SANGUINAMENTO VAGINALE IN GRAVIDANZA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
La perdita ematica o sanguinamento vaginale in gravidanza è un sintomo che non va sottovalutato perché può indicare una condizione patologica anche grave.
Il sanguinamento vaginale in gravidanza è un sintomo che si presenta frequentemente e che può essere la manifestazione di cause differenti. A seconda dell’entità delle perdite ematiche, del colore (rosso vivo o rosso scuro) e delle circostanze in cui si manifesta il sanguinamento, può indicare la presenza di un disturbo più o meno severo.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze.
Dal momento che la gravidanza induce una maggiore sensibilità e fragilità delle mucose, un modesto sanguinamento vaginale può essere un evento normale e non pericoloso per la gravidanza; spesso questo si verifica a seguito di un rapporto sessuale, che può causare la rottura di qualche piccolo vaso capillare.
Tuttavia, il sanguinamento vaginale in gravidanza può essere anche il sintomo di una condizione medica pericolosa per la gravidanza e per la donna; per questo motivo, in presenza di un dubbio, è sempre opportuno fare una visita dal ginecologo.
Sanguinamento vaginale nel primo trimestre di gravidanza
Il concepimento, ovvero il momento dell’incontro tra l’ovocita e lo spermatozoo, avviene nella salpinge e forma lo zigote, una cellula in via di replicazione che è precursore dell’embrione. Lo zigote inizia una divisione cellulare formando la morula, cioè un piccolo gruppo di cellule che transita attraverso la tuba per dirigersi verso la cavità uterina, un processo che dura qualche giorno.
Nella cavità uterina, il prodotto del concepimento deve impiantarsi nell’endometrio, dove svolgerà le prime essenziali fasi dello sviluppo. Il momento dell’annidamento nell’endometrio provoca talvolta la rottura di piccoli capillari che possono provocare un moderato sanguinamento vaginale, noto come “perdite da impianto”.
Questo fenomeno può essere confuso con il ciclo mestruale e può talvolta confondere la donna sul periodo di inizio della gestazione, ma raramente provoca preoccupazione, perché la donna non è ancora consapevole della gravidanza in corso al momento delle perdite ematiche.
Le perdite dai genitali in gravidanza sono differenti rispetto a quelle precedenti, perché il differente assetto ormonale determina una maggiore produzione di secrezioni vaginali trasparenti e filamentose, che non devono essere fonte di preoccupazione nella donna poiché del tutto fisiologiche.
Le modificazioni della gravidanza provocano un aumentata suscettibilità alle infezioni genitourinarie durante la gestazione; in questo caso si possono manifestare perdite di colore giallo o verdastro, spesso maleodoranti ed associate a sintomi come prurito e bruciore.
Le infezioni genitourinarie possono anche provocare una lieve perdita ematica che può allarmare la donna; in caso di perdite anomale associate a sintomi di infezione locale è sempre opportuno contattare il ginecologo, che prescriverà un tampone e un’urinocoltura per individuare il microrganismo patogeno responsabile dell’infezione e se necessario prescriverà una terapia appropriata per trattare la patologia.
Un’infezione genitourinaria in gravidanza non trattata può determinare un pericolo sia per la donna che per l’embrione/feto.
Un’altra possibile causa di sanguinamento in gravidanza sono i fibromi o i polipi uterini. I fibromi sono delle formazioni di tipo benigno che in genere non costituiscono un problema per la gravidanza, ma che possono accrescere di volume durante la gestazione a causa delle modificazioni ormonali gravidiche.
I fibromi si possono distinguere in base alla loro localizzazione rispetto alla cavità uterina; i fibromi sottomucosi, ovvero quelli che coinvolgono la parte più interna dell’utero, sono più frequentemente associati a complicanze della gravidanza o ad anomalie placentari.
Per questo motivo prima del concepimento il ginecologo dovrebbe valutare la necessità di rimuovere il fibroma con un intervento chirurgico; se la diagnosi del fibroma viene fatta in gravidanza, va proposto l’intervento chirurgico dopo il parto, per evitare complicanze in una possibile gravidanza successiva.
