TERAPIA COMPORTAMENTALE E PARALISI CEREBRALE INFANTILE
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
La terapia comportamentale o anche chiamata terapia del comportamento è una psicoterapia che si prefigge di modificare un comportamento negativo.
La terapia comportamentale può essere applicata nel trattamento della paralisi cerebrale infantile. I bambini che presentano i disturbi neuromotori e i deficit cognitivi che accompagnano la paralisi cerebrale infantile si sentono diversi dagli altri tanto da avere una concezione sbagliata di sé stessi poiché non sono in grado di esprimersi con i movimenti né di compiere delle semplici attività quotidiane.
I bambini con paralisi cerebrale infantile, infatti, presentano molte limitazioni, soprattutto se i disturbi di tipo motorio sono accompagnati da deficit cognitivi, problemi del linguaggio, problemi visiti e uditivi ecc i quali non gli permettono di condurre una vita normale, ostacolando il suo inserimento nell’ambito sociale e gli rendono difficoltosi i rapporti relazionali con i coetanei.
Allo scopo di poter sviluppare la personalità dei bambini con paralisi cerebrale infantile, essa deve essere diagnosticata in tempi opportuni e, soprattutto, non devono essere trascurati dal medico quei segni che fanno sospettare della presenza di un danno a carico del sistema nervoso centrale ma devono essere attuati degli interventi che possano permettere a questi bambini di condurre quantitativamente e qualitativamente, per quanto possibile, una vita normale attraverso trattamenti riabilitativi ed educativi e una di questi è, per l’appunto, la terapia del comportamento.
Manifestazioni della paralisi cerebrale infantile
Le manifestazioni cliniche della paralisi cerebrale infantile sono dinamiche e nonostante sia una malattia neuromotoria persistente la sintomatologia varia con il passare del tempo e in base anche alla regione corporea in cui è localizzato il disturbo motorio e alla tipologia di quest’ultimo.
I segni della paralisi cerebrale infantile possono essere riconosciuti sia al momento della nascita che durante la crescita del bambino.
Al momento del parto può essere sospettata la paralisi cerebrale infantile se il neonato presenta flaccidità muscolare (ipotonia), assenza di riflessi e sintomi di compromissione neurologica come ad esempio convulsioni; in questi casi devono essere immediatamente eseguiti gli accertamenti per confermare o escludere la paralisi cerebrale infantile e, nel caso in cui è confermata la presenza di una lesione cerebrale, mettere in atto i possibili trattamenti al fine di evitare che il quadro clinico peggiori.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze.
La paralisi cerebrale infantile è una malattia neuromotoria che vede coinvolti i muscoli scheletrici, ovvero quei muscoli deputati al movimento, per cui l’individuo con paralisi cerebrale infantile presenta disturbi motori come anomalie del movimento e della postura dovuti a un’alterazione del sistema nervoso. I deficit motori possono anche essere accompagnati da disturbi cognitivi, disturbi del linguaggio, disturbi sensoriali e disturbi emotivi.
I segni di un’eventuale compromissione cerebrale, in alcuni casi, si manifestano durante la crescita del bambino quando quest’ultimo non raggiunge alcune delle fasi fondamentali del suo sviluppo a causa della presenza di un danno a carico del sistema nervoso centrale come camminare, gattonare, mantenersi in piedi anche con l’aiuto di un appoggio, stare seduto, salire e scendere le scale, portarsi gli oggetti in bocca.
La paralisi cerebrale infantile è un disturbo persistente che non progredisce durante il corso della vita dell’individuo, anche se i sintomi possono essere attenuati grazie a delle terapie riabilitative o alla chirurgia; ad ogni modo i sintomi e i segni variano con la crescita del bambino.
I segni e i sintomi della paralisi cerebrale infantile sono sia a carico del sistema nervoso che dei muscoli scheletrici.
Classificazione della paralisi celebrale infantile
La paralisi cerebrale infantile può essere classificata sia in base all’area corporea che risente del deficit motorio e sia tenendo conto dell’entità e della tipologia di quest’ultimo.
Se il deficit motorio interessa tutti e quattro gli arti si parla di tetraplegia, se interessa soltanto il lato destro o il lato sinistro del corpo si parla di emiplegia, mentre se il deficit è prevalentemente localizzato a carico degli arti inferiori si parla di diplegia.
