MORTE PER SEPSI DELLA MAMMA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
La febbre dopo il parto (febbre in puerperio) si manifesta con una temperatura corporea maggiore o uguale di 38 gradi celsius dopo 24 ore dal parto e che si mantiene tale per oltre 24 ore.
La febbre è un segno della presenza di infezione e nella maggior parte dei casi gli innalzamenti della temperatura oltre i limiti della normalità sono correlati ad infezioni molto gravi.
Oltre a delle infezioni, la febbre può essere anche provocata da infiammazioni, da una reazione ad un farmaco, a malattie autoimmuni (il corpo produce anticorpi che attaccano organi e tessuti dell’organismo stesso) o da leucemie e linfomi.
In caso di un’infezione certa o sospetta in gravidanza e in puerperio si può porre diagnosi di sepsi una volta identificata la presenza di danni d’organo. In tutte le pazienti con un’infezione accertata o presunta è importante ricercare sintomi e segni di danno d’organo e in tutti i pazienti con danno d’organo non attribuibile ad una particolare causa si devono ricercare i segni e i sintomi di un’infezione in modo da poter escludere o confermare la presenza di una sepsi o di uno shock settico.
Per sepsi si intende le infezioni che avvengono nel lasso di tempo fra la rottura delle membrane amniocoriali o il parto e il 42esimo giorno dopo il parto e che provocano danni multiorgano.
Si parla quindi di sepsi quando vi è una concomitante presenza di un’infezione e danno d’organo tipico della SIRS (Sindrome della Risposta Infiammatoria Sistemica) ovvero una condizione patologica che coinvolge tutto l’organismo.
Quando si è alla presenza di un danno a carico di uno o più organi e vi è anche la presenza confermata o sospetta di un’infezione si tratta di una sepsi.
La sepsi è la terza causa di morte materna dopo l’amoreggia del post partum che si classifica al primo posto e i disordini ipertensivi.
Circa il 5 – 10% di tutte le donne che hanno già partorito presenta un’infezione che si manifesta con febbre e dei segni e sintomi che possono variare in base alla sede in dell’infezione. Se il trattamento dell’infezione non è adatto il quadro clinico può complicarsi ulteriormente fino a sviluppare una sepsi.
La sepsi è una patologia tempo dipendente in quanto più precocemente si assumono antibiotici, migliore è la prognosi. È una condizione particolarmente pericolosa e rappresenta la principale causa di morte nelle donne che hanno partorito.
Nella maggior parte dei casi le infezioni puerperali sono dovute da germi endogeni appartenenti alla flora mista dell’apparato genitale. Queste infezioni sono prevalentemente sostenute dallo streptococco di tipo B o da agenti nosocomiali quando vi è una scarsa qualità del servizio sanitario erogato.
I fattori di rischio per le infezioni sono:
- scarsa alimentazione;
- prima gravidanza;
- rottura delle membrane amniocoriali per un tempo prolungato;
- più di 5 visite vaginali durante il travaglio di parto;
- esecuzione di manovre ostetriche;
- travaglio di parto prolungato (maggiore di 12 ore nelle donne alla prima gravidanza e maggiore di 10 ore nelle donne che hanno già partorito una o più volte);
- parti operativi attraverso l’applicazione del forcipe o della ventosa ostetrica;
- traumatismi;
- tampone vaginale e rettale per la ricerca dello streptococco beta emolitico positivo;
- ritenzione di materiale placentare dopo l’espulsione della placenta;
- emorragia postpartum;
- anemia;
- diabete;
- obesità (indice di massa corporea maggiore di 30);
- febbre in travaglio;
- espletamento del parto tramite taglio cesareo soprattutto se in urgenza/ emergenza.
Fra questi il più importante fattore di rischio è il taglio cesareo che rispetto al parto espletato per via vaginale il rischio di contrarre delle infezioni è maggiore di 20 – 30 volte.
A tal fine è indispensabile eseguire la profilassi antibiotica durante il taglio cesareo al fine di ridurre l’incidenza di infezioni quali endometriti (infezione dello strato più interno dell’utero chiamato endometrio) e infezioni pelviche.