La diagnosi di fibroma in gravidanza o prima della gravidanza è importante perché in alcuni casi questo può influenzare la modalità del parto o implicare delle complicanze alla nascita.
Il polipo uterino è invece una formazione benigna che non interessa la parete dell’utero, ma l’endometrio, ovvero il rivestimento interno. Anche in questo caso, se diagnosticato fuori dalla gravidanza, può essere rimosso chirurgicamente; raramente determina complicanze della gravidanza. I fibromi e i polipi uterini provocano in genere episodi di sanguinamento leggero e ripetuto, ma in alcuni casi possono determinare emorragie più severe.
La minaccia di aborto è una delle più frequenti cause di sanguinamento nel primo trimestre di gravidanza. È dovuta ad un parziale distacco della placenta dalla parete uterina e si manifesta in genere con una perdita di sangue di colore rosso vivo in variabile quantità.
Molto spesso il sanguinamento è associato a dolori al basso ventre di lieve o moderata intensità. La minaccia di aborto può portare all’interruzione spontanea della gravidanza in una rilevante percentuale di casi.
La diagnosi di minaccia di aborto viene effettuata tramite l’osservazione della sintomatologia e l’esame ecografico. Il trattamento è rappresentato in genere dalla somministrazione di farmaci che riducono le contrazioni uterine in primo luogo e successivamente dalla somministrazione di progesterone per favorire il rilassamento dell’utero associata al riposo.
La prognosi è estremamente variabile a seconda della causa all’origine: molto spesso il trattamento è inefficace ad impedire il decorso della gestazione verso l’aborto spontaneo.
Talvolta il sanguinamento vaginale può indicare un aborto in atto. In questo caso il sanguinamento può essere di maggiore entità e più frequentemente associato a dolori al basso ventre. In questo caso il medico deve assicurarsi che l’emorragia non sia eccessiva e che l’aborto avvenga in maniera completa, evitando la persistenza di eventuali residui in utero; in quest’ultimo caso sarà necessario effettuare una revisione della cavità uterina (raschiamento).
La diagnosi avviene tramite l’ecografia e la visita ostetrica. Nel caso in cui il sospetto aborto si verifichi precocemente in gravidanza, quando non è ancora possibile diagnosticare ecograficamente l’interruzione della gravidanza, vanno eseguiti prelievi del sangue seriati per dosare la gonadotropina corionica umana, ovvero un ormone strettamente correlato all’andamento della gravidanza.
Una rara ma pericolosa complicanza che può determinare sanguinamento vaginale è la gravidanza extrauterina. Questa condizione si verifica quando l’impianto dell’embrione non avviene nella cavità uterina ma altrove, solitamente in una tuba (salpinge).
Se la gravidanza extrauterina non viene diagnosticata all’inizio della gestazione, l’accrescimento dell’embrione può determinare la rottura della salpinge, con grave pericolo per la donna. In questo caso i sintomi sono un forte dolore pelvico, maggiormente localizzato da un lato, associato ad un sanguinamento rosso vivo e a sintomi quali nausea, vomito, vertigini, svenimenti ed alterazione dei parametri vitali. L’immediato intervento del medico è essenziale per evitare gravissime complicanze per la donna, in particolare quelle correlate alla forte emorragia.
Anche in questa fase diagnostica molto delicata potrebbero purtroppo verificarsi errori medici dell’Ospedale o della Clinica o della Casa di cura, bisognerà valutare l’eventuale colpa ed inoltre comprendere se il danno era o meno evitabile.
Sanguinamento vaginale nel secondo e terzo trimestre di gravidanza
Nel secondo e terzo trimestre di gravidanza le cause di sanguinamento sono differenti rispetto a quelle tipiche dell’inizio della gravidanza.
