DIAGNOSI DELLE INFEZIONI OSPEDALIERE O NOSOCOMIALI
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
La diagnosi tempestiva delle infezioni ospedaliere o nosocomiali è fondamentale in quanto permette di intraprendere una terapia mirata per il suo trattamento così da salvaguardare la vita del paziente ed evitare un grave danno da perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza per morte, o per l’accelerazione del decesso, o una perdita di chance di conservare una vita migliore e peggioramenti alla sua salute.
Tra i casi di malasanità rientrano diverse situazioni collegate anche alla responsabilità dell’ospedale o della struttura sanitaria o della Clinica privata che sorge, ad esempio, quando il paziente contrae un’infezione perché non sono state rispettate le procedure di sterilità o perché gli ambienti non sono sanificati adeguatamente. La vittima o i suoi familiari (padre, madre, marito, moglie, figlio, figlia, fratello, sorella ecc.) possono rivolgersi ad un avvocato esperto per verificare la possibilità di avere diritto al risarcimento dei danni.
Cosa sono le infezioni ospedaliere o nosocomiali
Le infezioni nosocomiali sono quelle infezioni che vengono contratte dai pazienti durante il ricovero in ospedale o in Clinica privata o in Pronto soccorso o durante lo svolgimento di una visita, che si manifestano di solito dopo 48 ore dalla trasmissione (quindi, ad esempio, entro due giorni dal ricovero o dopo 48 ore dal giorno in cui è stata fatta una visita in ospedale o in Clinica privata)
Nella maggior parte dei casi il paziente prende l’infezione:
- per un contatto con il personale sanitario (ad esempio perché non usa i guanti e la mascherina o perché non ha lavato le mani prima di iniziare a toccare il malato);
- per un contatto con strumentazione medica e presidi contaminati (ad esempio una siringa o un catetere non perfettamente sterilizzati o un macchinario non sanificato);
- attraverso le vie aeree ossia respirando gli agenti patogeni.
Queste infezioni si possono manifestare sia durante il periodo di degenza che dopo la dimissione. È bene precisare che il semplice fatto che il paziente contrae un’infezione non genera un automatismo nel riconoscimento di una colpa dell’ospedale o nell’avere diritto ad un risarcimento del danno.
Per procedere nella richiesta risarcitoria con un avvocato esperto in malasanità è necessario verificare che l’infezione sia riconducibile al ricovero ospedaliero oppure ai trattamenti subiti dal paziente o, ancora, dimostrare che l’infezione sia stata trattata con terapia sbagliata o che sia stata effettuata una diagnosi errata o in ritardo o che al paziente non sia stata prescritta la cura giusta.
Ad esempio, se i medici riscontrano un’infezione da Escherichia Coli devono individuare gli antibiotici adatti a contrastare questo determinato batterio (ad esempio la ciprofloxacina). Se, invece, al paziente viene somministrato un antibiotico contro il quale il batterio è resistente non ci saranno miglioramenti ma il malato rischierà di peggiorare notevolmente, subendo danni e conseguenze anche molto gravi. Il danneggiato (e i suoi familiari o in caso di morte i suoi eredi) potrà chiedere il risarcimento dei danni nei confronti dell’ospedale, della Clinica privata o del dottore che ha prescritto la cura errata. La prescrizione di farmaci controindicati costituisce una negligenza del medico o dell’ospedale che può determinare una colpa. Quando viene accertata la responsabilità del medico o della struttura ospedaliera, il paziente può chiedere il risarcimento dei danni subiti con l’assistenza di un avvocato.
I segni e sintomi delle infezioni ospedaliere o nosocomiali
La diagnosi delle infezioni ospedaliere o nosocomiali, in un primo momento, consiste nell’osservare i segni e i sintomi del paziente attraverso una valutazione clinica.
Quando si presentano segni o sintomi di infezione, il medico, lo specialista e, più in generale, il personale dell’ospedale devono essere più attenti nella profilassi preventiva e nella prescrizione di esami di controllo e potrebbero purtroppo verificarsi errori medici. L’eventuale colpa e responsabilità – per la mancata o ritardata individuazione dell’infezione o per l’errato trattamento della stessa – deve essere verificata in modo approfondito così come la possibile insorgenza di danni, valutando se questi potessero essere o meno evitati.
