato.
A livello nazionale e internazionale sono state emanate una serie di Raccomandazioni in maniera da ridurre il rischio in ostetricia. In particolare nel 2008 il Ministero della Salute ha pubblicato la Raccomandazione N.6 circa la “Prevenzione della morte materna correlata al travaglio e/o parto” per la gestione delle condizioni di rischio clinico durante il travaglio e il parto al fine di evitare il verificarsi di esiti fatali per la donna. L’assistenza al di sotto dello standard risulta frequentemente associata alla mortalità della madre.
Le cause riguardante la morte della madre durante il travaglio
Le cause di morte materne sono, nella maggior parte dei casi, riconducibili a motivi organizzativi e clinico assistenziali come:
- l’incapacità di stimare la gravità del caso clinico;
- diagnosi errata;
- l’inadeguata comunicazione tra i professionisti che può provocare l’errore;
- il trattamento non adeguato al caso clinico;
- la mancata osservazione dei protocolli e delle linee guida, la mancanza di attrezzature adeguate.
La morte della mamma in travaglio di parto può essere dovuta ad un aggravamento di un quadro clinico patologico preesistente o a complicanze della gravidanza stessa.
La chetoacidosi diabetica
È una complicanza del diabete non adeguatamente trattato.
La gravidanza comporta uno stato diabetogeno considerando l’elevata resistenza all’insulina che si riscontra dalla seconda metà della gravidanza come conseguenza dell’aumento della concentrazione di alcuni ormoni (ormone lattogeno placentare). Il diabete va trattato con la dieta e se non controllato si ricorre alla somministrazione di insulina al fine di mantenere la glicemia nel range della normalità. In particolare, durante il travaglio di parto è importante monitorare i livelli di glucosio nel plasma (i quali non devono superare i 92 mg/dl) e deve essere evitato il digiuno. Nei periodi di digiuno, poiché non viene introdotto glucosio per la produzione di energia, vengono utilizzati i lipidi ovvero i grassi, come fonte energetica; si avrà di conseguenza un aumento dei corpi chetonici nel sangue i quali provocano una diminuzione del pH sanguigno e quindi un’acidosi metabolica.
Per bilanciare il quadro ipoglicemico conseguente al digiuno il cervello produce ormoni iperglicemizzanti; l’iperglicemia però non può essere contrastata a causa della resistenza all’insulina provocata dalla gravidanza stessa. Se non adeguatamente trattata questa condizione può portare allo shock ipovolemico e al coma fino alla morte della paziente. Il trattamento della chetoacidosi diabetica consiste nell’infusione di liquidi per ripristinare la volemia e nella somministrazione di insulina per abbassare la glicemia; l’infusione non deve essere sospesa immediatamente quando si raggiungono valori normali di glicemia ma, non appena la glicemia si normalizza, deve essere somministrata una soluzione glucosata, in concomitanza all’insulina, per prevenire l’ipoglicemia.
Si può rendere necessaria anche la somministrazione di potassio poiché l’insulina ne provoca una riduzione la quale è responsabile di alterazioni del sistema di conduzione cardiaco.
L’ostetrica deve quindi monitorare la glicemia della donna durante il travaglio di parto ed evitare il digiuno. Se la donna non si sente di alimentarsi con cibi solidi è necessario somministrare soluzioni glucosate al fine di prevenire l’ipoglicemia. Se i livelli glicemici sono alti deve essere somministrata l’insulina insieme a liquidi così da abbassare la glicemia;
L’embolia di liquido amniotico
Il passaggio nella circolazione materna di materiale fetale. La diagnosi di embolia di liquido amniotico è difficoltosa e viene fatta solo dopo aver escluso altre cause. L’embolia di liquido amniotico si presenta con:
- ipossia (riduzione dell’ossigeno negli organi periferici);
- ipotensione (riduzione della pressione arteriosa);
- coagulopatia;
- difficoltà respiratorie;
- cianosi (colorazione bluastra della cute e delle mucose);
- arresto cardiaco.
Il trattamento consiste in un supporto emodinamico adeguato, rianimazione cardiopolmonare, e l’espletamento del parto entro 5 minuti dall’evento acuto al fine di salvare il feto;
L’eclampsia ed emorragia cerebrale
È lo sviluppo di crisi convulsive tonico clonico espressione del danno del sistema nervoso centrale che possono essere responsabili di decesso per emorragia cerebrale.