La sepsi puerperale grave si manifesta quando si è in presenza di ipotensione (pressione arteriosa sistolica minore di 90 mmHg), lattacidemia (presenza di acido lattico nel sangue maggiore di 4 mmol), disfunzioni d’organo e alterazioni dello stato di coscienza. Se l’ipotensione periste nonostante il ripristino del volume attraverso la somministrazione di liquidi si parla di shock settico.
In caso di sepsi grave è importante il riconoscimento tempestivo della patologia al fine di instaurare prontamente la terapia adeguata.
In ostetricia è indicata la profilassi antibiotica al fine di prevenire la sepsi in caso di: tamponi vaginali e rettali positivi per lo streptococco beta emolitico, rimozione manuale della placenta, esecuzione del taglio cesareo in elezione o in emergenza, rottura prematura delle membrane se questa è prolungata, lacerazioni in seguito al parto che coinvolgono, oltre alla cute vaginale e ai muscoli perineali anche lo sfintere anale (lacerazione dei terzo grado) e la mucosa anale (lacerazione di quarto grado).
Le infezioni con potenzialità di evoluzione verso la sepsi
Le infezioni che potrebbero trasformarsi in sepsi sono:
- mastite;
- endometrite;
- malattia infiammatoria pelvica (PID);
- infezione delle vie urinarie;
- polmonite;
- infezione della ferita chirurgia.
La mastite
È l’infiammazione del tessuto mammario generalmente dovuto dalla compresenza di un ingorgo mammario e una ragade. Per ingorgo mammario si intende una difficoltosa eiezione del latte per un insufficiente drenaggio della mammella che può essere dovuto ad una suzione poco efficace del neonato e dal mancato svuotamento della mammella. Se vi è un ingorgo la mammella appare dolente, tesa, calda e ingrossata. In questi casi deve essere favorito il drenaggio del latte attaccando il bambino al seno, applicando impacchi caldi e praticando il massaggio o la spremitura manuale. La ragrade, invece, è una soluzione di continuo del capezzolo che è provocata da un attacco al seno sbagliato. Nel caso in cui si presenta una ragrade il capezzolo può essere trattato con una sostanza cicatrizzante e antibatterica come le coppette di argento (silver cup) da applicare sul capezzolo nell’intervallo fra le poppate. La soluzione di continuo della ragade è una porta di ingresso per i batteri e se vi è la concomitante presenza anche di un ingorgo mammario vi è molta probabilità che insorga una mastite.
La mastite è sostenta dagli stafilococchi e meno frequentemente dagli streptococchi di gruppo A.
La mastite si manifesta intorno alla sesta giornata dopo il parto con i 5 segni dell’infezione:
- rubor (arrossamento dell’area corporea coinvolta a causa di un aumento del flusso di sangue in quella zona);
- calor (aumento della temperatura corporea);
- dolor (dolore);
- tumor (gonfiamento dell’area interessata a causa dell’edema);
- functio laesa (il dolore e l’edema provoca un’alterazione della funzionalità dell’area colpita).
La mastite si accompagna sempre ad una temperatura corporea maggiore di 38 gradi Celsius con linfonodi sub ascellari palpabili e dolenti. Se trascurata può evolvere in ascesso mammario che necessita l’incisione e il drenaggio. Il trattamento della mastite prevede l’antibiotico terapica con amoxicillina o acido clavulanico.
L’endometrite
L’endometrite è un’infiammazione dell’endometrio ovvero la mucosa che avvolge lo strato più interno dell’utero. L’infiammazione dell’endometrio è la più frequente infezione dopo il parto che si presenta con:
- dolore pelvico anche intenso;
- febbre;
- perdite vaginali maleodoranti e sanguinamento vaginale.
I fattori di rischio per l’insorgenza dell’endometrite sono la rottura prolungata delle membrane amniocoriali, la positività per streptococco beta emolitico e la mancata somministrazione della terapia antibiotica profilattica, l’infezione delle membrane amniocoriali (corionamniosite), mancanza di sterilità e della somministrazione della profilassi antibiotica durante il taglio cesareo.
