TOXOPLASMOSI IN GRAVIDANZA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
È importante prevenire l’infezione da toxoplasmosi in gravidanza e controllare lo stato sierologico perché, se contratta per la prima volta durante la gestazione, può provocare danni allo sviluppo del bambino.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze.
Cos’è la toxoplasmosi
La toxoplasmosi è un’infezione causata da un parassita, un protozoo intracellulare obbligato chiamato Toxoplasma Gondii, che può infettare facilmente gli animali a sangue caldo, anche se l’ospite definito in cui il parassita può riprodursi è rappresentato dal gatto.
Il gatto può trasmettere l’infezione da Toxoplasma Gondii tramite i fluidi corporei e il particolare attraverso le feci, che possono contaminare gli ortaggi e la carne degli animali nutriti con tali verdure.
La toxoplasmosi è un’infezione generalmente asintomatica, che talvolta può provocare un ingrossamento dei linfonodi e altri sintomi simil-influenzali, che non determinano complicanze all’individuo affetto. Tuttavia, se l’infezione viene contratta in gravidanza, il Toxoplasma Gondii può causare una spontanea interruzione della gravidanza o l’insorgenza di complicanze congenite, spesso gravi.
Quando una donna contrae l’infezione da toxoplasma in gravidanza, non necessariamente la trasmette al feto; la possibilità di contagio verticale è differente a seconda dell’epoca gestazionale a cui avviene il contagio: nel primo trimestre di gravidanza il rischio di trasmissione al feto è minore (il contagio avviene nel 20% dei casi circa), mentre è aumentato nel secondo trimestre (riguardando circa il 40% dei feti) ed è ancora maggiore nel terzo trimestre di gestazione (circa il 65% dei feti sono coinvolti).
Diversamente, la gravità delle complicanze di un feto che contrare la toxoplasmosi nel corso del primo trimestre di gravidanza è maggiore, mentre in caso di infezione contratta nel terzo trimestre vi è in genere una minore gravità dei danni.
L’incidenza della toxoplasmosi congenita è pari a circa lo 0,3% dei nati
Sintomi e complicanze della toxoplasmosi
L’infezione contratta in gravidanza, così come quella contratta al di fuori della gravidanza, è spesso asintomatica, ed è quindi importante che la diagnosi venga effettuata tramite una corretta esecuzione degli esami ematici previsti nel corso della gravidanza.
La toxoplasmosi trasmessa verticalmente dalla madre al feto può provocare:
- aborto;
- morte fetale;
- nascita pretermine;
- ritardo di crescita intrauterino (iugr);
- ventricolomegalia;
- epatomegalia;
- splenomegalia;
- calcificazioni cerebrali;
- idrocefalia;
L’aborto spontaneo e la morte intrauterina fetale riguardano prevalentemente i casi di toxoplasmosi contratta precocemente in gravidanza, mentre se il contagio avviene nelle epoche più tardive i sintomi tipici sono quelli cerebrali e a carico dei singoli organi.
Nel neonato i sintomi di un’infezione congenita da Toxoplasma Gondii possono essere:
- convulsioni;
- anemia;
- ittero;
- polmonite;
- rush cutaneo.
A questi sintomi tipici di un’infezione neonatale possono aggiungersi quelli tipici della vita intrauterina, come la corioretinite, la splenomegalia, l’epatomegalia e la ventricolomegalia, oltre ad altri sintomi neurologici.
La corioretinite è una condizione patologica in cui si instaura un focolaio infiammatorio sulla retina dell’occhio, determinando disturbi visivi di differente entità.
Va ricordato che solo il 15% circa dei neonati mostra sintomi dati dall’infezione alla nascita; nell’85% dei casi la condizione rimane asintomatica, con l’elevato rischio di sviluppare sequele tardive, settimane mesi o anche anni dopo la nascita.
In particolare, la corioretinite e i disturbi neurologici possono non manifestarsi in epoca neonatale ma insorgere solo più tardi nell’infanzia; per questo motivo è essenziale proporre un adeguato follow-up per i bambini con diagnosi di toxoplasmosi congenita.
Prevenzione della toxoplasmosi
Per tutte le donne in gravidanza è previsto un esame, detto toxotest, per verificare una precedente infezione da toxoplasmosi, oppure la presenza di un’infezione da Toxoplasma Gondii in corso. Questo esame di basa sulla ricerca di immunoglobuline specifiche, ovvero gli anticorpi che si sviluppano in risposta alla malattia. La presenza di anticorpi detti IgM segnala che la donna ha avuto contatto con il Toxoplasma Gondii e che l’infezione è in corso.
Una presenza di anticorpi IgG segnala invece un precedente contatto con il virus, indica quindi che la donna ha contratto la patologia in passato e che è protetta da questa in futuro.
Al contrario, se non si rileva la presenza di IgM o di IgG, significa che la donna non è mai entrata in contatto con il parassita in passato e che può risultare suscettibile all’infezione nel corso della gravidanza.
In quest’ultimo caso, è necessario che il toxotest venga ripetuto regolarmente durante la gestazione, per assicurarsi che la toxoplasmosi non si presenti nel corso della gravidanza e, in caso di infezione, per offrire un’adeguata terapia e ridurre il rischio di complicanze feto-neonatali.
A tutte le donne che non sono mai entrate in contatto con il parassita in passato, definite come recettive alla toxoplasmosi, devono essere offerte informazioni sulla prevenzione dell’infezione. È importante che durante il primo incontro in gravidanza, il medico o l’ostetrica istruiscano le gestanti a rischio di contrarre l’infezione su quali comportamenti siano sicuri e prevengano il contagio. In particolare, la prevenzione della toxoplasmosi avviene tramite norme igieniche e alimentari.
