INSUFFICIENZA UTERO-PLACENTARE E SOFFERENZA FETALE
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
L’insufficienza utero-placentare può essere all’origine di gravi rischi per il feto, come un ritardo di crescita intrauterino o addirittura il decesso del bambino, e necessita dell’assistenza di uno specialista e di un centro di cura adeguato al sopperire alle necessità materno-infantili specifiche del caso.
È fondamentale che una condizione di insufficienza utero placentare venga diagnosticata tempestivamente perché monitorare lo sviluppo di questa condizione patologica è la chiave per una corretta valutazione dei rischi per il feto e per la scelta della giusta terapia da intraprendere.
Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare, nei casi più gravi, anche al decesso della madre o del bambino, e la morte costituisce la lesione maggiore del bene giuridico della vita. In questi casi anche i familiari del paziente vittima di malasanità potrebbero avere diritto al risarcimento, in particolare il marito (il convivente more uxorio o il partner convivente) i genitori, il figlio o la figlia, i fratelli e la sorella o gli eredi.
Cos’è la placenta
La placenta è un organo di origine embrionale che si inizia a formare a partire dalla seconda settimana di età gestazionale ma raggiunge la piena funzionalità solo all’inizio del secondo trimestre in gravidanza.
È costituita da una parte materna, quella adesa all’utero materno formata da circa venti cotiledoni, e una parte fetale, che è ricoperta dalle membrane amniocoriali che formano il sacco amniotico in cui il feto è avvolto e immerso nel liquido amniotico.
La più piccola unità funzionale della placenta è costituita dai villi, che derivano da una ramificazione dei vasi sanguigni placentari; i villi si ancorano alla decidua materna, in cui sfociano le arteriole spirali della donna, che portano il nutrimento al feto.
Le arteriole spirali raccolgono il sangue sistemico della donna e lo conducono nello spazio tra un cotiledone e l’altro, che prendono il nome di lacune intervillose, assumendo l’aspetto di pozze di sangue dal quale la placenta assorbe il nutrimento necessario al feto e deposita le sostanze di scarto.
Malgrado la stretta vicinanza tra il sangue materno e quello fetale, le due circolazioni non entrano mai in contatto, separate dalla sottile membrana che circonda i villi.
La funzione della placenta è quella di fornire ossigeno al feto, procurare i nutrienti, depurare i liquidi corporei fetali, far passare gli anticorpi necessari allo sviluppo del sistema immunitario del bambino, eliminare l’anidride carbonica e altre sostanze di scarto dalla circolazione fetale, assumere la funzione di barriera contro diverse sostanze nocive e microrganismi patogeni.
Cosa si intende per insufficienza utero-placentare
Una diminuzione del passaggio di sangue all’utero o una condizione placentare che riduce il flusso sanguigno che arriva al feto, causa l’insufficienza utero placentare.
L’insufficienza placentare può essere di tipo acuto o cronico.
L’insufficienza placentare acuta si sviluppa in poco tempo, qualche minuto o ora, e la sofferenza fetale che ne deriva è dovuta all’improvvisa carenza di ossigeno.
La patologia di tipo cronico si sviluppa nel corso di settimane e la sofferenza fetale è dovuta a una lenta riduzione dei nutrimenti fetali, che va incontro a una grave riduzione di crescita e altri disturbi.
La responsabilità del ginecologo o dell’ostetrica, e quindi dell’Ospedale, della Clinica o della Casa di cura, potrebbe derivare non solo dall’insorgenza della complicanza ma anche dal mancato riconoscimento precoce della problematica o, comunque, dall’incapacità di gestire correttamente la situazione, eseguendo terapie sbagliate, tardive, inefficaci o, comunque, non tempestive.
Quali sono le possibili complicanze in caso di insufficienza utero-placentare
Le complicanze legate a un’insufficienza utero-placentare sono numerose e soggette a diverse variabili; tra le più frequenti troviamo:
- restrizione di crescita intrauterino (IUGR);
- feto piccolo per l’età gestazionale (SGA);
- parto pretermine;
- sofferenza fetale dovuta all’ipossia;
- oligoamnios (riduzione del liquido amniotico intrauterino dovuto a una riduzione della diuresi);
- morte endouterina;
- asfissia intrapartum;
- paralisi cerebrale infantile;
- encefalopatia ipossico-ischemica;
- sindrome di aspirazione da meconio alla nascita (l’emissione di meconio da parte del bambino è una conseguenza di una condizione di sofferenza fetale;
- morte neonatale dopo il parto.
