GESTIONE DELL’ABORTO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
L’aborto spontaneo è la più frequente complicanza della gravidanza nelle epoche gestazionali più precoci; l’aborto spontaneo è difficilmente prevenibile, ma una sua scorretta gestione può implicare gravi danni per la donna.
Se si ritiene di essere stati vittima di un errore medico, di colpa medica dell’Ospedale o di un caso di malasanità potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per responsabilità e colpa medica.
Cosa si intende per aborto spontaneo
Con il termine “aborto spontaneo” si definisce l’interruzione non volontaria della gravidanza nel periodo iniziale della gestazione; successivamente l’interruzione della gravidanza dovuta al decesso del feto prende il nome di “morte endouterina fetale”.
In Italia si riconosce come aborto spontaneo quando avviene entro 180 giorni (25 settimane e sei giorni) dal verificarsi dell’ultima mestruazione; tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce di definire come aborto spontaneo la morte dei feti peso inferiore a 500 grammi o di età gestazionale inferiore a 20 settimane.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che circa il 15% di tutte le gravidanze termina con un aborto spontaneo, di cui il 50-60% per anomalie cromosomiche. Di questi, l’80% si verifica nelle prime dieci settimane di età gestazionale, per poi diminuire di incidenza con il progredire della gestazione.
Secondo le statistiche degli ultimi anni, i casi di aborto spontaneo sono in aumento; probabilmente una delle principali cause di questo incremento è l’aumento dell’età media in gravidanza, che comporta un maggiore rischio di complicanze durante la gestazione.
In particolare, nella fascia di età tra i 40 e 44 anni l’incidenza di aborto è pari a circa un terzo del totale delle nascite.
Un aborto può manifestarsi come:
- aborto spontaneo completo;
- aborto spontaneo incompleto;
- aborto interno.
L’aborto spontaneo completo quando avviene una completa espulsione del prodotto del concepimento; l’espulsione del materiale abortivo si verifica con un’emorragia di intensità variabile e sintomi dolorosi all’addome o in zona lombo-sacrale.
Quando l’espulsione del materiale abortivo è solo parziale, si definisce aborto spontaneo incompleto. Questa eventualità presenta sintomi simili a quelli dell’aborto completo, ma l’entità del sanguinamento è minore ed è possibile rilevare all’osservazione ecografica la presenza di materiale in utero.
L’aborto interno, detto anche aborto ritenuto, avviene quando si verifica l’interruzione della gravidanza a cause del decesso dell’embrione/feto, ma in assenza dell’espulsione del prodotto del concepimento e senza la presenza di emorragia.
In rari casi può manifestarsi l’aborto settico, ovvero una grave condizione infettiva che segue un aborto spontaneo o volontario. Il quadro clinico si presenta con ipertermia (febbre), brividi, dolore addominale, sanguinamento, perdite purulente e maleodoranti.
La diagnosi si effettua tramite l’osservazione della sintomatologia clinica, l’esecuzione di un’ecografia e di esami colturali per individuare il microrganismo coinvolto e trovare la terapia antibiotica più adeguata.
Se è stato effettuata un’interruzione volontaria di gravidanza è necessario escludere la presenza di una lesione della parete uterina che potrebbe aver provocato una peritonite. Il trattamento prevede la somministrazione di una terapia antibiotica e il trattamento dei sintomi. In caso di lesione dell’utero, è necessario ricorrere alla chirurgia. L’aborto settico comporta un grave rischio per la vita della donna e per la fertilità futura.
In caso di gravi complicanze o morte della madre, pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (marito, partner, convivente, genitori, figlio/figlia, fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso e se c’erano effettive possibilità di guarigione. Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzati in responsabilità medica, bisogna capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità della struttura ospedaliera o del ginecologo o dell’ostetrica.
Quali sono le cause dell’aborto spontaneo
L’aborto spontaneo può presentarsi più volte nella vita di una donna, ma in genere si verifica in maniera sporadica; quando l’aborto spontaneo si verifica per due volte consecutive si definisce “aborto ripetuto”, mentre se si verifica tre o più volte consecutive prende il nome di “aborto ricorrente”.