Generalmente i segni e sintomi dell’infezione sono:
- febbre alta: l’aumento della temperatura corporea deve sempre far sospettare la presenza di un’infezione;
- infiammazione, arrossamento e dolore della parte corporea colpita;
- ingrossamento dei linfonodi, del fegato e della milza;
- malessere, stanchezza, dolori ossei e/o muscolari;
- aumento della frequenza cardiaca (maggiore di 120 battiti al minuto).
La presenza di uno o più di uno di questi segni e sintomi deve far sospettare al professionista sanitario la sussistenza di un’infezione. La diagnosi di infezione può essere confermata in seguito all’esecuzione di ulteriori accertamenti clinici che il professionista dovrà prescrivere:
- esame colturale: viene eseguito su materiale biologico (urine, feci, sangue, secrezioni, espettorato) in base alla sede della presunta infezione e permette di individuare la presenza di microrganismi patogeni. In particolare, viene isolato l’agente patogeno che è responsabile del processo infettivo in modo da effettuare una terapia mirata, che di solito prevede l’utilizzo di antibiotici. I microrganismi patogeni responsabili delle infezioni ospedaliere sono: coli, Klebsiella pneumoniae ed enterococchi. I più frequenti di recente isolati sono gli enterobatteri produttori carbapenemasi (CPE) e Acinetobacter che provocano gravi infezioni;
- esami del sangue: consiste in un semplice prelievo di sangue venoso. In presenza di un’infezione si assiste ad un aumento del numero dei globuli bianchi i quali, per l’appunto, hanno il compito di difendere l’organismo dalle infezioni. Il numero dei globuli bianchi viene valutato con un esame noto come emocromo. Nel caso di sospetto di infezione è bene richiedere anche la valutazione, sempre attraverso prelievo di sangue venoso, della PCR (proteina C reattiva) e della procalcitonina. Sia la proteina C reattiva che la procalcitonina risulteranno aumentate in caso di infezione;
- esami strumentali (ecografie, TAC, risonanza magnetica, radiografie, elettrocardiogramma ecc.). Le infezioni, in base alla loro gravità, possono determinare una disfunzione dell’organo o dell’apparato coinvolto. Grazie agli esami strumentali è possibile evidenziare la presenza di un eventuale danno a carico di questi organi o apparati.
I segni e i sintomi propri delle infezioni cambiano in relazione a quali organi che sono stati colpiti. Le infezioni ospedaliere interessano principalmente i polmoni, le vie urinarie, la circolazione sanguigna e le ferite chirurgiche.
L’ospedale cui il malato si rivolge per effettuare i controlli o per essere ricoverato è responsabile dell’operato dei suoi dipendenti e collaboratori (medici, paramedici, infermieri, assistenti ecc.) ma anche del corretto svolgimento dell’integrale prestazione sanitaria e risponde non solo per problemi legati direttamente all’errore medico ma anche per questioni relative a disorganizzazione, carenze strutturali (ad esempio un macchinario per la risonanza magnetica che non funziona o che funziona male potrebbe provocare un’errata diagnosi ed un conseguente risarcimento dei danni) e deficit organizzativi o mancato rispetto dei protocolli igienico-sanitari (mancata sanificazione, uso di strumenti non sterili, mancato uso di guanti o mascherina ecc.). Questi casi esulano dal semplice errore del medico ma, come detto, potrebbero portare all’esito positivo di una richiesta di risarcimento dei danni per malasanità.
La diagnosi delle infezioni ospedaliere o nosocomiali polmonari
La maggior parte delle infezioni polmonari contratte in ospedale sono causate dai bacilli Gram-negativi o Staphylococcus aureus. Solitamente l’infezione viene contratta per la microinalazione di batteri situati nell’orofaringe o nelle vie aeree superiori in pazienti gravi, ad esempio intubati, o dopo un intervento chirurgico addominale o toracico in pazienti di età superiore a 70 anni.
I fattori di rischio che più spesso causano infezioni polmonari sono:
- precedenti trattamenti antibiotici;
- pH gastrico elevato ad esempio dopo una terapia o la profilassi per le ulcere da stress con anti-H2 o con inibitori della pompa protonica;
- la presenza concomitante di insufficienza cardiaca, respiratoria, epatica e renale.
