CORRETTA VALUTAZIONE DEL TRACCIATO CARDIOTOCOGRAFICO PER RIDURRE I DANNI IPOSSICO-ISCHEMICI NEONATALI
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
Durante i nove mesi di gravidanza e durante l’ultima fase della gravidanza (il travaglio ed il parto) è basilare che il medico o l’ostetrica riconoscano la sofferenza fetale per impedire che il feto subisca dei danni cerebrali. La sofferenza fetale è una condizione poco rassicurante, in cui il feto si trova in carenza di ossigeno, l’ossigeno è importante per la sopravvivenza delle cellule. In mancanza di ossigeno le cellule muoiono, quelle che per prime risentono della mancanza di ossigeno sono le cellule cerebrali, la necrosi (morte) può comportare l’encefalopatia ipossico-ischemica.
I professionisti sanitari che monitorano il benessere del feto tramite il tracciato, devono riconoscere le situazioni poco rassicuranti che richiedono il parto immediato tramite taglio cesareo o tramite applicazione della ventosa ostetrica.
Più precocemente viene effettuato il taglio cesareo e più alte sono le probabilità di salvare il bambino.
Potrebbe capitare che il feto sia in una condizione di sofferenza, ma che non sia monitorato con il tracciato, in questo caso i professionisti non si accorgono della situazione.
Prima del travaglio ci si può accorgere della sofferenza fetale durante i controlli che si fanno regolarmente in gravidanza per monitorare la crescita del feto nel tempo. In travaglio invece ci si accorge tramite il tracciato. Tuttavia, ci sono delle evidenze scientifiche che hanno dimostrato che il tracciato fetale può anche essere posizionato ad intermittenza.
Un errore del ginecologo o dell’ostetrica o dell’Ospedale per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare, nei casi più gravi, anche al decesso della madre o del feto e la morte costituisce la lesione maggiore del bene giuridico della vita. In questi casi anche i familiari del paziente vittima di malasanità potrebbero avere diritto al risarcimento del danno, in particolare il marito (il convivente more uxorio o il partner convivente) i genitori, il figlio o la figlia, i fratelli o le sorelle o gli eredi.
Molte cliniche ostetriche utilizzano però tuttora il monitoraggio continuo perché rassicura i professionisti sanitari, anche se è stato notato un aumento dei falsi positivi (ovvero il tracciato rileva la sofferenza del feto, ma in realtà il feto non è realmente in sofferenza). Il monitoraggio ad intermittenza può essere eseguito solo nei casi in cui tutta la gravidanza sia fisiologica e non ci sia nessuna condizione fuori dalla norma.
Il battito cardiaco fetale non rassicurante preoccupa l’equipe perché significa che il feto probabilmente ha un deficit di ossigeno che lo mette a rischio di encefalopatia ipossico-ischemica.
Il tracciato cardiotocografico
Il monitoraggio cardiaco fetale può avvenire dall’esterno (tramite il tracciato cardiotocografico) oppure internamente (scalpo fetale).
Il tracciato esterno viene considerato anche un “non-stress test”, nel senso che al bambino non si causa nessun fastidio durante il monitoraggio. Il monitoraggio della frequenza cardiaca avviene attraverso una sonda che viene posta sull’addome della donna. La sonda viene posta dove l’ostetrica, attraverso la palpazione dell’addome materno, pensa ci possa essere presente il dorso del feto, in corrispondenza del dorso è il punto migliore per poter rilevare il suo battito. Il tracciato esterno è costituito da una seconda sonda che posta nella parte più alta dell’addome materno rileva le contrazioni uterine.
Il tracciato cardiotocografico infatti è costituito da due linee, la prima del battito cardiaco, la seconda delle contrazioni. È importante la valutazione del benessere fetale tenendo conto delle contrazioni, perché il battito può subire delle modifiche in corrispondenza o meno delle contrazioni e questo ha dei significati differenti che l’ostetrica sarà in grado di valutare.