In presenza di un sanguinamento vaginale improvviso, moderato ed associato ad attività contrattile dell’utero, il primo sospetto è in genere l’insorgenza del travaglio di parto. Il travaglio si manifesta con la comparsa di contrazioni uterine che provocano un raccorciamento e dilatazione della cervice uterina; queste modificazioni provocano una rottura dei piccoli della cervice, che causano una perdita ematica molto spesso mista a una perdita di muco.
Se questo processo avviene prima del termina della gravidanza, si verifica una condizione definita “minaccia di parto prematuro”; una nascita prima del termine può determinare serie complicanze per il feto/neonato, che possono comprendere deficit motori e neurologici gravi, fino al decesso del bambino dei casi più gravi.
Tanto minore è l’epoca gestazionale in cui si verifica la nascita, tanto maggiori sono i rischi per la salute del bambino. Per questo motivo è essenziale che una donna che presenta delle perdite vaginali, associate o meno ad attività contratile dell’utero, prima del termine della gravidanza venga sottoposta ad una visita ostetrica ed a una cervicometria (un esame ecografico che valuta la lunghezza del collo dell’utero e le eventuali modificazioni) al fine di identificare le donne a rischio di partorire prematuramente.
In caso di diagnosi di minaccia di parto prematuro, vanno attuate strategie terapeutiche volte ad impedire l’espletamento del parto prima del termine. Quando questo non è possibile, come spesso accade, è comunque opportuno da parte del ginecologo cercare di rallentare il meccanismo di insorgenza del travaglio, per sottoporre la donna a profilassi che forniscono una parziale protezione del bambino dai danni della prematurità.
Una possibilità che deve essere contemplata in caso di perdite ematiche vaginali nel secondo e terzo trimestre di gravidanza è quella della placenta previa. Questa complicanza della gravidanza si verifica quando la zona di impianto della placenta in utero è molto prossima all’orifizio uterino interno o addirittura lo ricopre.
L’orifizio uterino interno è l’ingresso interno del canale cervicale, quella zona che al momento della nascita, a seguito delle opportune modificazioni del travaglio, rappresenta l’ingresso per il feto verso il canale da parto. Se la placenta è inserita vicino a questa zona, le modificazioni del segmento uterino inferiore provocano in genere dei distacchi di piccole aree della placenta dalla parete uterina, mettendo così a rischio la salute del bambino.
Questo avviene molto spesso all’inizio del terzo trimestre di gestazione, ovvero il periodo in cui iniziano queste modificazioni; in caso di sanguinamento dovuto alla placenta previa va valutata la necessità di eseguire un taglio cesareo ed anticipare la nascita del bambino. La diagnosi di placenta previa dovrebbe avvenire prima in gravidanza: infatti è sufficiente l’esecuzione di un’ecografia per individuare la zona di impianto della placenta e riconoscere la gravidanza in cui si presenta questa condizione.
A causa del maggiore rischio implicato in una gestazione caratterizzata da placenta previa è essenziale che, nei casi in cui si identifichi all’ecografia del secondo trimestre un impianto della placenta “basso”, il ginecologo effettui una successiva ecografia per confermarne l’ubicazione rispetto all’utero.
In caso di abbondante sanguinamento improvviso è possibile che sia sintomo di una rara complicanza ostetrica, nota come distacco intempestivo di placenta. Il distacco intempestivo di placenta è un grave evento che comporta un severo rischio sia per il feto che per la madre; si verifica quando la placenta si separa dalla parete uterina durante la gravidanza, provocando un’emorragia in genere associata alla comparsa di contrazioni dell’utero.
Il distacco può interessa una porzione più o meno grande della placenta; una maggiore porzione di distacco comporta una maggiore riduzione dell’afflusso di ossigeno per il feto e un maggiore sanguinamento per la donna. In caso di distacco intempestivo di placenta la diagnosi deve essere rapida, in modo da valutare le condizioni di salute del feto, il rischio di perdita ematica della donna e individuare il trattamento più adeguato alla specifica condizione.