Il paziente con infezioni polmonari avrà delle difficolta respiratorie che accompagnano la febbre, dolore toracico, dispnea e tosse.
Per ottenere la diagnosi dell’infezione polmonare il medico deve solitamente eseguire un esame colturale dell’espettorato in modo da individuare la presenza di microrganismi patogeni e confermare la diagnosi di infezione. Può essere utile anche l’esecuzione di una radiografia del torace in modo da evidenziare l’eventuale presenza di danni polmonari.
Il trattamento dell’infezione polmonare avviene con la somministrazione del corretto antibiotico da individuare sulla base del tipo di batterio e delle condizioni di generali pregresse del paziente.
La mancata prescrizione dell’antibiotico corretto o il mancato trattamento dell’infezione costituiscono errori medici: simili omissioni, infatti, impediscono la diagnosi efficace dell’infezione e possono far sorgere complicanze gravi per il paziente e, di conseguenza, il diritto a chiedere il risarcimento dei danni con l’intervento di un avvocato esperto in malasanità.
La diagnosi delle infezioni ospedaliere o nosocomiali delle vie urinarie
Le infezioni alle vie urinarie sono le più frequenti infezioni nosocomiali o ospedaliere, perché il paziente può essere a contatto con ambienti non sterilizzati in modo opportuno o utilizzati da più persone (un esempio su tutti i bagni) oppure perché a seguito di un intervento o per visite specifiche devono subire l’inserimento del catere.
I pazienti con infezioni delle vie urinarie presentano problemi urinari, come ad esempio:
- bruciore durante la minzione;
- frequente e intenso bisogno di urinare urgentemente;
- dolore e pesantezza a livello del pube;
- urine torbide, scure, maleodoranti o con tracce di sangue.
Per confermare la diagnosi delle infezioni delle vie urinarie si esegue un esame delle urine e l’urinocoltura. L’esame delle urine analizza le caratteristiche chimiche e fisiche delle urine mentre l’urinocoltura permette di individuare e isolare il microrganismo responsabile dell’infezione. Nel caso in cui dall’esame delle urine risulti un aumento dell’estarasi leucocitaria (enzima prodotto dai globuli bianchi quando vi sono batteri nelle urine), l’indagine deve essere proseguita con l’esecuzione dell’urinocoltura per escludere o meno l’infezione.
Anche in questo caso se viene individuata l’infezione, il medico deve prescrivere opportuna terapia antibiotica, ad esempio utilizzando fluorochinolonici: i batteri responsabili delle infezioni alle vie urinarie (come la Klebisella, il Proteus sppo l’Escherichia Coli) sono talvolta refrattari ad alcune tipologie di antibiotico quindi i sanitari devono procedere con un antibiogramma sul microrganismo individuato che permetta di individuare la cura giusta.
La prescrizione di farmaci controindicati o sbagliati, infatti, costituisce una negligenza del medico o dell’ospedale che può determinare una colpa medica. Quando la viene accertata la responsabilità del medico, la paziente può chiedere il risarcimento dei danni subiti con l’assistenza di un avvocato esperto in malasanità.
Le diagnosi delle infezioni ospedaliere della circolazione sanguigna
L’infezione nosocomiale o ospedaliera della circolazione sanguigna è spesso provocata dall’inserimento di un ago o di catetere venoso infetto.
I fattori di rischio principali che possono facilitare l’infeizone della circolazione sanguigna sono:
- interventi chirurgici, specie se ad alta complessità
- uso prolungato di dispositivi medici invasivi o flebo;
- indebolimento del sistema di difesa dell’organismo (immunosoppressione);
- presenza di gravi malattie di base.
In caso di sintomi quali febbre, indebolimento, pressione accelerata, problemi urinari o dolori diffusi i sanitari devono prevedere l’esecuzione dell’emocoltura che consiste in un prelievo di sangue venoso, dal cui campione vengono isolati i microrganismi patogeni. Sulla base del risultato di questo esame verrà scelta una terapia mirata. Essendo la sepsi un’infezione sistemica, che interessa quindi tutto l’organismo, la sintomatologia coinvolge più organi quindi la tempestività dell’intervento è essenziale per evitare danni gravi al paziente, finanche la morte.