Anche le infezioni vaginali e cervicali come la chlamydia trachomatis possono essere responsabili dell’insorgenza di endometrite in quanto i microrganismi responsabili possono raggiungere anche le parti più alte dell’apparato genitale quali l’endometrio. L’endometriti può insorgere precocemente o tardivamente e la scelta degli antibiotici per il suo trattamento dipende dall’epoca di insorgenza.
La malattia infiammatoria pelvica (PID)
La malattia infiammatoria pelvica è un’infezione a carico dell’apparato genitale, provocata da una risalita di batteri lungo il tratto genitale e nella maggior parte dei casi si estende fino alle tube.
La maggior parte dei batteri responsabili della malattia infiammatoria pelvica sono quelli che provocano le malattie sessualmente trasmesse quali la Chlamydia Thracomatis e la Neisseria Gonorrhoeae. Le infezioni non adeguatamente trattate possono quindi essere responsabili della malattia infiammatoria pelvica.
La Chlamydia Trachomatis, ad esempio, nella maggior parte dei casi non dà sintomi perciò può essere definita una malattia silenziosa che se non diagnostica e non trattata può provocare gravi complicanze. Questi batteri possono essere trasmessi attraverso rapporti sessuali non protetti, al momento del parto, in seguito ad aborto spontaneo. Anche l’utilizzo della spirale contraccettiva può essere responsabile della trasmissione della Chlamydia Thracomatis.
La malattia infiammatoria pelvica si manifesta con:
- febbre;
- perdite vaginali maleodoranti;
- dolore profondo durante i rapporti;
- sanguinamenti vaginali anomali;
- dolore al basso ventre;
- difficoltà nella minzione.
Ad ogni modo, in alcuni casi, la malattia può essere asintomatica.
Se la malattia infiammatoria pelvica non è adeguatamente trattata può essere causa di gravidanza extrauterina (l’impianto dell’embrione avviene in una sede diversa da quella usuale) e di sepsi.
L’infezione delle vie urinarie
Le infezioni delle vie urinarie insorgono quando, una volta penetrati attraverso l’uretra, i batteri si moltiplicano a livello delle vie urinarie.
In particolare, si può avere l’infezione della vescica nota come cistite che è l’infezione più comune delle vie urinarie, l’infezione dell’uretere (ureterite) e l’infezione del rene (pielonefrite).
La pielonefrite è una grave patologia che richiede un intervento immediato poiché può comportare la perdita della funzionalità del rene e, nei casi più gravi, anche la morte del paziente. Al primo trimestre di gravidanza è indicato lo screening per la batteriuria asintomatica attraverso l’urinocoltura.
La batteriuria asintomatica è la presenza di batteri nelle urine in un numero maggiore al normale che non si accompagna ad una particolare sintomatologia. Una volta evidenziata la presenza di batteriuria asintomatica grazie all’urinocoltura è possibile ridurre l’incidenza di pielonefrite poiché viene tempestivamente trattata in modo da prevenire l’insorgenza di questo quadro clinico. I microrganismi maggiormente responsabili delle infezioni delle vie urinarie sono l’escherichia coli ma anche l’enterobacter e altri microrganismi che si trovano nel tratto intestinale poiché l’uretra è situata vicino all’ano. Il più comune fattore di rischio per le infezioni delle vie urinarie è il posizionamento del catetere vescicale.
Le infezioni del tratto urinario si manifestano con:
- dolore al fianco;
- difficoltà nella minzione (disuria);
- febbre elevata e pollachiuria (necessità di urinare più volte).
Nei casi più gravi l’infezione delle vie urinarie può evolvere in sepsi.
La polmonite
La polmonite è l’infezione del polmone che si manifesta con febbre e sintomi respiratori quali tosse, dispnea, dolore pleurico ed espettorazione. Il dubbio diagnostico può essere confermato tramite l’esecuzione dell’RX torace. L’RX torace è una radiografica eseguita attraverso l’utilizzo dei raggi X che elabora un’immagine in modo da differenziare il polmone dalle costole.