La restrizione di crescita fetale è una condizione frequente (riguarda circa il 5-10% di tutte le gravidanze) e non sempre è correlata con un’insufficienza utero placentare, ma questa rimane la causa principale di IUGR e va quindi considerata tra le prime ipotesi diagnostiche.
Quali sono le possibili cause dell’insufficienza utero-placentare
L’insufficienza utero placentare si verifica quando vi è una riduzione del sangue materno che arriva all’utero, causato da una patologia materna, oppure da una riduzione del flusso sanguigno che la placenta riesce a portare al feto, dovuto a una condizione patologica fetale o della placenta.
Altri motivi di riduzione del flusso utero-placentare possono essere legati allo stile di vita materno, come in caso di abitudine al fumo o consumo di sostanza stupefacenti; in tal caso l’effetto vasocostrittore del fumo riduce il passaggio del sangue all’utero e soprattutto ostacola la circolazione nei sottili vasi placentare, impedendo che il sangue raggiunga il feto in sufficiente quantità.
La gravidanza gemellare può causare un’insufficienza utero-placentare se non riesce a supportare le necessità di entrambi i feti o se la distribuzione del flusso placentare è sproporzionata tra un gemello e l’altro, fino ai casi di maggiore gravità come per la TTTS (sindrome da trasfusione feto-fetale).
Tra le cause di insufficienza utero placentare troviamo:
- ipertensione cronica o ipertensione gestazionale;
- preeclampsia o eclapsia;
- diabete mellito pregravidico o diabete gestazionale;
- utilizzo di farmaci;
- abitudine al fumo di sigaretta;
- abuso di sostanze stupefacenti;
- malnutrizione materna;
- placenta previa;
- gravidanza gemellare.
Tutte queste cause sono all’origine di insufficienza placentare cronica, perché sono cause che agiscono lentamente.
L’insufficienza placentare acuta è dovuta a eventi che causano una massiccia e immediata riduzione del flusso sanguigno placentare.
Quali sono i fattori di rischio dell’insufficienza utero-placentare
I fattori di rischio per questa patologia sono strettamente legati a quelli delle patologie materne che possono causare un’insufficienza utero placentare, come nel caso della preeclampsia.
Una diagnosi di insufficienza utero-placentare in una pregressa gravidanza indica una maggiore possibilità che questa condizione si presenti nuovamente nella gestazione attuale.
Il professionista sanitario che assiste la donna in gravidanza deve saper riconoscere le situazioni di rischio valutando le condizioni pregravidiche della donna, per esempio nei casi di:
- ipertensione pregravidica;
- diabete mellito;
- età materna superiore a 35 anni;
- abitudine al fumo;
- insufficienza utero-placentare diagnosticata in una precedente gravidanza.
Una corretta datazione della gravidanza, effettuata per via ecografica nel corso del primo trimestre di gestazione, permette di valutare con maggiore precisione le anomalie dell’accrescimento fetale ed è pertanto fondamentale che venga eseguita in ogni gravidanza.
Inoltre, l’osservazione ecografica della placenta consente di identificare parte delle anomalie placentari che possono determinare una riduzione del flusso sanguigno con conseguente alterazione dello sviluppo fetale.
Come procedere alla diagnosi dell’insufficienza utero-placentare
La diagnosi avviene solitamente riscontrando un’anomalia nella crescita del feto. Questo può avvenire con una misurazione ecografica, che prende come riferimento i valori morfologici del feto (ad esempio la lunghezza del femore, la circonferenza della testa o dell’addome) o tramite la misurazione della lunghezza fondo-sinfisi, ovvero la misurazione dell’addome materno.
Questi valori anomali vengono poi confrontato in delle tabelle che prendono in considerazione la media delle misure dei feti. È importante che ad ogni visita in gravidanza, a partire dalla seconda metà della gestazione, il professionista che assista la donna esegua una misurazione della distanza fondo-sinfisi o una misurazione ecografica e che trascriva il risultato su un grafico che consenta di valutare incontro dopo incontro l’accrescimento fetale, per considerare eventuali rallentamenti della crescita e poter considerare se l’anomalia nell’accrescimento sia un evento improvviso o un processo a lenta progressione.
Nel caso venga riscontrata un’anomalia nello sviluppo del feto è importante valutare il benessere del bambino tramite un tracciato cardiotocografico, un test che consente di osservare l’attività cardiaca del bambino per un periodo di circa 30 minuti in cui la frequenza cardiaca fetale viene confrontata con altri eventi, come la presenza di contrazioni uterine o i movimenti fetali.
Nel caso le valutazioni non venissero effettuate, la madre potrà affidarsi ad uno Studio legale o ad un Avvocato, preferibilmente specializzato in risarcimento danni da malasanità e da responsabilità medica, che esaminerà insieme alla paziente ed alla famiglia la fattibilità di una richiesta di risarcimento.