In caso di gravi complicanze o morte della madre o del bambino, pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (marito, partner, convivente, genitori, figlio/figlia, fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso e se c’erano effettive possibilità di guarigione. Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzati in responsabilità medica, bisogna capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità della struttura ospedaliera o del ginecologo o dell’ostetrica.
Interventi medici da effettuare in caso di perdita ematica in gravidanza
Il trattamento ostetrico in caso di sanguinamento vaginale in gravidanza è strettamente correlato alla causa dell’emorragia. Valutare la vitalità e lo stato di salute del feto è uno dei primi interventi di monitoraggio da attuare; questo può avvenire tramite la cardiotocografia per i bambini di maggiore epoca gestazionale e tramite l’auscultazione del battito fetale per quelli di epoche gestazionali minori.
L’ecografia è lo strumento che nella maggior parte dei casi consente di formulare una diagnosi e di valutare lo sviluppo della gravidanza. Nei casi di emorragia importante devono essere effettuati degli esami del sangue per accertare il valore di emoglobina, ricercare eventuali alterazioni della coagulazione e identificare il gruppo sanguigno; se l’emorragia è severa potrà essere necessario trasfondere delle sacche di sangue.
A seguito di un episodio di sanguinamento in gravidanza, in particolare in caso di aborto, distacco intempestivo di placenta o parto, deve essere proposta l’esecuzione dell’immunoprofilassi anti-D alle donne con gruppo sanguigno di Rh negativo.
L’immunoprofilassi anti-D è raccomandata perché una donna con gruppo sanguigno Rh negativo, se entra in contatto con sangue fetale di gruppo Rh positivo, può sviluppare degli anticorpi contro il gruppo Rh positivo, con possibili complicanze nelle gravidanze successive.
Quali errori possono essere commessi dai sanitari in caso di sanguinamento vaginale in gravidanza
In caso di sanguinamento vaginale in gravidanza possono essere commessi errori medici quali:
- mancata diagnosi di aborto incompleto;
- diagnosi ritardata e trattamento non tempestivo gravidanza extrauterina;
- mancata diagnosi di anomalie placentare che possono comportare rischi per madre e feto;
- ritardo nel riconoscimento e nel trattamento del parto prematuro;
- mancata somministrazione di immunoprofilassi anti-d nelle donne di gruppo sanguigno rh negativo a seguito di perdite ematiche in gravidanza.
Possibili danni causati dal sanguinamento vaginale non diagnosticato o non trattato adeguatamente
Se il sanguinamento vaginale non è trattato adeguatamente o non è diagnosticato può causare danni quali:
- infezione genitourinaria: dolore, pielonefrite, aborto spontaneo, parto pretermine, rottura prematura delle membrane amniocoriali;
- aborto spontaneo: emorragia, infezione, sepsi, coagulazione intravascolare disseminata;
- gravidanza extrauterina: emorragia, anemia, ipotensione, shock, peritonite, dolore, riduzione della fertilità;
- placenta previa: emorragia, anemia, ipotensione, shock, ipossia fetale, decesso del bambino;
- distacco intempestivo di placenta: emorragia, anemia, ipotensione, shock, ipossia acuta del feto, morte fetale;
- travaglio di parto prematuro: basso indice di apgar, necessità di rianimazione neonatale alla nascita, danno neurologico al neonato, anomalie dello sviluppo postnatale, morte perinatale.
Qualora vi siano i presupposti, la donna, il marito (convivente o partner), i genitori, i nonni, il fratello o la sorella o gli eredi potrebbe dunque chiedere il risarcimento dei danni per essere stati vittime di un caso di malasanità a causa di una diagnosi sbagliata, errata, tardiva oppure di una cura sbagliata o errata o di una terapia non tempestiva o inefficace. Lo studio legale o l’avvocato, preferibilmente specializzati in danni da responsabilità medica, insieme al proprio medico legale, valuteranno se vi sia o meno la possibilità di chiedere i danni all’Ospedale, all’Assicurazione, al ginecologo e più in generale ai medici coinvolti.