Le cause all’origine dell’aborto spontaneo possono essere numerose e non sempre appaiono chiare; dal momento che l’aborto spontaneo è una complicanza piuttosto frequente, se avviene in modo occasionale non è necessario indagare sulle cause che lo hanno provocato, perché in genere è un avvenimento sporadico, ma se si verifica un’abortività ricorrente potrebbe essere consigliato fare ulteriori indagini per dare delle spiegazioni a questo fenomeno.
Le cause dell’aborto spontaneo possono essere ricondotte a fattori materni o embrionali ed è possibile distinguere in:
- fattori genetici;
- fattori anatomici;
- fattori endocrini;
- fattori infettivi;
- fattori autoimmuni;
- fattori iatrogeni;
- fattori trombofilici;
- causa sconosciuta.
I fattori genetici sono la più comune causa di aborto spontaneo occasionale, ovvero di un episodio abortivo sporadico, tuttavia possono anche essere causa di episodi abortivi ricorrenti.
L’aborto per causa genetica si verifica quando nelle fasi iniziali della gravidanza avviene un’anomalie nella replicazione dei cromosomi; nella maggior parte dei casi la le anomalie genetiche embrionali non sono compatibili con la vita e la gravidanza si interrompe spontaneamente in epoca precoce.
I fattori anatomici sono frequentemente correlati all’aborto ricorrente, dovuto a un’anomalie dell’utero femminile, che non consente il proseguimento della gravidanza. Queste anormalità della morfologia uterina possono essere congenite (presenti fin dalla nascita) o acquisite (dovute allo sviluppo di polipi o fibromi o come esito di interventi chirurgici precedenti).
Spesso il difetto morfologico può essere corretto chirurgicamente; per questo motivo deve essere proposto ad una donna con aborto spontaneo ricorrente un’analisi più approfondita delle strutture anatomiche dell’utero.
L’incontinenza cervicale è una possibile causa anatomica degli aborti ricorrenti che avvengono nel secondo trimestre di gravidanza; la responsabilità dell’interruzione della gestazione è dovuta all’incapacità dell’utero di contenere la gravidanza.
I fattori endocrini, come ad esempio il diabete mellito, i disordini tiroidei o la sindrome dell’ovaio policistico, possono influenzare negativamente sul decorso della gravidanza perché il delicato equilibrio ormonale necessario a supportare la gestazione risulta alterato; in molti casi la poliabortività per cause endocrine può essere risolta con una terapia medica adeguata.
Le infezioni, in particolare quelle a carico del tratto genitale, possono determinare un aborto spontaneo sporadico; il trattamento medico dell’infezione consente un’elevata possibilità di successo della gravidanza seguente.
I fattori trombofilici sono dovuti a disordini della coagulazione della donna e possono essere correlati ad episodi ricorrenti di aborto o morte endouterine in epoche di gravidanza più tardive.
I fattori autoimmuni, legati alla presenza di patologie autoimmuni, provocano abortività ripetuta in un quadro clinico in cui è già presente ipofertilità e difficoltà al concepimento.
Le cause iatrogene dell’aborto spontaneo possono essere legate a complicazioni di interventi chirurgici passati o a terapie mediche assunte dalla donna; il medico deve in questo caso discutere con la coppia delle possibilità terapeutiche per incrementare la possibilità di portare a termine una gravidanza.
È importante ricordare che in una larga fetta di casi, non è possibile identificare la causa originaria dell’aborto. Tuttavia, se avviene un aborto spontaneo consecutivo in tre gravidanze o più, il ginecologo deve proporre alla donna un approfondimento diagnostico.
Come si procede alla diagnosi di aborto spontaneo
La diagnosi di aborto spontaneo avviene tramite:
- l’osservazione di sintomi clinici;
- l’osservazione ecografica;
- l’esecuzione di esami di laboratorio.
Il segno clinico più importante dell’aborto spontaneo è l’emorragia, che può essere di entità variabile o del tutto assenza; anche la presenza di contrazioni uterine e dolore al basso ventre è un segnale tipico.