Il microrganismo responsabile della polmonite è il pneumococco. Vi sono anche le polmoniti nosocomiali se vengono contratte in ospedale. La sepsi è una complicanza della polmonite e si ha quando oltre ai sintomi respiratori si manifestano anche segni e sintomi a carico di altri organi e apparati.
L’infezione della ferita chirurgia
L’infezione della ferita chirurgica avviene in seguito al mancato ricorso alle misure asettiche e si manifesta con:
- eritema;
- aumento della consistenza dei tessuti intorno alla ferita;
- drenaggio di liquidi o pus.
In particolare, per porre diagnosi di infezione della ferita chirurgica deve essere presente almeno uno di questi segni entro trenta giorni dall’intervento chirurgico:
- segni locali di infiammazione;
- febbre;
- presenza di essudato;
- deiscenza spontanea della ferita;
- secrezione di materiale purulento dalla ferita e presenza di ascesso.
I fattori di rischio per le infezioni della ferita chirurgica sono l’obesità e il diabete, il posizionamento di drenaggi e cateteri, le ferite non adeguatamente medicate, il mancato o lo scarso ricorso alle misure asettiche durante l’intervento chirurgico e gli interventi eseguiti in emergenza.
L’infezione della ferita chirurgica può essere superficiale e quindi si localizza a livello della cute e del sottocute, profonda se l’infezione coinvolge anche i tessuti molli e, infine, l’infezione può anche coinvolgere gli organi adiacenti o una cavità.
Il batterio maggiormente responsabile dell’infezione della ferita chirurgica è lo staphylococcus aureus.
Il trattamento consiste nella pulizia e nel drenaggio delle infezioni superficiali e nella somministrazione di antibiotici.
In ostetricia, in caso di taglio cesareo elettivo o di urgenza, è indicata la profilassi antibiotica per la prevenzione delle infezioni le quali possono anche comportare effetti sistemici e quindi una sepsi.
Un’infezione molto rara della ferita è la fascite necrotizzante che è causata dallo streptococco emolitico di gruppo A. La fascite necrotizzante si manifesta con:
- febbre elevata;
- resistenza agli antibiotici ed è causa di mortalità nel 30 – 60 % dei casi.
Questa rara infezione coinvolge gli strati profondi della pelle sino alla fascia ovvero lo strato di tessuto fibroso che riveste i muscoli.
L’infezione dell’episiotomia
L’episiotomia è un’incisone chirurgica di competenza ostetrica della vagina, piano muscolare e cute perineale che è praticata allo scopo di aumentare il diametro dell’egresso pelvico durante il periodo espulsivo per facilitare l’espulsione della testa del feto nel caso in cui questo si trovi in uno stato di grave sofferenza.
L’incisione praticata può infettarsi, soprattutto se non vengono utilizzate le misure di asepsi, tanto da provocare una sepsi. Inoltre, se l’incisione non viene correttamente suturata si può formare un così detto ematoma genitale puerperale ovvero una raccolta di sangue nel sottocute a livello perineale.
Gli ematomi genitali puerperali si differenziano in:
- ematomi vulvari (il sanguinamento è limitato ai tessuti superficiali);
- ematomi paravaginali (il sanguinamento non risulta evidente all’esterno);
- gli ematomi sopravaginali (il sanguinamento si espande nel retro peritoneo dando origine ad un emoperitoneo).
Il sangue che si raccoglie è una coltura per i batteri perciò in seguito all’episiotomia e se vi è la conseguente formazione dell’ematoma genitale puerperale si ha un aumentato rischio di infezione e di sepsi.
L’infezione dell’episiotomia si manifesta con:
- dolore perineale intenso;
- eritema;
- edema;
- drenaggio purulento della ferita.
L’ematoma genitale puerperale, se collocato superficialmente, può essere diagnosticato attraverso la semplice osservazione dei genitali esterni i quali appaiono gonfi e di colorito violaceo.