L’eclampsia può essere o meno un aggravamento di un quadro ipertensivo per cui per evitare che questa evenienza si verifica deve essere controllata la pressione arteriosa attraverso farmaci antipertensivi. Le crisi convulsive possono essere controllate tramite il solfato di magnesio la cui somministrazione deve essere accompagnata da un monitoraggio frequente dei parametri vitali tra cui anche i riflessi rotulei i quali non sono presenti in caso di intossicazione da questo farmaco e scompenso cardiaco. In caso di intossicazione di solfato di magnesio deve essere somministrato calcio gluconato. Se le crisi convulsive non placano con il solfato di magnesio deve essere somministrato il DiazepamÒ. Infine, in caso di arresto cardiaco, deve essere eseguita la rianimazione cardio polmonare;
L’emorragia e coagulazione intravascolare disseminata (CID)
L’emorragia durante il travaglio può manifestarsi in seguito a un grave distacco di placenta ovvero quando tutta la superficie della placenta si stacca dalla parete uterina, in seguito a rottura d’utero o in seguito a disturbi della coagulazione. Se il sanguinamento è eccessivo si sviluppa la coagulazione intravascolare disseminata ovvero una coagulopatia dovuta al consumo dei fattori della coagulazione che nei casi più gravi è responsabile del decesso della donna. Il trattamento consiste nell’identificazione e tempestiva correzione delle cause di base. La paziente, inoltre, deve essere trasfusa con globuli rossi e liquidi endovena per il ripristino della volemia e anche plasma fresco congelato per ripristinare i fattori della coagulazione; devono essere somministrate anche piastrine se i valori sono ridotti e antitrombina III in caso di coagulazione intravascolare disseminata;
La cardiopatia grave
La gravidanza e in particolare il travaglio di parto a causa dell’attività contrattile dell’utero è considerata uno stress test per il cuore; le donne con un cuore sano riescono bene a tollerare questi cambiamenti della gravidanza (aumento del lavoro cardiaco) mentre non è lo stesso per le donne che soffrono di gravi problemi cardiaci poiché può verificarsi uno scompenso cardiaco durante il travaglio di parto responsabile del decesso della paziente.
È quindi raccomandato di non far travagliare le donne portatrici di gravi cardiopatie per le quali è invece indicato il taglio cesareo o l’utilizzo della ventosa ostetrica per ridurre gli sforzi espulsivi e il lavoro del cuore.
La mortalità della madre in travaglio di parto ed errori medici
Il personale deve essere adeguatamente formato per la gestione delle emergenze e deve essere capace di eseguire il massaggio cardiaco e la rianimazione cardiopolmonare in caso di arresto.
Non appena si assiste ad una complicanza in corso di travaglio di parto o ad un aggravamento del quadro clinico deve essere attuato un trattamento tempestivo e idoneo, preferibilmente seguendo i protocolli e le linee guida specifici per il caso in esame basati su evidenze scientifiche aggiornate.
La qualità dell’assistenza deve rispettare degli standard di riferimento considerando il fatto che l’assistenza al di sotto dello standard risulta frequentemente associata alla mortalità della madre.
Gli errori che potenzialmente possono causare la morte della donna durante il travaglio di parto sono:
- disattenzione ai dettagli;
- errore nell’eseguire le linee guida;
- diagnosi errata;
- trattamento errato;
- trattamento intempestivo;
- mancata gestione e controllo del rischio clinico;
- mancato riconoscimento dei segni e sintomi che si manifestano in seguito ad un aggravamento del quadro clinico;
- errata via di somministrazione dei farmaci ed errati dosaggi;
- errori derivanti da uno scorretto adempimento dei regolamenti;
- mancata applicazione dei protocolli;
- inadeguata conoscenza clinica;
- inadeguata comunicazione tra professionisti;
- scarsa qualità dell’assistenza;
- scarsa programmazione;
- mancanza di personale formato;
- mancanza di attrezzature adeguate;
- incapacità di stimare la gravità del caso clinico;
- inadeguato controllo e monitoraggio delle attività.