La diagnosi, oltre l’esecuzione dell’emocoltura, prevede anche il monitoraggio della diuresi che è possibile con il posizionamento di un catetere vescicale per valutare la funzionalità dell’apparato urinario e l’esecuzione di esami ematici. Gli esami ematici consistono in un prelievo di sangue venoso attraverso il quale vengono valutati l’emocromo, la proteina C reattiva e la procalcitonia, i fattori della coagulazione (PT, PTT e fibrinogeno, la creatinina (per valutare la funzionalità renale), bilirubina e azotemia.
Nel caso di sospetto di infezione della circolazione sanguigna è raccomandata la valutazione dei livelli di lattati nel sangue che permette di identificare la presenza di un eventuale danno d’organo.
Essenziale, in questa fase, risulterà l’esame della documentazione medica, tra cui le analisi e gli esami prescritti, i medicinali assunti, la cartella clinica e il consenso informato. È consigliabile conservare questa documentazione per favorire la gestione di un’eventuale pratica di risarcimento dei danni. In caso contrario il paziente o i suoi eredi hanno sempre diritto a chiedere copia dei referti che devono essere rilasciati dalla struttura previo rimborso dei costi di copia.
Le diagnosi delle infezioni ospedaliere della ferita chirurgica
L’infezione della ferita chirurgica deve essere sospettata se, in seguito ad una valutazione clinica, il paziente mostra:
- fuoriuscita di liquido di drenaggio maleodorante;
- presenza di anomalo sanguinamento;
- rossore della cute intorno alla ferita;
- febbre;
- aumento della frequenza cardiaca;
Per confermare la diagnosi di infezione della ferita chirurgica si può eseguire un tampone prelevando materiale dalla sede della ferita stessa, il quale viene messo in coltura; in questo modo è possibile individuare l’agente patogeno che ha causato l’infezione.
I principali microrganismi responsabili di infezione della ferita chirurgica sono:
- Klebsiella pneumoniae;
- Enterococci;
- Escherichia coli;
In caso di intervento chirurgico, quindi, è buona norma somministrare la profilassi antibiotica preventiva in modo che sia completamente assorbita entro 60 min. prima dell’incisione ripentendo la profilassi nel caso di interventi di durata superiore alle quattro ore, che è la durata minima di una dose antibiotica. In alcuni tipi di intervento cardiaco, toracico, ortopedico e vascolare è consigliato gestire la profilassi antibiotica fino alle 24 ore successive all’intervento.
Durante la fase post-operatoria, poi, la ferita dovrà essere trattata in modo sterile per almeno 48 ore e medicata in ambiente sterile per evitare l’esposizione ad agenti patogeni. In questa fase l’accuratezza dei sanitari (medici, infermieri e paramedici) è essenziale per evitare l’insorgere della complicanza e possibili gravi conseguenze per il paziente: lavaggio delle mani, utilizzo di guanti e mascherina, utilizzo di materiali e garze sterili sono i principali metodi per evitare l’infezione della ferita chirurgica.
È opportuno ricordare che in caso di trasmissione di infezioni nosocomiali (cioè durante la degenza ospedaliera o durante lo svolgimento di una visita) è possibile chiedere il risarcimento dei danni all’ospedale che è responsabile della carenza organizzativa e degli ipotetici sbagli del personale. Anche in questo caso sarà opportuno rivolgersi ad un avvocato esperto in malasanità.
Le responsabilità del personale sanitario nella diagnosi delle infezioni ospedaliere
Per prevenire danni irreversibili e il decesso del paziente conseguente ad un’infezione è fondamentale diagnosticarla il più presto possibile. La diagnosi, di conseguenza, permette di intraprendere un trattamento mirato tempestivo.
Il professionista sanitario e/o il medico devono riconoscere i segni presuntivi di infezione (febbre, aumento della frequenza cardiaca, difficoltà respiratorie e urinarie, fuoriuscita di liquido maleodorante ecc..) e agire in modo veloce e preciso.
In presenza di questi segni devono essere eseguiti ulteriori accertamenti come esami ematici, esami delle urine, radiografie, TAC ecc. che permettono di definire la diagnosi di infezione e di individuare qual è l’agente patogeno che l’ha provocata così da iniziare in maniera tempestiva la terapia più adatta per guarire l’infezione in tempo.