Un altro tipo di monitoraggio è quello interno. Viene eseguito con l’applicazione nel cuoio capelluto del feto di una sonda, per questo è necessario che le membrane amniocoriali siano rotte altrimenti la sonda non può essere posta nel cuoio fetale. La sonda è collegata al macchinario che riporta la frequenza fetale nel foglio dove vengono riportate anche le contrazioni uterine. Il monitoraggio interno può essere fastidioso per la mamma, è una procedura invasiva anche per il feto.
La responsabilità del ginecologo o dell’ostetrica, e quindi dell’Ospedale o della Clinica, potrebbe derivare non solo dall’insorgenza della complicanza ma anche dalla non tempestiva o errata diagnosi, o dal mancato riconoscimento della problematica o, comunque, dall’incapacità di gestire correttamente la situazione, eseguendo terapie sbagliate, tardive, inefficaci o, comunque, non tempestive.
La lettura della frequenza cardiaca fetale per prevenire l’encefalopatia ipossico-ischemica
La lettura della frequenza cardiaca fetale viene fatta in una porzione di tracciato di almeno 10 minuti, il tracciato deve durare almeno 20-30 minuti per poter affermare o meno il benessere del feto. Nel tracciato l’ostetrica e il medico valutano i diversi parametri: la linea di base, le accelerazioni, le decelerazioni e la variabilità. La linea di base normalmente è tra 110 e 160 bpm (battiti per minuto), se è inferiore a 110 bpm si parla di bradicardia (frequenza cardiaca troppo bassa), se è superiore a 160 bpm tachicardia (frequenza troppo elevata). La bradicardia e la tachicardia se durano per troppo tempo indicano una condizione fetale non rassicurante.
La variabilità invece indica le oscillazioni del battito fetale, la variabilità deve essere presente ed è sinonimo di benessere fetale. Quando la variabilità è ridotta o è troppo elevata questo indica una possibile sofferenza del feto, l’errore nel riconoscimento e nel trattamento può causare danni fetali.
Le accelerazioni e le decelerazioni sono degli aumenti o delle riduzioni della linea di base che durano tra 15 e 30 secondi (se durano più di 10 minuti si tratta di una modifica della linea di base).
Normalmente le accelerazioni sono in corrispondenza dei movimenti fetali, le decelerazioni invece possono essere causate dalla contrazione o da riduzione dell’apporto di sangue che giunge al feto. In un tracciato rassicurante devono essere presenti accelerazioni e le decelerazioni possono essere presenti ma non devono essere troppo prolungate, e devono essere in corrispondenza della contrazione ovvero devono iniziare e concludersi con la contrazione. Le decelerazioni possono essere di vario tipo, vengono riconosciute in base alla curva che assumono e in base alla corrispondenza con la contrazione.
La decelerazione può essere causata da:
- il deficit di ossigeno nel sangue fetale causato da un’anomalia della placenta.
- la compressione del funicolo ombelicale può causare un blocco del flusso di sangue che giunge al feto.
- il prolasso del cordone ombelicale.
- i giri di cordone attorno al collo.
- l’ipotensione materna (pressione sanguigna bassa).
- l’ipertensione materna (pressione sanguigna elevata).
- le contrazioni troppo forti e ravvicinate tra loro che impediscono il giusto flusso di sangue al feto.
- un’emorragia materna.
- infezioni materne che compromettono il corretto flusso sanguigno al feto.
- il distacco di placenta;
- la rottura dell’utero.
La bradicardia
La bradicardia (linea di base della frequenza cardiaca inferiore a 110 battiti per minuto), può verificarsi sporadicamente per svariate ragioni, non deve però prolungarsi per troppo tempo perché è indice di sofferenza fetale. La bradicardia se si verifica in prossimità del parto potrebbe essere causata dalla compressione della testa fetale, se il parto avviene in breve tempo questa non è preoccupante. Se la bradicardia invece è prolungata spesso si richiede necessario l’intervento con la ventosa ostetrica per velocizzare il parto.
