GRAVIDANZA PROTRATTA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
La gravidanza post termine, cioè quella che supera il termine delle 42 settimane di gestazione, deve essere monitorata o trattata per ridurre i rischi per il bambino e la mamma
La data presunta del parto viene stabilita allo scadere della quarantesima settimana di gravidanza, cioè al 280° giorno dall’inizio dell’ultima mestruazione, ma il termine di gravidanza comprende una finestra temporale che va dalle 37 settimane di gestazione alle 41 settimane e 6 giorni; prima di questo periodo la gravidanza viene definita pretermine e oltre viene detta post termine.
Come il parto pretermine può esporre il feto a maggiori rischi, mettendo in pericolo la sua salute, anche la gravidanza protratta può rappresentare una minaccia per madre e figlio ed è quindi fondamentale che la gravidanza venga datata correttamente.
La datazione della gravidanza può avvenire per via anamnestica, contando i giorni dalla data di inizio dell’ultima mestruazione, ma spesso questo metodo può essere impreciso a causa delle possibili irregolarità del ciclo; per questo alla datazione anamnestica deve essere associata una datazione ecografica, che avviene misurando la lunghezza cranio-caudale dell’embrione eseguita nel primo trimestre di gravidanza.
È importante che la datazione ecografica avvenga nel primo trimestre, perché in epoche di gravidanza successive il feto può essere facilmente soggetto a variabilità costituzionale e una misurazione dei valori morfologici può risultare meno accurata; è comunque da ricordare che un’imprecisione di qualche giorno è del tutto normale anche se la datazione ecografica viene eseguita correttamente.
La gravidanza protratta si verifica in circa il 5% sul totale delle gravidanze.
Complicanze della gravidanza post termine
Anche se non vi è totale concordia tra gli studi eseguiti sulle gravidanze protratte, è stato rilevato un aumento delle seguenti complicanze nelle gravidanze post termine rispetto a quelle a termine:
- restrizione di crescita fetale;
- macrosomia;
- alterazione del benessere fetale;
- oligoamnios (riduzione del liquido amniotico in utero);
- ricovero in terapia intensiva neonatale;
- distocia durante il parto;
- parto cesareo;
- lacerazioni perineali;
- emorragia del post partum.
Le complicanze fetali delle gravidanze protratte sono principalmente correlate all’invecchiamento della placenta, che raggiunge l’apice del suo sviluppo intorno alle 37-38 settimane di gestazione e successivamente va incontro a deterioramento, riducendo la sua capacità di scambiare ossigeno.
Quando la placenta diventa inadeguata per sopperire alle necessità nutrizionali del feto, aumenta la possibilità che si incorra in una grave ipossia o restrizione di crescita fetale, con un maggiore rischio di mortalità perinatale.
Al contrario, nelle gravidanze non complicate in cui la placenta riesce a fornire un adeguato apporto nutritivo vi è un rischio aumentato di macrosomia e complicanze del parto. Nelle gestazioni che superano il termine si è potuto osservare un’aumentata frequenza di distress fetale in travaglio, sindrome da aspirazione di meconio, basso indice di Apgar, acidemia, o traumi neonatali in caso di macrosomia.
La macrosomia è una condizione in cui le misure morfologiche fetali superano quelle abituali, determinando la possibilità di complicanze nel parto; generalmente si parla di macrosomia quando un bambino pesa oltre 4500 grammi.
Il canale da parto ha spesso un’ampiezza insufficiente per consentire il passaggio di un feto affetto da macrosomia e questo determina il rischio di dover ricorrere ad un taglio cesareo; invece, nei casi in cui il feto macrosoma riesce a percorrere il canale da parto, il suo passaggio può causare traumi alla madre, come le lacerazioni perineali, o può determinare una distocia di spalla, una temuta emergenza ostetrica che si presenta quando la spalla fetale si incastra nel bacino materno a seguito dell’espulsione della testa; inoltre, la sovradistensione delle pareti uterine dovute alla macrosomia fetale può essere all’origine di un’emorragia del post partum.