Il disturbo motorio è più raramente localizzato in un solo arto e in questo caso si parla di monoplegia.
In base all’entità del disturbo si distinguono diverse forme di paralisi cerebrale infantile:
- forme spastiche: caratterizzata da ipertonia muscolare;
- forme atassiche: comportano disturbi della coordinazione dei movimenti volontari, ipotonia muscolare, disturbi dell’equilibrio e tremori;
- forme discinetiche: presenza di movimenti non volontari a causa di una continuo cambiamento del tono dei muscoli scheletrici deputati al movimento. Questi movimenti possono essere violenti e bruschi, involontari, non coordinati e difficili da controllare. Le forme coreo atetoniche sono facilmente riconoscibili poiché l’individuo affetto da questa forma di paralisi cerebrale infantile presenta a carico degli arti superiori dei movimenti tentacolari.
La paralisi cerebrale infantile è conseguenza di un danno a carico del tessuto nervoso.
Durante la gravidanza, le cause della paralisi cerebrale infantile possono essere le infezioni materne che vengono trasmesse al feto e i cui agenti patogeni hanno come bersaglio il sistema nervoso centrale, anomalie del processo che porta alla formazione della placenta, assunzione di stupefacenti da parte della gravida, ma anche cause metaboliche, malformazioni fetali e cause vascolari.
Al momento del travaglio di parto, invece, le cause della paralisi cerebrale infantile sono da ricercarsi in degli eventi ipossico (riduzione dell’apporto di ossigeno al feto) o ischemici (riduzione del flusso sanguigno a livello cerebrale) i quali devono essere evitati e risolti il più tempestivamente possibile perché sono responsabili di gravi lesioni a carico del sistema nervoso centrale.
Infine, nel periodo post-natale possono agire cause traumatiche, infettive e vascolari che possono dar luogo alla paralisi cerebrale infantile.
I bambini più a rischio di contrarre la paralisi cerebrale infantile sono quelli nati prima del termine di gravidanza ovvero prima della 37esima settima gestazionale considerando che il sistema nervoso centrale non essendo ancora strutturalmente e funzionalmente sviluppato è più vulnerabili a riportare dei danni.
Qualora vi siano i presupposti, la madre, il padre, i nonni, il fratello o la sorella o gli eredi potrebbero dunque chiedere il risarcimento dei danni per essere stati vittime di un caso di malasanità a causa di una diagnosi sbagliata, errata, tardiva oppure di una cura sbagliata o errata o di una terapia non tempestiva o inefficace. Lo studio legale o l’avvocato, preferibilmente specializzati in danni da responsabilità medica, insieme al proprio medico legale, valuteranno se vi sia o meno la possibilità di chiedere i danni all’Ospedale, all’Assicurazione, al ginecologo, al pediatra/neonatologo e più in generale ai medici coinvolti.
La terapia comportamentale
La terapia comportamentale si focalizza sul comportamento del soggetto caratterizzato da problemi di disadattamento e sofferenza, motivo per cui questi comportamenti vengono detti sintomatici.
Questi comportamenti vengono esaminati anche tenendo conto del contesto nel quale si manifestano.
La terapia comportamentale è anche associata alla terapia cognitiva che utilizza delle tecniche di intervento quali quelle di condizionamento e decondizionamento atte ad estinguere o a rimodulare le risposte psicofisiologiche e comportamentali o tecniche di desensibilizzazione sistematica impiegata per superare i disturbi dell’ansia o le tecniche di diversione dell’attenzione o tecniche di rilassamento.
Un’altra tecnica della terapia comportamentale è quella del flooding o anche chiamata implosione. In questo caso il terapeuta porta il paziente a pensare, facendo riferimento all’immaginazione o alla realtà, la situazione che lo spaventa cosi da fargli rendere conto che i suoi timori non sono reali finché la paura non si estingue.
Soltanto una volta che il soggetto si rende conto dei suoi comportamenti improduttivi questi possono essere modificati in positivi cosi che possa rispondere e reagire a certe situazioni.
Le reazioni emotive e i problemi sono il prodotto della valutazione che l’individuo fa della situazione stessa. I problemi non sono altro che delle distorsioni cognitive dovute alla soggettiva rappresentazione della realtà.