La conseguenza più grave della bradicardia è l’ipossia ovvero l’ossigeno che giunge ai tessuti è ridotto. La bradicardia può essere causata da: rottura d’utero, insufficienza placentare, distacco prematuro di placenta, compressione del cordone ombelicale, prolasso di funicolo, infezioni materne e fetali, emorragie placentari.
Ci sono delle situazioni in cui la frequenza cardiaca fetale scende al di sotto dei 100 battiti al minuto (bradicardia fetale), questo significa che al feto non arriva abbastanza ossigeno e si verifica una condizione di asfissia che può portare all’ipossia e all’ischemia. Qualora nel tracciato venisse rilevata una condizione di bradicardia fetale e questa durasse per più di 3-5 minuti i professionisti sanitari devono intervenire immediatamente per far nascere il feto. L’errore medico nel ritardare l’intervento può causare complicanze fetali, in poco tempo le cellule cerebrali in mancanza di ossigeno subiscono danni irreparabili. La bradicardia così come la tachicardia può essere dovuta alle condizioni materne, a certi farmaci o certe condizioni patologiche della mamma che possono far aumentare o diminuire i battiti fetali al minuto.
Non esiste un automatismo tra errore medico e risarcimento del danno. Bisogna poi individuare quali effettivi danni ha subito il paziente. Potrebbero infatti essere presenti più danni: ad esempio danno patrimoniale, non patrimoniale e biologico ecc. È comunque fondamentale che l’avvocato faccia un esame ad ampio spettro insieme al medico legale. Esistono molti aspetti da valutare dall’eventuale danno da perdita della capacità lavorativa al danno da perdita di chance di guarigione o sopravvivenza, a quello di doversi sottoporre ad un nuovo trattamento medico con i connessi rischi.
Complicanze che possono causare l’ipossia
Uno dei metodi principali per far diagnosi di sofferenza fetale, o di condizioni fetali poco rassicuranti, è il tracciato cardiotocografico. È dunque fondamentale che l’equipe che assiste il travaglio sia in grado di leggere il tracciato e di valutarlo secondo i parametri. Esistono altri campanelli d’allarme che fanno pensare ad una condizione del feto poco rassicurante, come il liquido amniotico tinto (il bambino emette meconio prima del parto, e normalmente il meconio dovrebbe essere emesso dopo il parto) oppure il travaglio prolungato con arresto della progressione della testa fetale nel canale del parto.
Il monitoraggio delle condizioni fetali dunque viene fatto valutando tanti fattori assieme, il team ospedaliero dovrebbe essere in grado di sospettare delle situazioni potenzialmente rischiose che richiedono il parto immediato, spesso l’unica alternativa per rianimare il bambino è farlo nascere. Si può comunque cercare di risolvere la situazione, stimolando la testa fetale con la visita ginecologica, oppure con la somministrazione di fluidi alla donna che possano aumentare i suoi liquidi corporei e dunque migliorare l’apporto di sangue che giunge al feto.
Rottura d’utero
La donna potrebbe subire una rottura d’utero durante il travaglio o in prossimità di questo.
La rottura può essere causata: dalle contrazioni uterine troppo violente che comportano la lacerazione del tessuto uterino, oppure l’utero può lacerarsi in corrispondenza di una precedente cicatrice. Gli interventi sull’utero (precedente taglio cesareo, interventi per miomi o fibromi uterini o per malformazioni uterine) lasciano una cicatrice, il tessuto cicatriziale non è elastico dunque con l’aumento del volume uterino al termine della gravidanza e con le contrazioni potrebbe lacerarsi nella zona della cicatrice.
La rottura dell’utero comporta un arresto del flusso di sangue che giunge al feto:
- La rottura dell’utero può verificarsi nella sede in cui la placenta è adesa all’utero oppure in un’altra zona, nel caso in cui si verificasse dove l’utero è adeso questo causa un arresto anche del flusso di sangue che arriva al feto grazie alla placenta.