Trattamento della gravidanza post termine
Il trattamento proposto in caso di gravidanza post termine è generalmente l’induzione del travaglio di parto. È comunque opportuno offrire alla donna informazioni riguardo alle altre possibilità terapeutiche, cioè l’induzione del travaglio tramite metodi naturali o la condotta di attesa sotto monitoraggio medico.
Vi sono indicazioni non concordi su quale sia il momento opportuno per indurre il travaglio, ma generalmente si suggerisce di ricorrere all’induzione tra le 41 e le 42 settimane di gestazione, in modo da massimizzare la possibilità che il travaglio insorga spontaneamente ma evitando anche le complicanze legate alla gravidanza post termine.
L’induzione avviene in genere per via farmacologica, somministrando alla donna prostaglandine, sostanze che favoriscono la maturazione della cervice uterina e promuovono l’insorgenza delle contrazioni, o ossitocina, l’ormone che provoca la contrazione dell’utero in travaglio.
La scelta del trattamento deve essere valutata in base alle condizioni cliniche della donna e all’esito della visita ostetrica. In caso vi siano controindicazioni all’induzione farmacologica del travaglio di parto, come nelle situazioni di patologia materna che impedisce il parto per via vaginale, dovrà essere proposto il taglio cesareo.
Per le donne che hanno partorito tramite taglio cesareo in una precedente gravidanza è necessaria un’attenta valutazione della situazione clinica, poiché l’induzione del travaglio potrebbe implicare maggiori rischi.
In ogni caso la donna deve essere informata dei rischi che l’induzione del travaglio di parto può determinare; in particolare deve essere informata della possibilità di fallimento dell’induzione, che potrebbe richiedere l’esecuzione di un taglio cesareo.
Inoltre la donna deve essere a conoscenza della possibilità di incorrere in ipertono uterino (contrazioni di eccessiva durata) o in una tachisistolia uterina (un’eccessiva quantità di contrazioni) che possono mettere a rischio il benessere del bambino; queste situazioni possono essere affrontare con la sospensione immediata del processo di induzione del travaglio e con la somministrazione di farmaci che riducono la presenza di contrazioni, oppure con l’esecuzione del taglio cesareo nei casi di maggiore urgenza.
La condotta di attesa può essere considerata un’opzione se non si rilevano anomalie nello sviluppo e nel benessere fetale e se la donna è consapevole dei benefici e rischi che questa opzione può contemplare. È quindi compito del professionista sanitario informare la donna attentamente e assicurarsi che abbia compreso le implicazioni di questa scelta terapeutica.
Monitoraggio fetale nella gravidanza protratta
Il monitoraggio della gravidanza a termine è fondamentale per assicurarsi che il bambino non soffra per il deterioramento della placenta e che non si presentino problemi legati alla prosecuzione della gestazione.
Le principali tecniche per il monitoraggio del benessere fetale sono:
- la cardiotocografia;
- la valutazione della tasca massima di liquido
La cardiotocografia fetale consente di valutare il benessere del bambino in base alla sua attività cardiaca. L’esame viene effettuato ponendo sull’addome della madre due sonde; la prima deve essere localizzata in corrispondenza del dorso del feto e rileva il battito cardiaco, mentre la seconda rileva la presenza di contrazioni uterine.
I risultati delle due sonde vengono trascritti su un foglio sotto forma di grafico, che li correla ai movimenti attivi del feto segnalati dalla madre. Un’attenta valutazione del risultato della cardiotocografia consente di riconoscere se il feto, al momento dell’esecuzione dell’esame, si trova in una condizione di benessere o meno.
La valutazione della tasca massima di liquido amniotico serve ad escludere la presenza di anomalie nella quantità del liquido, che sono spesso correlate ad una situazione di malessere fetale.
Questo esame viene effettuato per via ecografica misurando la quantità di liquido amniotico nei quattro quadranti dell’utero e valutando solo i parametri maggiori, che determinano appunto la tasca massima.
Nel caso di una gravidanza protratta va offerto un monitoraggio del benessere fetale consistente in due cardiotocografie settimanali e una valutazione della tasca massima di liquido.
Se vengono rilevate condizioni fetali sospette è necessario intervenire proponendo alla donna le alternative di espletamento del parto, per ridurre il rischio di complicanze della gravidanza.