Il paziente, o i suoi familiari, potrebbero – in certi casi – ottenere il risarcimento del danno anche qualora il medico non abbia spiegato, o non abbia sufficientemente spiegato al paziente, il tipo di esame diagnostico che deve essere effettuato e, successivamente, quale terapia gli sarà somministrata o il tipo di intervento chirurgico che dovrà subire, oppure le modalità con cui si svolge, le conseguenze, i rischi e le possibili complicanze ed effetti collaterali, i vantaggi e svantaggi, le eventuali alternative terapeutiche (consenso informato).
Le complicanze delle infezioni ospedaliere possono essere quindi conseguenti a:
- mancato riconoscimento dei segni e dei sintomi dell’infezione;
- mancata diagnosi;
- diagnosi errata;
- errata esecuzione degli approfondimenti diagnostici;
- mancata esecuzione di approfondimenti diagnostici in presenza di un sospetto di infezione;
- ritardo nella diagnosi;
- mancato o parziale consenso informato;
- mancanza di diagnosi differenziale.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un eventuale errore del dei sanitari o dell’Ospedale per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze ed essere causa di danni per il paziente o persino del suo decesso.
Risarcimento dei danni in caso di infezioni nosocomiali o ospedaliere non diagnosticate o con diagnosi ritardata
La valutazione di quali danni possono essere chiesti nel caso di infezioni nosocomiali non diagnosticate o diagnosticate in ritardo o in modo sbagliato per errore medico o di un sanitario o per una carenza della struttura ospedaliera, rimane dell’avvocato e del medico legale, ad esempio il danno patrimoniale (ossia danni economici da lucro cessante o danno emergente) o il danno non patrimoniale (come il danno biologico per inabilità temporanea o invalidità permanente, il danno morale o, nei casi, più gravi il danno da morte o da perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza).
Il danno non patrimoniale potrà considerare gli aspetti morali (ossia le sofferenze) o esistenziali (ad esempio i cambiamenti nello stile di vita o nelle abitudini) o estetici (ad esempio perché sono rimasti postumi che deturpano l’aspetto esteriore della vittima) che hanno colpito maggiormente il malato: ad esempio per una cicatrice molto evidente a seguito di un’infezione di ferita chirurgica o in caso di grave infezione urinaria dopo aver avuto il catetere. Esaminare le questioni più soggettive e personali capitate al danneggiato a seguito dell’evento si chiama personalizzazione del danno.
Un errore medico, infatti, può provocare diverse conseguenze in base alla persona che lo subisce, per questi motivi sarà importante considerare l’età del danneggiato, l’attività lavorativa o le sue aspirazioni, l’attività sportiva praticata o i suoi hobbies. Queste sfaccettature permetteranno all’avvocato ed al medico legale di quantificare in modo corretto l’importo di danno non patrimoniale subito.
Per i danni patrimoniali, invece, potrà essere chiesto, ad esempio, il rimborso delle spese sostenute durante la cura: a tal fine potranno essere utili scontrini della farmacia, ricevute dei costi di alloggio, fatture per visite mediche o per acquisto attrezzature (danno emergente); oppure le spese future che dovranno essere effettuare a causa dell’errore della diagnosi dell’infezione (fornendo la prova dei costi sostenuti); o, ancora, il risarcimento per i mancati guadagni subiti dal paziente a causa del peggioramento della salute o del protrarsi delle cure (lucro cessante).
Nel caso in cui l’esito della cura dovesse essere infausto e, quindi, il paziente dovesse morire, anche gli eredi (madre, padre, marito, moglie, figlio, figlia, fratello, sorella ecc.) potrebbero agire per chiedere il risarcimento del danno patito dal familiare mentre ancora era in vita (ad esempio per la sofferenza subita, c.d. danni iure hereditatis), del danno per la perdita parentale (variabile in base al grado di parentela, c.d. danni iure proprio) ma anche dei danni patiti direttamente per il dolore provato per la morte di una persona cara o per i peggioramento subito al proprio stile di vita (ad esempio perdite economiche o modifiche drastiche delle proprie abitudini, c.d. danni iure proprio).