Gli ematomi paravaginali possono essere invece diagnosticati tramite la visita ostetrica grazie alla quale è possibile apprezzare una bombatura in corrispondenza della parete vaginale; in questi casi inoltre la donna lamenta una forte dolore rettale.
Per quanto riguarda gli ematomi sopravaginali la diagnosi è più difficoltosa poiché non sono evidenti dall’esterno segni di raccolte di sangue. Gli ematomi sopravaginale possono quindi essere diagnosticati tramite la risonanza magnetica poiché si ha un accumulo del sanguinamento anche al di fuori dell’apparato genitale come a livello peritoneale (la membrana che riveste la cavità addominale). Se le dimensioni dell’ematoma non sono eccessive può essere trattato applicando del ghiaccio e somministrando antinfiammatori mentre se l’ematoma è di dimensioni aumentate si rende necessaria l’incisione e il drenaggio del materiale purulento e/o del sangue all’esterno. Infine, deve essere somministrata la terapia antibiotica per prevenire la sepsi.
L’ascesso pelvico
L’ascesso pelvico è una raccolta di pus che si accumula nei tessuti a livello perineale in seguito ad un processo infiammatorio. Deve essere sospettato in presenza di dolore addominale e pelvico e dalla presenza di febbre nonostante sia stata somministrata la terapia antibiotica. Il sospetto diagnostico può essere confermato tramite la risonanza magnetica. Il trattamento prevede sia l’incisione e il drenaggio del materiale purulento sia la terapia antibiotica al fine di prevenire un quadro clinico di sepsi.
La tromboflebite pelvica settica
La tromboflebite pelvica settica si manifesta in concomitanza all’infezione dell’apparato riproduttivo ed è più frequente nelle donne che sono state sottoposte a taglio cesareo soprattutto in caso di endometrite. L’infezione ascende attraverso il sistema venoso.
La tromboflebite può coinvolgere la vena uterina, la vena ovarica e la ipogastrica. Si può manifestare con un’embolia polmonare (presenza di un embolo che ostacola il flusso di sangue dal cuore al polmone) che impone un appropriata terapia anticoagulante.
La tromboflebite pelvica settica si manifesta con:
- dolore al fianco ed al basso ventre;
- febbre;
- dolore in corrispondenza della vena coinvolta;
- arrossamento;
Si tende a rispondere parzialmente alla terapia antibiotica.
La peritonite
Si tratta dell’infiammazione del peritoneo. Il peritoneo è una membrana che riveste la cavità della pelvi (peritoneo parietale) e gli organi pelvici (peritoneo viscerali) quali utero e vescica.
La peritonite si manifesta con:
- dolore pelvico intenso;
- febbre alta accompagnata da brividi;
- malessere generale;
- mal di testa;
- perdite vaginali maleodoranti.
La prevenzione della sepsi
Al fine di prevenire la sepsi o l’insorgenza delle infezioni devono essere adottate alcune misure comportamentali:
- buona igiene personale e il frequente lavaggio delle mani sia in gravidanza che dopo il parto e rispettare le precauzioni asettiche in caso di trauma perineale;
- corretta alimentazione per evitare il sovrappeso e l’obesità;
- prevenire e trattare l’anemia in gravidanza;
- informare la donna e la coppia sull’alimentazione e i cibi che devono essere evitati per prevenire la trasmissione delle infezioni come toxoplasmosi, listeriosi e salmonellosi;
- eseguire la vaccinazione antiinfluenzale in gravidanza in modo da prevenire le complicanze legate allo stato di gravidanza e le infezioni del neonato. La vaccinazione antiinfluenzale viene offerta ad ogni gravida, anche se questa è stata vaccinata, nel terzo trimestre di gravidanza, in particolare intorno alla 28esima settimana gestazionale al fine di consentire alla gestante di produrre anticorpi sufficienti e il conseguente passaggio attraverso la placenta;
- evitare i viaggi in zone ad alto rischio infettivo;
- informare la donna sui segni e i sintomi di infezione in modo che possa rivolgere in tempi opportuni a professionisti così da confermare o escludere la presenza di un’infezione;
- effettuare la profilassi antibiotica quando indicata;
- i professionisti devono praticare l’igiene delle mani prima e dopo il contatto con il paziente;
- utilizzare le misure asettiche;
- utilizzare in maniera appropriata gli antibiotici per ridurre il rischio di antibiotico resistenza;
- seguire i protocolli.
