INVERSIONE UTERINA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO PER MALASANITÀ
L’inversione d’utero è una grave complicanza del secondamento, spesso conseguente a traumi ostetrici.
L’inversione d’utero è una patologia del post-partum che può insorgere durante il terzo stadio del travaglio (secondamento), ovvero il momento in cui avviene l’espulsione della placenta.
Questa condizione è correlata a complicanze gravi e ad un rilevante rischio di mortalità per la donna. È fondamentale che l’inversione uterina venga trattata immediatamente per ridurre il rischio di esiti infausti correlati a questa condizione.
In caso di gravi complicanze o morte della madre o del bambino, pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (marito, partner, convivente, genitori, figlio/figlia, fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso e se c’erano effettive possibilità di guarigione. Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzati in responsabilità medica, bisogna capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità della struttura ospedaliera o del ginecologo o dell’ostetrica.
Quando si verifica l’inversione uterina
L’incidenza di inversioni uterine è piuttosto rara, pari circa allo 0,03% dei parti, con un tasso di mortalità materna pari a circa il 15% dei casi in cui non si avvia un tempestivo trattamento.
L’inversione uterina si verifica quando il fondo dell’utero si disloca dalla sua posizione e si invagina su sé stesso all’interno della cavità uterina, come un guanto rovesciato.
Il verificarsi di questa complicanza è spesso correlato a manovre ostetriche traumatiche durante il parto. La sua insorgenza in corso di taglio cesareo è più rara ma comunque possibile.
Quale classificazione può avere l’inversione uterina
In base alla gravità dell’inversione uterine, possono essere distinti in quattro differenti gradi:
- primo grado: si ha una depressione del fondo dell’utero, che rimane confinata alla cavità uterina;
- secondo grado: l’inversione uterina supera la cervice uterina (collo dell’utero) e arriva in vagina;
- terzo grado: il fondo uterino supera la vagina e si affaccia all’esterno;
- quarto grado: il fondo uterino è completamente estroflesso coinvolgendo anche una porzione della vagina nell’inversione.
Quali sono le possibili complicanze in caso di inversione uterina
La principale complicanza dell’inversione uterina è rappresentata dall’emorragia del postpartum.
Tale problematica vede l’utero che, essendo invertito, non riesce a contrarsi e non può contenere la perdita ematica come accade fisiologicamente dopo il parto.
Solitamente, l’emorragia è massiva e se non viene trattata subito può determinare rapidamente una forte ipotensione e il successivo collasso cardiovascolare, con un considerevole rischio di mortalità materna.
Lo stato di shock può subentrare molto velocemente e non per forza in maniera correlata alla quantità della perdita ematica: il trauma subìto dai legamenti uterini può determinare una risposta del sistema parasimpatico che altera ulteriormente i parametri vitali della donna.
Un forte dolore addominale accompagna questi eventi.
L’ipovolemia, determinata dalla considerevole perdita di liquidi, deve essere trattata come prima cosa per impedire il collasso materno, ma la risoluzione dell’emorragia può avvenire solo con un riposizionamento del corpo dell’utero nella sede originaria.
La responsabilità del ginecologo o dell’ostetrica, e quindi dell’Ospedale, della Clinica o della Casa di cura, potrebbe derivare non solo dall’insorgenza della complicanza ma anche dal mancato riconoscimento precoce della problematica o, comunque, dall’incapacità di gestire correttamente la situazione, eseguendo terapie sbagliate, tardive, inefficaci o, comunque, non tempestive.
Quali possono essere le cause dell’inversione uterina
Le cause di inversione d’utero sono principalmente legate a traumi ostetrici avvenuti durante il parto.
Durante il terzo stadio del travaglio, detto secondamento, il bambino è già nato e la placenta deve essere espulsa, perché ha ormai concluso la sua funzione come organo essenziale per la vita del feto.
L’espulsione della placenta avviene in genere entro 30 minuti dalla nascita del bambino e si verifica in maniera spontanea: gradualmente si distacca dalla sua sede di impianto nell’utero e scende nel canale da parto per essere espulsa dal corpo materno.
Questo evento viene in genere facilitato da una leggera trazione esercitata dall’ostetrica o dal ginecologo sul funicolo ombelicale. Secondo molti studi, aiutare l’espulsione della placenta con una trazione può ridurre il rischio di emorragia del post-partum, ma una trazione eccessiva, esercitata quando la placenta non è ancora completamente distaccata, può dislocare l’utero dalla sua sede e determinarne l’inversione.
Questo grave errore può verificarsi con maggiore facilità in presenza di accretismo placentare, ovvero quando la placenta ha un’adesione più profonda nella parete uterina e il distacco non avviene in maniera spontanea.
La condizione di placenta accreta deve essere diagnosticata prima del parto, per poter prevedere future complicanze del secondamento ed evitare gravi errori.
Un’altra possibile causa di inversione uterina è l’esecuzione della manovra di Kristeller, ovvero l’esecuzione di pressione sul fondo uterino da parte del medico o ostetrico, che preme con una mano o con l’avambraccio sull’addome della donna.
Lo scopo della manovra di Kristeller è quella di accelerare l’espulsione del feto, tuttavia le linee guida ne controindicano l’adozione nella pratica clinica, a causa degli aumentati rischi di trauma materno e fetale ad essa correlati; in particolare, se la pressione esercitata sull’addome è eccessiva, si può verificare una inversione d’utero.
Anche nel caso venga effettuato un secondamento manuale, ovvero il distacco e l’estrazione manuale della placenta da parte del medico, può provocare l’inversione uterina se viene effettuata in maniera scorretta e traumatica.