L’ecografia è lo strumento fondamentale per la diagnosi di gravidanza ectopica e per l’identificazione dell’epoca gestazionale a cui effettivamente la gravidanza si è interrotta.
L’osservazione ecografica consente di individuare la presenza o meno di attività cardiaca fetale e permette di misurare la lunghezza del feto/embrione, per comprendere se l’accrescimento è pari a quanto atteso per l’epoca gestazionale o meno.
In caso di dubbio sull’effettiva interruzione della gravidanza o meno, come può avvenire nelle epoche gestazionali più precoci, è indicata l’esecuzione di esami di laboratorio a scopo dirimente; in particolare è importante il dosaggio delle βhcCG, ovvero un ormone che nelle fasi iniziali della gravidanza è presente nel sangue e nelle urine della donna in quantità crescente.
Il dosaggio ripetuto di questo ormone può fornire importanti indicazioni sulla gravidanza iniziale: se il valore di βhcCG a distanza di qualche giorno è in aumento, la gravidanza è in corso, se il valore è in discesa indica l’avvenuto arresto della gravidanza.
Trattamento medico dell’aborto spontaneo
Nel caso si verifichi un aborto spontaneo completo non è necessario alcun intervento medico; una volta accertata l’assenza di materiale ritenuto in utero, la donna può ritornare presso il proprio domicilio; deve essere informata che il sanguinamento potrebbe continuare per qualche giorno, ma riducendosi gradualmente e che qualora l’emorragia non si riducesse di entità o si facesse più abbondante, è consigliato recarsi presso una struttura ospedaliera.
È importante che le venga offerto un contatto telefonico a cui possa fare riferimento ventiquattro ore su ventiquattro. Deve essere programmato un controllo dal ginecologo a distanza di qualche settimana, per escludere complicazioni; l’esecuzione di un controllo ecografico e un dosaggio delle βhCG plasmatico sono consigliati.
In questa occasione deve anche essere discussa la necessità di effettuare approfondimenti diagnostici volti al successo di gravidanza future in caso di aborto ricorrente.
Quando si verifica un aborto interno o un aborto incompleto possono essere valutate condotte differenti a seconda delle preferenze della donna:
- terapia medica;
- terapia chirurgica;
- condotta d’attesa.
Solitamente la terapia più utilizzata è di tipo chirurgico e comprende l’isterosuzione o la revisione della cavità uterina. Nel primo caso si procede con una aspirazione del contenuto dell’utero, nel secondo caso la rimozione del materiale avviene meccanicamente, dopo avere dilatato la cervice uterina.
Entrambe le procedure vengono eseguite in anestesia generale. Va ricordata l’importanza del controllo delle norme di sterilità durante l’intervento chirurgico, poiché una contaminazione può esporre la donna al rischio di infezione. Dei movimenti eccessivamente decisi nell’esecuzione dell’isterosuzione o della revisione della cavità uterina possono provocare una lesione della parete dell’utero, con relative complicanze emorragiche, infettive e possibile futura infertilità. Inoltre, se il materiale abortivo non viene rimosso completamente può presentarsi un’emorragia e/o una sepsi successivamente.
Se si ritiene di essere stati vittima di un errore medico, di colpa medica dell’Ospedale o di un caso di malasanità potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per responsabilità e colpa medica.
Se la donna preferisce evitare l’intervento chirurgico deve essere offerta la possibilità di scegliere la terapia farmacologica, tramite la somministrazione un farmaco che causa contrazioni uterine che favoriscono la fuoriuscita del materiale abortivo, emulando un parto. La donna va informata che in alcuni casi sarà necessario ricorrere alla chirurgia per completare lo svuotamento della cavità uterina.
Nel secondo trimestre di gravidanza, l’esecuzione dell’intervento chirurgico è maggiormente correlata a complicanze, quindi se l’aborto avviene quando la gravidanza è inoltrata, è preferibile una gestione medica dell’aborto, provocando farmacologicamente le contrazioni necessarie all’espulsione del materiale abortivo.
