VALUTAZIONE DEL BATTITO CARDIACO FETALE ED ESAME CARDIOTOCOGRAFICO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO PER MALASANITÀ
Il monitoraggio CTG ossia con l’esame cardiotocografico ha come scopo la valutazione del benessere fetale e la presenza, frequenza ed entità delle contrazioni dell’utero della madre. La valutazione del battito cardiaco fetale può essere eseguita tramite un monitoraggio interno o uno esterno.
Quello interno viene eseguito mediante l’applicazione di un elettrodo sul cranio del bambino quando il collo dell’utero è dilatato di 2-3 cm. Questo tipo di monitoraggio è più accurato di quello esterno.
Invece quello esterno può eseguito tramite l’applicazione di due sonde sull’addome materno: una sonda serve per l’auscultazione del BCF e l’altra per la valutazione dell’attività contrattile uterina.
In entrambi i metodi, i dati vengono trasferiti tramite cavo ad un macchinario che registra e stampa le informazioni ottenute.
Risulta essenziale che l’interpretazione dei valori ottenuti oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata individuazione di un tracciato anomalo potrebbe portare anche a gravi complicanze.
Come si valuta il tracciato cardiotocografico
Il battito cardiaco fetale (BCF) è definito regolare quando oscilla tra i 110 e 160 bpm (battiti per minuto) e una variabilità compresa tra i 6 e i 25 bpm (per variabilità si intende le oscillazioni della frequenza cardiaca in risposta agli stimoli esterni).
Durante il travaglio di parto, il metodo maggiormente utilizzato per facilità di esecuzione e minore invasività è quello esterno.
L’auscultazione del battito cardiaco fetale durante il travaglio può essere continua o intermittente.
Quella intermittente è adoperata quando il decorso del travaglio è fisiologico, senza, quindi, segni di sofferenza materna e/o fetale.
Mentre il tracciato continuo deve essere preso in considerazione in tutte quelle situazioni in cui vi sia un aumento di rischio d’ipossia/acidosi, dovuto a:
- condizioni di salute materna (come emorragia vaginale o ipertermia);
- anomalie della crescita intrauterina;
- analgesia epidurale;
- liquido amniotico tinto di meconio
- possibilità di eccessiva attività uterina (induzione del travaglio o accelerazione con ossitocina)
- quando si riscontrano anomalie durante l’ascoltazione intermittente della frequenza cardiaca fetale.
Il passaggio dal tracciato cardiotocografico intermittente a quello continuo deve essere trascritto in cartella, annotando la motivazione e la firma dell’operatore che ha preso questa decisione.
La responsabilità del ginecologo o dell’ostetrica, e quindi dell’Ospedale, della Clinica o della Casa di cura, infatti, potrebbe derivare non solo dall’insorgenza della complicanza ma anche dal mancato riconoscimento precoce della problematica o, comunque, dall’incapacità di gestire correttamente la situazione, eseguendo terapie sbagliate, tardive, inefficaci o, comunque, non tempestive.
Il tracciato cardiotocografico, può subire della variazione che sono date dalla tachicardia, ovvero aumento della frequenza cardiaca fetale al di sopra dei 160 bpm per almeno 10 minuti, e dalla bradicardia, diminuzione della FCF al di sotto dei 110 bpm per almeno 10 minuti.
Le cause possono essere:
- infezioni fetali (es. corionamniosite, infezione del liquido amniotico);
- ipossia fetale (mancanza di ossigeno a livello periferico);
- emorragia acuto del III trimestre (es. distacco di placenta normalmente inserita);
- insufficienza cardiaca materna;
- insufficienza utero- placentare;
- diabete gestazionale;
Quando si verifica un’alterazione del battito cardiaco fetale gli operatori devono procedere alla somministrazione di ossigeno per la mamma e il cambiamento della sua posizione al fine di ripristinare la situazione, infusione di liquidi e farmaci per via endovenosa.
Se queste manovre non risultano essere efficaci si deve procedere con un cesareo d’urgenza per salvare la vita del feto.
Quindi il controllo del CTG deve essere eseguito da personale esperto poiché un minimo errore compromette la vita del neonato causando danni non solo a breve ma anche a lungo termine.
In caso di gravi complicanze o morte della madre o del bambino, pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (marito, partner, convivente, genitori, figlio/figlia, fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso e se c’erano effettive possibilità di guarigione. Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzati in responsabilità medica, bisogna capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità della struttura ospedaliera o del ginecologo o dell’ostetrica.