Mentre attraverso la terapia cognitiva è possibile dare una spiegazione alle emozioni e ai disturbi emotivi dopo aver analizzato la relazione esistente tra emozioni, comportamenti e pensieri, la terapia cognitivo comportamentale permette di aiutare i pazienti ad acquisire la consapevolezza dei loro pensieri per quanto riguarda l’interpretazione della realtà cosi da poter sostituire i pensieri e le visioni negative con quelle positive. Solo in questo modo è possibile superare situazioni difficili.
La terapia cognitiva comportamentale è approvata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
La terapia comportamentale permette quindi all’individuo che ne usufruisce di poter gestire situazioni difficili, stressanti e frustanti o che provocano ansia, dolore o rabbia. È importante che tali situazioni vengano superate perché non fanno altro che incidere, in senso negativo, sulla vita dell’individuo.
Dopo aver superato queste situazioni l’individuo riesce ad autodeterminarsi, diventa più abile, riesce a portare a termine un compito, ad inserirsi fra i coetanei, a gestire le emozioni, concentrarsi, superare dei traumi, rilassarsi, superare la depressione e risolvere dei conflitti.
La terapia comportamentale viene anche impiegata per il trattamento della paralisi cerebrale infantile allo scopo di ottimizzare la qualità di vita del bambino facendogli superare la visione pessimistica che ha di sè e promuovendo il suo inserimento tra i coetanei e nei vari ambienti di vita.
I bambini che presentano i disturbi neuromotori e i deficit cognitivi che accompagnano la paralisi cerebrale infantile si sentono diversi dagli altri tanto da avere una concezione sbagliata di se stessi poiché non sono in grado di esprimersi con i movimenti né di compiere delle semplici attività quotidiane.
Dalla terapia comportamentale ne trae beneficio sia i genitori sia gli stessi bambini.
La paralisi cerebrale infantile, dopo che viene diagnosticata, non va ad incidere solo sulla vita del bambino ma anche su quella dei genitori i quali devono trovarsi a convivere con il loro bambino affetto da disturbi motori e cognitivi che, non permettendogli di vivere una vita normale, necessita di un numero maggiore di attenzioni e di cure le quali spesso richiedono notevoli risorse finanziarie.
Durante la fase della prima infanzia, in assenza di quadri patologici, i bambini sviluppano le loro abilità emotive, comprendono i sentimenti, sviluppano certi comportamenti, raggiungono delle fasi fondamentali per il loro sviluppo quali gattonare, stare in piedi, camminare, scendere e salire le scale, afferrare e lanciare gli oggetti, stare seduto, portarsi gli oggetti verso la bocca ecc, sviluppano l’affetto e i sentimenti che andranno a condizionare anche l’età adulta.
Le abilità emotive e i comportamenti sviluppati dai bambini sono influenzati dai genitori e dagli altri parenti con i quali si trovano in contatto e possono interagire e socializzare.
Se il bambino, sin dalla prima infanzia, inizia a mostrare disturbi comportamentali e dell’apprendimento e non raggiunge delle tappe fondamentali del suo sviluppo fisico e psichico necessita dell’intervento di un professionista di terapia comportamentale che gli impartisca degli schemi di riferimento dei quali deve avvalersi per sviluppare quelle capacità che a causa del disturbo neuromotorio sono venute meno.
Le capacità di questi bambini sono perciò limitate tanto che si sentono esclusi e diversi rispetto ai coetanei considerando anche il fatto che devono essere sottoposti a specifici trattamenti ed hanno quindi una visiona pessimista di sé rispetto al mondo che li circonda poiché non sono in grado di comunicare né di esprimersi come vorrebbero.
Grazie alla terapia comportamentale il bambino può abbattere i propri pregiudizi, acquisendo un atteggiamento positivo nei confronti delle situazioni che gli si presentano e superando l’immagine negativa che hanno di sé.
Attraverso la terapia comportamentale è infatti possibile superare determinate situazioni quali l’ansia, la tristezza, la rabbia, la frustrazione in modo che queste emozioni possano essere sostituite da pensieri positivi quali ad esempio il coraggio, l’autonomia, la fiducia. Il bambino può imparare a gestire le emozioni e a interagire con il mondo che lo circonda grazie anche all’utilizzo di mezzi di comunicazione cosi che possa essere in grado di svolgere le attività quotidiane, di avere più fiducia in sé stesso, di partecipare attivamente alla vita e di integrarsi con i suoi coetanei.