Il tracciato cardiotocografico si esegue ponendo due sonde sull’addome della donna, la prima in corrispondenza del dorso fetale per rilevare il battito cardiaco, la secondo sull’utero per verificare la presenza di attività contrattile.
Viene poi chiesto alla madre di segnalare i movimenti del bambino e i risultati vengono trascritti su un grafico che, dopo un attento studio del medico, permette di stabilire se il feto si trova in una condizione di benessere o in una condizione patologica, oppure se è necessario un monitoraggio più lungo.
Un altro esame utile nel caso di sospetta insufficienza utero-placentare è l’ecografia Doppler; il passaggio del sangue viene osservato per via ecografica, quindi con una metodica non invasiva, e si analizza il flusso ematico a livello dell’arteria uterina e del funicolo ombelicale.
Si controlla se il flusso sanguigno sia ridotto o meno e se possono essere presenti ostacoli del flusso. L’osservazione delle resistenze al flusso permette di avere un quadro completo della situazione materno-fetale.
La misurazione della quantità del liquido amniotico, in relazione all’epoca gestazionale del feto, permette di valutare la presenza oligoamnios o polidramnios, condizioni patologiche che aiutano a determinare la gravità del quadro diagnostico.
Quale trattamento medico-sanitario seguire in caso di insufficienza utero-placentare
Il trattamento dell’insufficienza utero-placentare è strettamente legato alle cause all’origine di questa condizione.
In caso sia dovuto a una situazione di ipertensione o preeclampsia è opportuno proporre una terapia antipertensiva per provocare un abbassamento della pressione arteriosa e cercare di riportare i flussi sanguigni a livelli normali.
In caso di altre patologie materne, il trattamento della patologia è essenziale per alleviare le complicanze fetali.
Tuttavia, molto spesso non esiste una terapia per contrastare i sintomi fetali ma l’unica possibilità è quella di un attento monitoraggio, tramite controlli ecografici dell’accrescimento fetale, della quantità di liquido amniotico, degli scambi utero-placentari e del benessere fetale con il tracciato cardiotocografico.
Nei casi più gravi può essere opportuno il ricovero ospedaliero in una struttura adeguata a trattare queste complicanze e a accudire il neonato dopo il parto.
Il riposo a letto è consigliato in alcuni casi; in queste situazioni è opportuno prescrivere una terapia di prevenzione per la trombosi, il cui rischio è aumentato in caso di prolungata permanenza a letto.
La pianificazione del parto va considerata in relazione al benessere fetale; il medico deve pesare i rischi legati ad un parto prematuro con quelli della permanenza in utero in presenza di questa condizione patologica.
Rischi e benefici di ciascun trattamento vanno discussi con la donna, che deve esprimere il suo consenso alla procedura.
Se si decide di anticipare la nascita o se si sospetta che la patologia possa causare un parto pretermine, il ginecologo dovrà proporre la profilassi corticosteroidea per la maturazione polmonare; questo trattamento prevede la somministrazione di due dosi di corticosteroidi alla madre a distanza i 24 ore l’uno dall’altro per via intramuscolare, allo scopo di indurre il polmone fetale a un incremento dello sviluppo e a produrre surfactante.
È importante che la profilassi corticosteroidea venga proposta alla donna se si sospetta la possibilità che il bambino nasca prima del termine, per ridurre le complicanze polmonari di un parto pretermine.
Se le condizioni fetali non mostrano la necessità di un espletamento del parto immediato, va proposto alla donna il parto per via vaginale, in mancanza di altre indicazioni al taglio cesareo (come in caso di presentazione podalica).
Se il travaglio di parto deve essere indotto a causa delle condizioni non rassicuranti del bambino, la donna deve essere prima informata sulle modalità dell’induzione, sui rischi e benefici del trattamento, e deve esprimere il proprio consenso.
L’induzione del travaglio deve avvenire in una struttura ospedaliera che possa offrire immediato supporto al piccolo dopo la nascita e le cure necessarie ad un neonato prematuro con alterazioni del benessere intrauterino.
Se la struttura in cui la donna si trova al momento della diagnosi non offre questo tipo di assistenza deve essere organizzato un rapido trasferimento.
È importante che la donna venga monitorata frequentemente, poiché una condizione di insufficienza utero-placentare può modificarsi in base a diversi fattori e il tipo di gravità della condizione clinica può mutare rapidamente. È bene quindi che la donna riceva frequenti controlli e che l’equipe medica sia pronta ad intervenire qualora se ne presentasse la necessità.