L’inversione d’utero può anche avere delle cause non determinate da una scorretta assistenza ostetrica, come avviene nel caso il funicolo ombelicale sia troppo corto e venga trazionato eccessivamente dal bambino al momento dell’espulsione.
Quali sono i fattori di rischio dell’inversione uterina
I fattori di rischio maggiormente significativi da considerare durante il travaglio di parto per predire una possibile inversione uterina sono:
- primiparità (essere alla prima gravidanza);
- brevità del funicolo ombelicale;
- eccessiva trazione del funicolo ombelicale durante il secondamento;
- manovra di Kristeller eseguita con eccessiva pressione;
- accretismo placentare;
- inversione uterina in una gravidanza precedente;
- travaglio di parto protratto;
- somministrazione scorretta di farmaci;
- presenza di miomi sottomucosi;
- parto vaginale conseguente ad un taglio cesareo;
- endometriti.
È necessario considerare che una pregressa esperienza di inversione uterina determina al momento del successivo parto una possibilità di ricorrenza di oltre il 40%.
È anche importante ricordare che la trazione del cordone ombelicale nel terzo stadio del travaglio deve essere effettuata da un operatore con esperienza e una adeguata formazione.
La manovra di Kristeller invece è sconsigliata dalle Linee Guida e dovrebbe invece essere abolita dalla pratica clinica.
Se si ritiene di essere stati vittima di un errore medico, di colpa medica dell’Ospedale o di un caso di malasanità potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per responsabilità e colpa medica.
Quali sono i sintomi dell’inversione uterina
L’inversione d’utero determina in genere un esordio sintomatologico improvviso e piuttosto specifico, che consente il più delle volte in una diagnosi rapida e permette di trattare prontamente il disturbo riducendo il rischio di mortalità materna.
I primi sintomi dell’inversione uterina sono:
- emorragia del post-partum incontrollata;
- forti dolori nella zona inferiore dell’addome durante il periodo del secondamento;
- sensazione riferita dalla donna di una massa presente in vagina e sensazione di premito.
A questi sintomi che si presentano immediatamente a seguito dell’evento di inversione d’utero si presentano ulteriori segni che devono essere riconosciuti immediatamente, quali:
- non percezione del fondo uterino durante la palpazione addominale o anomalie alla palpazione;
- massa presente in vagina alla visita ostetrica o massa bluastra osservabile a livello vulvare;
- collasso cardiovascolare e shock.
È importante ricordare che in una piccola percentuale di casi l’inversione d’utero può essere asintomatica e determinare un ritardo nella diagnosi della patologia.
Come procedere alla diagnosi di inversione uterina
La sintomatologia tipica di inversione uterina è specifica e consente in genere un riconoscimento rapido di questa condizione.
Nel caso di inversione d’utero di primo grado la condizione potrebbe essere non sintomatica: in particolare se le perdite ematiche non sono considerevoli, la diagnosi può essere ritardata anche di qualche settimana dal parto.
Questo si verifica in genere in presenza di un soggetto obeso, condizione che complica la palpazione addominale e l’identificazione delle anomalie.
La donna in genere lamenta perdite ematiche che proseguono anche oltre il puerperio e presenza di dolori addominali. La conferma diagnostica si può ottenere tramite l’esecuzione di un’ecografia o di una Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), che può offrire immagini utili alla diagnosi.
Trattamento medico sanitario dei casi di inversione uterina
Per prima cosa è opportuno stabilizzare i parametri vitali della donna fronteggiando la perdita ematica e la conseguente ipotensione.
La somministrazione di fluidi endovena consente la correzione dell’ipovolemia e previene lo shock; la somministrazione di ossigeno aiuta a supportare i valori dei parametri vitali.
Il trattamento dell’inversione uterina si verifica con il riposizionamento dell’utero nella sua sede; questo può avvenire manualmente o tramite la chirurgia.
Il riposizionamento manuale dovrebbe avvenire in anestesia generale, dal momento che si tratta di un intervento molto invasivo e doloroso e va effettuato in regime di sterilità.
Un operatore esperto deve afferrare il fondo uterino e lo spinga oltre la cervice uterina, riportandolo nella sua posizione abituale, mentre con l’altra mano, posta sull’addome della donna, si aiuta a mantenere l’utero nella corretta posizione.
Il fondo uterino va mantenuto in posizione per cinque minuti e poi si procede alla somministrazione di un uterotonico (un farmaco in grado di fare contrarre l’utero), un trattamento che va continuato anche nelle ore successive.
Se il riposizionamento manuale non è efficace, si procede con un secondo tentativo; se ancora una volta non si ottengono i risultati sperati, è necessario ricorrere al trattamento chirurgico: a seguito dell’incisione dell’addome, si procede a ricollocare il fondo uterino nella corretta sede afferrandolo con delle pinze chirurgiche o in alternativa con una ventosa ostetrica.
Un’ulteriore alternativa può essere rappresentata dalla correzione dell’inversione uterina e dal successivo inserimento di un pallone compressivo riempito di soluzione fisiologica, al fine di mantenere l’utero posizionato nei visceri e prevenire le possibili recidive.
Anche in caso di trattamento chirurgico è opportuno provvedere ad una successiva somministrazione di uterotonici.
A seguito della correzione dell’inversione deve essere considerata la necessità di trasfusione ed è opportuno effettuare degli esami ematochimici per monitorare le condizioni cliniche della donna.
Frequenti controlli tramite palpazione addominale o l’esecuzione di un’ecografia consentono di prevenire la possibilità di una recidiva.