- La rottura dell’utero potrebbe comportare lo spostamento del feto fuori dall’utero, sono descritte in letteratura le situazioni in cui il feto si trova dentro la pelvi e non dentro l’utero.
- La donna subisce una perdita di sangue eccessiva nella zona in cui l’utero si è lacerato, il sangue potrebbe uscire dalla vagina oppure la perdita potrebbe rimanere all’interno (in questo caso è più difficile diagnosticare la rottura dell’utero). La rottura dell’utero comporta una perdita massiva di sangue perché i vasi sanguigni dell’utero a fine gravidanza sono molto grossi e se si rompono fuoriesce una quantità eccessiva di sangue, dunque arriva meno sangue sia alla donna ma soprattutto al feto che ne risente per primo.
La rottura dell’utero può causare la rottura anche di altri organi adiacenti e la perdita di sangue potrebbe essere ancora più ingente.
Altre cause dell’encefalopatia ipossico-ischemica
Tra le cause che possono portare a condizioni fetali poco rassicuranti e dunque all’asfissia e all’encefalopatia ipossico-ischemica consideriamo:
- l’ipercinesia uterina: l’utero in travaglio si contrae troppo frequentemente e rimane contratto per troppo tempo, questo comporta la restrizione dei vasi placentari. Il sangue che dalla placenta va al feto si trova ostacolato a causa della diminuzione del volume dei vasi sanguigni. Dunque, al feto arriva meno sangue e meno ossigeno perché i vasi placentari rimangono per troppo tempo contratti e impediscono al sangue di defluire liberamente.
- utilizzo eccessivo di farmaci come l’Ossitocina o le Prostaglandine (che vengono usati per indurre il travaglio, per accelerarlo o per prevenire le emorragie dopo il parto) per accelerare il travaglio.
- anomalie del cordone ombelicale come la compressione del funicolo. Il funicolo ombelicale mette in comunicazione il feto con la mamma attraverso la placenta, all’interno del funicolo scorrono i 3 vasi ombelicali che permettono il flusso di sangue ossigenato verso il feto e il ritorno del sangue povero di nutrienti verso la mamma. Il cordone dunque è una parte del feto fondamentale che permette la sua crescita e il suo benessere. Qualsiasi situazione che comporti l’arresto del flusso di sangue nel funicolo pone a rischio la salute del bambino.
- prolasso del funicolo in vagina.
- giri di cordone attorno al collo del neonato, se il cordone viene compresso il sangue non riesce più a defluire, inoltre può comportare anche un arresto del travaglio, perché il feto si trova trattenuto e non riesce a completare la sua discesa nel canale del parto.
- distacco intempestivo di placenta normoinserita: la placenta normalmente si stacca dall’utero in seguito alla nascita del bambino, sino al momento prima della nascita la placenta deve assicurare al feto il flusso di sangue ossigenato. Ci sono delle situazioni in cui la placenta si distacca dall’utero prima del parto, il distacco interrompe il defluire del sangue verso il feto. Il distacco può essere parziale o totale, quello totale è più grave perché non arriva più sangue al feto, quello parziale è meno traumatico perché una porzione della placenta rimane adesa all’utero e anche se è poco un po’ di sangue al feto arriva lo stesso. Il distacco di placenta può essere diagnosticato subito se il sangue del distacco fuoriesce dai genitali materni, oppure il sangue può rimanere all’interno dell’utero e si può sospettare il distacco perché il bambino subisce delle modifiche della frequenza cardiaca.
L’ipossia fetale dipende quindi dall’estensione del distacco e dalla durata che intercorre dal distacco della placenta al momento della nascita del bambino.
- ridotta quantità di liquido amniotico (oligoidramnios): il liquido amniotico è la sostanza che circonda il feto e che lo protegge dall’ambiente esterno così da attutire i colpi e i movimenti della mamma, inoltre permette anche il mantenimento costante della temperatura corporea fetale. Il liquido amniotico a termine di gravidanza viene prodotto dal feto tramite le urine, deglutito in parte, assorbito dall’apparato gastrointestinale e prodotto anche dai polmoni del feto. Il liquido amniotico è fondamentale per il benessere del feto, quando si trova in eccesso (polidramnios) o in difetto (oligoidramnios) può essere dovuto ad anomalie placentari o fetali.