I segni, i sintomi e la diagnosi della sepsi
I segni e i sintomi della sepsi sono:
- dolore pelvico;
- temperatura corporea maggiore di 38 gradi celsius;
- temperatura corporea minore di 36 gradi celsius;
- anomalie delle secrezioni vaginali;
- secrezioni vaginali abbondanti e maleodoranti;
- ritardo nella riduzione delle dimensioni dell’utero dopo il parto (atonia uterina);
- frequenza cardiaca maggiore di 90 battiti al minuto;
- aumento del numero dei globuli bianchi (leucocitosi);
- diminuzione del numero dei globuli bianchi (leucopenia);
- frequenza respiratori aumentata, maggiore di 12 atti respiratori al minuto;
- concentrazione di lattati nel sangue (lattacidemia) maggiore di 2 mmol.
Devono essere attivate le misure preventive di sepsi ed infezione utilizzando i sistemi di monitoraggio e di allerta. Uno di questi è la scheda “MEOWS” un sistema di allerta e di monitoraggio per facilitare il precoce riconoscimento di alterazione dei parametri vitali e di allerta in caso di sospetto di sepsi.
È necessario avviare la valutazione medica quando vi è un parametro rosso alterato o due parametri gialli alterati. Le schede di monitoraggio e allerta MEOWS, infatti, prevedono una rappresentazione dei parametri vitali quali:
- frequenza cardiaca;
- saturazione dell’ossigeno;
- frequenza respiratoria;
- pressione arteriosa sistolica;
- pressione arteriosa diastolica;
- temperatura corporea e livello di coscienza.
I valori di questi parametri vitali sono raggruppati in colori diversi in base alla gravità. Se i valori dei parametri sono racchiusi nel colore bianco significa che sono normali, se sono compresi nel colore giallo significa che sono lievemente alterati mentre se sono compresi nel colore rosso i parametri sono alterati.
Si parla di basso rischio di sepsi quando vi è più di un parametro giallo, rischio intermedio quando vi sono più di due parametri gialli e un parametro rosso e alto rischio quando vi sono più di due parametri gialli e più di due parametri rossi.
Questi parametri devono essere rilevati ogni 12 ore in caso di gravidanza e di puerperio a basso rischio, ogni 4 ore nel caso di disordini ipertensivi, ogni 4 ore nel caso in cui vi sia un’infezione sospetta o certa, ogni 15 minuti dopo il taglio cesareo in sala risveglio, ogni 30 minuti per due ore dopo il parto e poi ogni 4 – 8 ore per 48 ore e una volta al giorno sino alla dimissione.
I segni e i sintomi da indagare sempre in caso di febbre sono:
- disuria: difficoltà nella minzione che non è necessariamente accompagnata da dolore;
- stranguria: minzione dolorosa;
- difficoltà respiratorie;
- tosse;
- dolore al petto;
- intenso dolore al seno;
- varici degli arti inferiori con dolore alla compressione;
- intenso dolore alla palpazione dell’utero che non recede con il passare del tempo;
- perdite vaginali maleodoranti;
- intenso dolore addominale o pelvico localizzato;
- ferita chirurgica suppurata o ascesso della ferita;
- raccolta di pus nella sede della ferita chirurgica;
- raccolta di pus in sede di episiotomia.
I primi interventi diagnostici da mettere in atto sono il “sepsi six” che prevede tre step diagnostici (esecuzione dell’emocultura, rilevazione dei lattati ed esami di laboratorio e il monitoraggio della diuresi) e tre step terapeutici (somministrazione di ossigeno, somministrazione di fluidi per via endovenosa e somministrazione di antibiotici).