La terapia comportamentale è anche efficace per quei bambini con disabilità cognitiva in quanto gli permette di promuovere la sua autodeterminazione e la sua autostima.
Infine, la terapia comportamentale è utile anche per l’età adulta in quanto permette di mantenere l’autostima, la fiducia in sé, il senso di responsabilità cosi che l’individuo possa positivamente proiettarsi verso il futuro.
Il professionista che si occupa della terapia comportamentale deve essere in grado di identificare i disturbi dell’attenzione, i fattori di stress, le paure, l’ansia che devono essere superate inoltre deve essere capace di influenzare in maniera positiva i comportamenti.
La terapia comportamentale è indicata quando il bambino presenta disturbi dell’apprendimento o quando sono presenti segni di isolamento, depressione, comportamenti antisociali, ansia, inappetenza, difficoltà nello svolgimento di attività, disturbi del sonno, frustrazione, senso di impotenza, sbalzi d’umore, irritabilità, carenze sociali ed emotive, disturbi emotivi, problemi relazionali, carenze affettive, perdita di interesse.
La durata delle sedute di terapia comportamentale dipende dai sintomi e dalla loro entità ma dipende anche dal lasso di tempo durante il quale si sono verificati questi comportamenti negativi; nella maggior parte dei casi si tiene una seduta a settimana. Il paziente e il terapeuta devono collaborare in modo da mettere in atto delle strategie che possano essere utili per il paziente al fine di permettergli di superare situazioni complesse.
Il progresso della terapia viene valutato periodicamente valutando se gli obiettivi desiderati sono stati ottenuti.
Prima di intraprendere questo tipo di trattamento se ne deve discutere con i genitori insieme ai quali devono essere fissati gli obiettivi che si intendono raggiungere adattandosi alle esigenze del paziente.
Si possono occupare di terapia comportamentale gli psicoterapeutici, il consulente professionale autorizzato e gli psichiatri.
Il compito egli psicoterapeuti è quello di favorire il benessere dell’individuo e le sue relazioni con i componenti di un gruppo. Lo psicoterapeuta studia come gli individui si relazionano tra di loro, si confrontano e si influenzano.
L’abilità dello psicoterapeuta è quella di promuovere la consapevolezza, l’adattamento, l’empatia e la percezione dell’individuo.
Il consulente professionale autorizzato si concentra invece su come risolvere dei problemi di vita specifici.
Lo psichiatra, infine, a differenza delle due precedenti figure, è un professionista con laurea in medicina e chirurgia e specializzazione in psichiatria e può prescrivere dei farmaci che devono essere somministrati.
Possibili errori medici nello svolgimento della terapia
Nello svolgimento della terapia possono verificarsi errori medici quali:
- diagnosi errata;
- esecuzione di un intervento diagnostico terapeutico senza prima aver ottenuto il consenso da parte dei genitori;
- mancata esecuzione della terapia comportamentale quando necessaria;
- omissione del monitoraggio del benessere del feto durante la gravidanza, il parto e il puerperio;
- esecuzione della terapia comportamentale da parte di un medico non qualificato;
- mancato riconoscimento dei segni e dei sintomi per i quali si rende necessaria la terapia comportamentale;
- trattamento intempestivo.
In caso di gravi complicanze o morte del bambino, pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (genitori, nonni fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso e se c’erano effettive possibilità di guarigione. Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzati in responsabilità medica, bisogna capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità della struttura ospedaliera o del ginecologo o dell’ostetrica.
Conseguenze per il neonato con paralisi cerebrale infantile
Possibili conseguenze della paralisi celebrale infantile, che acuiscono se non tempestivamente trattate:
- difficoltà nei rapporti con i coetanei;
- mancanza di espressione con i movimenti;
- mancato raggiungimento di alcune tappe fondamentali dello sviluppo;
- difficoltà nell’alimentazione;
- deficit del linguaggio;
- disturbi comportamentali;
- disturbi dell’attenzione;
- non riuscire a mantenere la postura eretta;
- non riuscire a stare seduto;
- non riuscire a gattonare e successivamente a camminare;
- non riuscire ad afferrare gli oggetti;
- limitazione dei movimenti;
- difficoltà a camminare;
- rigidità muscolare;
- deficit cognitivi;
- problemi relazionali;
- problemi visivi e uditivi.