Per le gestanti recettive alla toxoplasmosi e per coloro con uno stato immunologico ignoto, è indicato di non consumare carne o pesce crudo o poco cotto; le bistecche al sangue, il roast-beef, gli hamburger e alimenti simili sono da considerare a rischio.
Vanno evitati anche gli affettati come prosciutto crudo, salame, speck o bresaola. Le verdure vanno anch’esse consumate cotte, poiché possono essere entrate in contatto con liquido biologici di gatto e possono quindi rappresentare un rischio, in particolare se di provenienza dall’orto. La frutta deve essere lavata accuratamente e sbucciata prima del consumo.
È importante prestare attenzione alla modalità di conservazione del cibo, che deve essere riposto in frigorifero all’interno di contenitori chiusi. È consigliato un accurato lavaggio delle mani prima e dopo aver maneggiato il cibo.
È opportuno limitare il contatto con i gatti, in quanto principali ospiti del Toxoplasma Gondii. In caso di convivenza con un gatto, la gestante deve cercare di ridurre il contatto e lavarsi accuratamente le mani dopo aver accarezzato l’animale; in particolare deve essere posta attenzione durante la pulizia della lettiera del gatto, perché il contatto con i liquidi biologici può essere facilitato in questa occasione.
Diagnosi della toxoplasmosi
La diagnosi avviene effettuando il toxotest precedentemente descritto. Tutte le donne in gravidanza devono essere invitate ad eseguire questo esame all’inizio della gravidanza e in caso di recettività alla toxoplasmosi deve essere ripetuto regolarmente.
Il professionista che assiste alla gravidanza della donna deve informare sull’importanza di monitorare la recettività alla toxoplasmosi ed invitarla ad eseguire i controlli necessari. Se nel corso della gravidanza si evidenzia una positività per la toxoplasmosi è necessario eseguire dei test più approfonditi per capire se l’infezione ha coinvolto anche il bambino e quale tipo di danno può avere causato al feto.
L’amniocentesi è utile per capire se l’infezione è stata trasmessa al feto o meno; l’analisi del Polymerase Chain Reaction (PCR) ha una capacità piuttosto elevata di riconoscere i feti che sono stati coinvolti nell’infezione.
L’ecografia non è un metodo valido per identificare i feti con positività per toxoplasmosi, perché spesso l’infezione non provoca sintomi osservabili ecograficamente, ma in caso di diagnosi di toxoplasmosi sospetta o conclamata, il medico deve programmare delle ecografie seriate in un centro specializzato al fine di diagnosticare i danni provocati dalla patologia, come alterazione nella morfologia del cranio o anomalie di sviluppo degli organi interni.
Trattamento della toxoplasmosi
In caso di positività materna per toxoplasmosi, è indicato un trattamento con spiramicina, al fine di ridurre il rischio di contagio del feto. Questa terapia maggiormente efficace se iniziata precocemente, ed è quindi essenziale che il percorso diagnostico sia svolto in maniera rapida e corretta.
La terapia con spiramicina va continuata dal momento della diagnosi fino alla nascita del bambino. Nel caso in cui si accerti la presenza di un’infezione fetale, in particolare modo se dopo le 18 settimane di gestazione, la terapia della toxoplasmosi prevede pirimetamina e sulfadiazina.
Questi farmaci vanno associati ad un supplemento di acido folinico per tutta la durata del trattamento fino a una settimana dopo il termine della terapia. Il trattamento con pirimetamina e sulfadiazina è efficace poiché supera la barriera placentare, agendo direttamente sul parassita, ma questa terapia è sconsigliata prima delle 18 settimana di gestazione e controindicati nel primo trimestre di gravidanza, poiché può avere effetti teratogeni sul feto e complicare il decorso della gravidanza.
Inoltre, il trattamento con pirimetamina e sulfadiazina è spesso correlato ad effetti collaterali per la madre e va quindi valutato attentamente con la donna il bilancio dei rischi e dei benefici correlati alla somministrazione dei farmaci, per decidere se proseguire con la terapia o interromperla; in particolare nel caso si manifestasse anemia si può considerare di alternare il trattamento con pirimetamina e sulfadiazina a cicli di spiramicina, per facilitare una maggiore tolleranza ai farmaci.
In caso di buona tolleranza alla pirimetamina e sulfadiazina, il trattamento va proseguito fino a due settimane prima del presunto parto, per poi continuare con la spiramicina fino alla nascita.
In presenza di diagnosi neonatale di toxoplasmosi congenita, la terapia è rappresenta anche in questo caso da pirimetamina e sulfadiazina in associazione ad un’integrazione di acido folinico, per tutto il primo anno di vita del bambino. Va considerato che questo trattamento può implicare anche per il neonato differenti effetti collaterali che vanno monitorati, in particolare una condizione di anemia, neutrofilia (la carenza di granulociti neutrofili) o la presenza di nausea e vomito.
Percorso di follow-up per la toxoplasmosi congenita
I pediatri devono pianificare un adeguato percorso di follow-up al momento della dimissione del neonato, perché molti bambini con un’infezione asintomatica possono presentare sintomi successivamente. In particolare, l’alterazione della vista e dell’udito possono non manifestarsi al momento della nascita, ma palesarsi più tardivamente. È raccomandato di proseguire il percorso di follow-up per almeno il primo anno di vita del bambino e anche oltre, se si sospettano possibili disturbi neurologici.