Un altro test diagnostico è il pannello sepsi che comprende:
- l’emocromo completo;
- la rilevazione dei lattati nel sangue;
- degli elettroliti;
- azoto;
- gli esami della coagulazione (PT e PTT);
- PCR e PCT per la ricerca di un’infiammazione;
- creatininemia;
- bilirubinemia;
Il sofa score che è un sistema a punteggio per la valutazione della disfunzione d’organo e si basa sulla rilevazione dei parametri vitali e degli esami ematochimici. Se il punteggio ottenuto è uguale a 1 si ha dinnanzi ad un quadro clinico patologico.
Infine, è importante identificare il focolaio settico prelevando un campione da analizzare ed eradicarlo entro 6 – 12 ore dalla sua identificazione.
La diagnosi verte quindi sulla valutazione degli indici di flogosi, sull’esame obiettivo che permette di rilevare i segni e i sintomi, sulla rilevazione dei parametri bioumorali, sull’esecuzione di indagini microbiologiche e sulla diagnostica strumentale quali la risonanza magnetica, la TAC, l’ecografia e l’RX torace.
Il trattamento della sepsi
Entro la prima ora dalla diagnosi devono essere somministrati uno o più antibiotici ad ampio spettro, efficaci contro più tipi di microrganismi patogeni. Dopo di che deve essere effettuato l’antibiogramma ovvero un esame che permette di determinare la terapia più adatta per un determinato processo infettivo.
La somministrazione degli antibiotici deve avvenire in maniera appropriata al fine di evitare l’insorgenza di una resistenza agli antibiotici in seguito alla quale quest’ultimi non daranno più effetti terapeutici. Nella maggior parte dei casi la durata del trattamento antibiotico è di 7 – 10 giorni. La dose dell’antibiotico somministrato deve essere sempre adeguata al peso della paziente.
Nel caso di ipotensione è necessario somministrare liquidi endovena (cristalloidi) entro le prime tre ore in modo da ripristinare il volume sanguigno. Se la paziente è anemica (valore di emoglobina ea 7 mg/dl) deve anche essere effettuata una trasfusione sanguigna somministrando globuli rossi concentrati in modo da migliorare il trasporto di ossigeno. Se l’ipotensione non si risolve nonostante la somministrazione di fluidi per via endovenosa si è in presenza di un quadro clinico di shock settico che prevede la gestione da parte di un anestesista per un attento monitoraggio de parametri vitali e del bilancio idrico in considerazione del rischio di edema polmonare o cerebrale.
Nel caso di sospetta sepsi deve essere somministrato ossigeno in modo da massimizzare l’ossigenazione dei tessuti e degli organi. Durante l’ossigenoterapia devono essere rilevati i parametri respiratori quali la saturazione dell’ossigeno che deve mantenersi intorno al 95 – 100 % e la frequenza respiratoria.
Infine, deve essere identificato il più precocemente possibile il focolaio di infezione mediante un esame obiettivo e quando necessario attraverso la diagnostica per immagini come la risonanza magnetica.
Il focolaio di infezione deve essere eradicato entro 6 – 12 ore dall’insorgenza dei sintomi. In ostetricia le procedure per il controllo del focolaio settico sono l’evacuazione dei prodotti del concepimento rimasti in utero tramite una revisione della cavità uterina, il drenaggio degli ascessi, l’espletamento del parto in caso di corionamniosite (infezione delle membrane amniocoriali), disinfezione della ferita chirurgica, rimozione dell’utero (isterectomia) nel caso di necrosi miometriale. Deve essere prelevato un campione del materiale biologico infetto ed eseguire esami colturali in modo da identificare il microrganismo patogeno responsabile e iniziare una terapia antibiotica mirata.
È importante eseguire anche la profilassi del tromboembolismo venoso attraverso la somministrazione di anticoagulanti quali l’eparina a basso peso molecolare, adattando il dosaggio al peso corporeo della paziente.
Nel caso in cui l’infezione e la sepsi si manifestano in gravidanza, prima di espletare il parto devono essere stabilizzate le condizioni cliniche della gravida. Se l’infezione coinvolge le membrane amnIocoriali (corionamniosite) o l’utero (endometrite) il parto deve essere espletato il più rapidamente possibile.