La scarsità di liquido amniotico inoltre può causare complicanze per il feto, come l’ipossia.
- insufficienza materno placentare: la placenta non è in grado di apportare la giusta quantità di sangue ricco di nutrienti al feto e di rimuovere le sostanze di rifiuto che provengono dal feto. Queste anomalie placentari possono verificarsi a causa di patologie materne, come l’ipertensione, che impediscono il giusto apporto di sangue.
- ci sono delle condizioni in cui il travaglio dura per troppo tempo (l’ostetrica deve monitorare la durata di tempo dall’inizio del travaglio al parto, perché questa indica la normalità o patologia del travaglio) questa condizione è definita travaglio prolungato e non è positiva per il feto perché gli causa uno stress eccessivo.
Potrebbe anche presentarsi l’arresto del travaglio, ovvero il travaglio non prosegue poiché il collo dell’utero non si dilata oppure perché il feto non prosegue la sua discesa nel canale del parto. Un’altra possibile causa che blocca la discesa del feto nel canale del parto è la stanchezza della mamma, la donna se è molto stanca o ha dolore non collabora più e non permette al bambino di essere aiutato dalle spinte volontarie della mamma. Nelle situazioni in cui il travaglio non prosegue o si blocca, il medico e l’ostetrica possono utilizzare dei farmaci che aumentano le contrazioni (come l’Ossitocina) oppure possono aiutare la donna se la fase del travaglio lo consente con l’applicazione della ventosa ostetrica.
- sproporzione feto-pelvica: indica la discrepanza tra le dimensioni del bacino materno e quelle della testa fetale. Normalmente il feto si adatta assumendo la posizione più favorevole per fuoriuscire dal canale del parto, però ci sono situazioni in cui il feto è troppo grande rispetto al bacino della mamma. Una causa può essere la macrosomia (feto di peso superiore a 4 Kg), oppure il bacino materno troppo stretto.
- presentazione di podice: normalmente il feto si posiziona con la testa verso il basso, questa è la posizione più conveniente per nascere. Però può capitare che i piedi o i glutei del feto siano posizionati verso il basso, dunque la testa è verso l’alto. La presentazione di podice è rischiosa, tant’è che si esegue nella maggior parte dei casi il taglio cesareo e non il parto spontaneo. La presentazione di podice potrebbe causare complicanze come il prolasso di funicolo e l’arresto della progressione del corpo fetale durante il parto per intrappolamento della testa e delle spalle fetali.
Se si ritiene di essere stati vittima di un errore medico, di colpa medica dell’Ospedale o di un caso di malasanità potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per responsabilità e colpa medica.
Quando l’ostetrica diagnostica una condizione fetale poco rassicurante, con il medico si deve cercare di risolvere la sofferenza fetale al più presto possibile. Questo si può fare: cambiando la posizione della donna (sul fianco sinistro), somministrando dei fluidi o farmaci, eseguendo una esplorazione vaginale per stimolare la testa fetale e cercando di rimuovere le cause di sofferenza.
Se la situazione non migliora il medico deve ricorrere al taglio cesareo d’emergenza. Il tempo a disposizione per l’espletamento del parto dipende della causa del danno per il quale il bambino si trova in sofferenza, dalle condizioni del feto e della mamma e da vari fattori. Non esiste un tempo standard che sia accettato da tutti per eseguire il taglio cesareo, è una buona pratica clinica non superare i 30 minuti da quando si decide di fare il cesareo alla nascita del bambino. Il medico e l’ostetrica non devono aspettare mai troppo tempo e devono risolvere la situazione al più presto, il ritardo nell’eseguire il taglio cesareo può provocare danni permanenti al feto.