Se la donna sceglie di non intervenire ma di attendere che l’espulsione avvenga spontaneamente, il medico deve informarla dei benefici e rischi dell’attesa; la donna deve anche essere informata che in caso di emorragia abbondante, comparsa di febbre e dolore improvviso severo è necessario recarsi in Pronto Soccorso. Durante il periodo di attesa, vanno programmati dei controlli seriati per valutare l’evolversi del quadro clinico.
La responsabilità del ginecologo o dell’ostetrica, e quindi dell’Ospedale, della Clinica o della Casa di cura, potrebbe derivare non solo dall’insorgenza della complicanza ma anche dal mancato riconoscimento precoce della problematica o, comunque, dall’incapacità di gestire correttamente la situazione, eseguendo terapie sbagliate, tardive, inefficaci o, comunque, non tempestive.
Come agire in caso di aborto ricorrente
L’aborto ricorrente è una condizione che si può diagnosticare dopo tre o più aborti spontanei consecutivi. In questo caso è necessario effettuare indagini più approfondite al fine di identificare la presenza di qualche condizione medica che impedisce il normale sviluppo della gravidanza.
Per riconoscere le cause di un aborto ricorrente deve essere proposto alla coppia:
- un’indagine genetica e del cariotipo dei genitori;
- un’ecografia approfondita per indagare eventuali anomalie della cavità uterina che possono impedire lo sviluppo del feto;
- esami dei fattori coagulativi del sangue e screening per le trombofilie;
- un tampone vaginale per ricercare una possibile causa infettiva;
- indagine di eventuali anomalie endocrine;
- indagine dei fattori immunologici in caso di sospetta alloimmnità;
Complicanze dell’aborto spontaneo
Le complicanze principali dell’aborto spontaneo sono l’emorragia e la sepsi.
La sepsi ha un’incidenza più elevata tanto maggiore è la permanenza in utero del prodotto del concepimento dopo l’avvenuto aborto.
Ulteriori complicanze possono essere correlate al trattamento medico o chirurgico dell’aborto, che se gestiti scorrettamente possono mettere a rischio la saluta della donna o la possibilità futura di avere una nuova gravidanza.
Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare, nei casi più gravi, anche al decesso della madre o del bambino, e la morte costituisce la lesione maggiore del bene giuridico della vita. In questi casi anche i familiari del paziente vittima di malasanità potrebbero avere diritto al risarcimento, in particolare il marito (il convivente more uxorio o il partner convivente) i genitori, il figlio o la figlia, i fratelli o le sorelle o gli eredi.
Possibili errori medici nella gestione dell’aborto spontaneo
I possibili errori che possono verificarsi nella gestione medica dell’aborto spontaneo sono:
- scorretta diagnosi di aborto spontaneo;
- mancata diagnosi di presenza di materiale abortivo in utero;
- errata diagnosi differenziale in presenza di gravidanza extrauterina;
- scorretta gestione del trattamento medico dell’aborto spontaneo;
- errori chirurgici durante l’esecuzione di isterosuzione o revisione della cavità uterina: lesione della parete uterina, emorragia, infezione, sepsi;
- mancata programmazione di controlli seriati durante la condotta di attesa;
- scorretta gestione dell’emorragia;
- scorretta diagnosi e gestione dell’aborto settico;
- mancata proposta di esami di approfondimento diagnostico in caso di aborto ricorrente per indagare le possibili cause (genetiche, anatomiche, endocrine, infettive, trombofiliche, alloimmuni).
Quali sono i danni che possono verificarsi a seguito di aborto spontaneo
I danni che possono verificarsi a carico della donna a seguito di aborto spontaneo sono:
- emorragia;
- infezione;
- sepsi;
- lesione dell’utero;
- stress psicologico.
Se si procede per un caso di malasanità o di errore medico, la valutazione di quali danni nel caso concreto si possano chiedere rimane dell’avvocato e del medico legale, ad esempio il danno patrimoniale (ossia danni economici da lucro cessante o danno emergente) o il danno non patrimoniale (come il danno biologico per inabilità temporanea o invalidità permanente, il danno morale o, nei casi, più gravi il danno da morte o da perdita di chance di sopravvivenza).