Nel caso di sospetta infezione da influenza deve essere eseguito un aspirato nasofaringeo per la ricerca di virus, offrire un trattamento antivirale entro 48 ore dall’inizio della sintomatologia e considerare precocemente il trasferimento in un centro di riferimento in caso di risposta alla terapia.
Le conseguenze materne
Se un’infezione non viene riconosciuta e diagnosticata tempestivamente può portare a delle gravi conseguenze quali:
- shock settico;
- edema polmonare;
- edema cerebrale;
- disfunzioni a carico di organi e apparati come problemi urinari;
- problemi respiratori;
- problemi nella coagulazione del sangue;
- problemi intestinali;
- deficit neurologici;
- problemi della pressione arteriosa;
- alterazione dei parametri bioumorali;
- mortalità materna.
Anche il nascituro risente delle complicanze delle infezioni e della sepsi materna la quale è responsabile di sofferenza fetale che può comportare deficit neurologici e il decesso prima o subito dopo la nascita.
Le infezioni, inoltre, sono anche responsabili dell’insorgenza del travaglio di parto prima del termine di gravidanza poiché la presenza di microrganismo patogeni stimola l’attività contrattile dell’utero.
Il feto, di conseguenza, va incontro alle conseguenze della prematurità come problemi respiratori a causa:
- dell’immaturità polmonare;
- dei problemi di termoregolazione;
- della retinopatia del prematuro;
- di problemi intestinali;
- di problemi comportamentali;
- dei deficit neurologici.
I possibili errori medici in caso di sespi
Gli errori medici in caso di sepsi potrebbero essere:
- trattamento intempestivo;
- mancato riconoscimento dei segni e dei sintomi di infezione e sepsi;
- diagnosi tardiva;
- diagnosi errata;
- somministrazione della terapia antibiotica in maniera impropria;
- ritardo nell’espletamento del parto dopo aver fatto diagnosi di corionamniosite;
- mancata somministrazione di fluidi endovena se si è alla presenza di ipotensione;
- mancata esecuzione della trasfusione di sangue se la paziente è anemica;
- mancata esecuzione della profilassi antibiotica in caso di taglio cesareo, di rimozione manuale della placenta, di lacerazioni che oltre alla cute vaginale e ai muscoli perineali coinvolgono anche lo sfintere e la mucosa anale;
- esecuzione di un errata sutura dell’episiotomia;
- mancata ricerca di segni e di sintomi di danno d’organo nelle pazienti con un’infezione accertata o presunta;
- mancata ricerca dei segni e dei sintomi di infezione in tutti i pazienti con d’anno d’organo non attribuibile ad una particolare causa in modo da poter escludere o confermare la presenza di una sepsi o di uno shock settico;
- mancata esecuzione della profilassi antibiotica in seguito alla rottura delle membrane amniocoriali e/o all’insorgenza del travaglio di parto nel caso di tamponi vaginali e rettali positivi per la ricerca dello streptococco beta emolitico;
- mancata somministrazione della profilassi trombo embolica con eparina a basso peso molecolare;
- mancata esecuzione della vaccinazione antiinfluenzale nel terzo trimestre di gravidanza;
- omissione nella rilevazione dei parametri vitali;
- mancata esecuzione di esami strumentali quali risonanza magnetica, TAC, ecografia o RX torace se vi è il sospetto di sepsi e danno d’organo;
- mancata ricerca ed eradicazione del focolaio di infezione entro 6 – 12 ora dalla diagnosi;
- mancata somministrazione della terapia antibiotica con uso di antibiotici ad ampio spettro efficaci contro più tipi di microrganismi patogeni entro la prima ora dalla diagnosi;
- mancata esecuzione dell’antibiogramma al fine di stabilire la terapia più adatta per un determinato processo infettivo;
- mancato trattamento dell’anemia in gravidanza;
- mancata igiene delle mani prima e dopo il contatto con il paziente;
- mancato riconoscimento dei fattori di rischio.