HIV E GRAVIDANZA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
La positività per infezione da HIV è una condizione che ha un grosso impatto sulla vita della donna e sulla gravidanza; la donna in gravidanza va quindi monitorata ed assistita secondo un percorso specializzato, per ridurre il rischio di contagio del bambino.
In caso di contagio da HIV bisogna verificare tutte le metodiche scelte dal ginecologo o dall’ostetrica. Un passaggio fondamentale se ci si trova davanti ad un caso di malasanità. Un medico legale, anche coadiuvato da uno specialista e da un avvocato, può capire se vi sia stato un errore nella diagnosi, nell’esecuzione del trattamento sanitario o nello svolgimento della terapia e, di conseguenza, se c’è responsabilità del medico, dell’equipe o dell’Ospedale (siano anche una Casa di cura o una Clinica). Essenziale, in questa fase, risulterà la disamina della documentazione medica tra cui gli esami, la cartella clinica e il consenso informato.
Cos’è il virus HIV e come agisce nell’organismo
Il termine HIV è una sigla usata per indicare il virus dell’immunodeficienza umana (Human Immunodeficiency Virus); l’HIV è il virus responsabile della patologia diventata nota negli anni ’80 con il termine AIDS, ovvero sindrome da immunodeficienza acquisita.
È possibile distinguere due forme virali, l’HIV-1 e H-IV2, che fanno entrambe parte del genere Lentivirus famiglia dei Retroviridae; l’HIV-1 è la forma più comunemente diffusa, mentre l’HIV-2 è più rara e caratterizzata da un’infettività minore, anche se entrambe le tipologie di virus mantengono peculiarità molto simili.
L’HIV agisce replicandosi nell’organismo e attaccando le cellule del sistema immunitario dell’uomo; per questo motivo la patologia dell’AIDS determina una compromissione crescente del sistema immunitario, che causa una maggiore suscettibilità ad altre patologie, in particolare a quelle infettive.
Il contagio da HIV può avvenire solo in presenza di un sufficiente numero di copie di virus nell’organismo; è stato osservata la presenza del virus dell’HIV in differenti liquidi biologici delle persone affette, ma solo il sangue, lo sperma, le secrezioni vaginali e il latte umano possono essere considerato possibili fattori di trasmissione.
I dati degli ultimi anni in Italia indicano una diagnosi di infezione da HIV in circa 6 persona ogni 100.000, un dato che si sta mantenendo piuttosto costante. Negli ultimi anni, il progresso scientifico e lo sviluppo farmacologico hanno consentito la creazione di differenti terapie antiretrovirali, che limitano lo sviluppo della patologia; i diversi farmaci presenti sul commercio consentono un certo limite di scelta della terapia, a seconda delle esigenze cliniche sociali ed economiche.
Grazie a questa terapia, la mortalità per AIDS si è notevolmente ridotta e l’aspettativa di vita delle persone sieropositive si è incrementata notevolmente.
Test per controllare lo sviluppo dell’infezione da HIV
Il controllo dello sviluppo dell’infezione da HIV avviene tramite due test eseguibili su un campione di sangue: il test dell’RNA e l’analisi delle cellule CD4.
Il test dell’RNA consente di valutare la carica virale, ovvero la presenza di RNS virale in un ml di sangue. Questo esame è estremamente importante perché consente di stabilire l’efficacia della terapia, monitorare la progressione della patologia e valutare il rischio di trasmissione ad altri soggetti. L’analisi delle cellule CD4 prevede la conta dei linfociti CD4, ovvero dei leucociti che proteggono l’organismo. Se la malattia non viene trattata ma lasciata progredire, il virus dell’HIV riesce a distruggere le cellule CD4, determinando un loro decremento e di conseguenza un aumento della carica virale.
Prevenzione preconcezionale dall’HIV
Per coloro che sanno di avere una positività per l’infezione da HIV e desiderano una gravidanza, è importante valutare già prima del concepimento delle strategie per minimizzare la possibilità di contagio del partner e del feto. Se la coppia si rivolge ad un professionista presentando il desiderio di una gravidanza, è suo compito offrire loro tutte le informazioni necessarie per prevenire il contagio.
Nel caso di infezione da HIV nella donna con un partner sano, si consiglia per minimizzare le possibilità di contagio del partner di avere sempre rapporti sessuali protetti (utilizzando il profilattico) e di cercare il concepimento tramite autoinseminazione; potrebbe essere proposto alla donna un esame di accertamento della pervietà tubarica per escludere la possibilità di difficoltà al concepimento dovute a un’ostruzione delle tube.
Si consiglia comunque l’inizio di una terapia antiretrovirale prima del concepimento, al fine di ridurre al minimo il rischio di contagio del bambino e del partner; è compito del professionista sanitario offrire informazioni sulla terapia antiretrovirale e sul rischio di trasmettere la patologia al bambino. Infatti, in presenza di terapia antiretrovirale (ART) il rischio di infezione verticale, dalla madre al feto nel corso della gravidanza, è estremamente basso, pari a circa lo 0,1%.
Nel caso sia l’uomo ad avere positività per infezione da HIV il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita minimizzano il rischio di infezione della donna.
Tenendo conto del maggiore rischio per le persone HIV positive di contrarre altre malattie sessualmente trasmesse, il professionista sanitario deve proporre ulteriori test di indagine per escludere co-infezioni.
Un professionista esperto nelle patologie infettive dovrebbe essere coinvolto nel processo di counselling preconcezionale e durante la gravidanza, per offrire un’assistenza completa e un’informativa adeguata alla coppia.
Diagnosi dell’HIV in gravidanza
A tutte le donne in gravidanza deve essere offerto un test per l’infezione da HIV insieme agli esami del primo trimestre di gravidanza. Il professionista sanitario deve informare la donna sull’importanza di effettuare il test e sui vantaggi di una diagnosi a inizio gravidanza.
In caso di test di diagnosi positivo, dovrebbero essere eseguiti ulteriori esami per identificare lo stadio di sviluppo dell’infezione e la carica virale. Un infettivologo dovrebbe essere coinvolto in questo processo e durante tutta l’assistenza in gravidanza; inoltre, se la donna ne avverte la necessità, dovrebbe essere proposto anche un incontro con uno psicologo, al fine di offrire un adeguato supporto emotivo in questo delicato periodo.
Dovrebbero essere proposta alla donna anche i test specifici per le altre patologie a trasmissione sessuale e un pap-test se non eseguito in epoca preconcezionale.
In tutte le gravidanze, il test per l’infezione da HIV dovrebbe essere proposto anche al partner, sia in caso di positività che di negatività del test della donna.
Terapia per HIV e monitoraggio in gravidanza
La terapia antiretrovirale ha lo scopo di bloccare la replicazione del virus dell’HIV, evitando una forma conclamata e sintomatologica di AIDS. Gli antiretrovirali permettono di ristabilire una sufficiente risposta immunitaria e a conservarla, riducono il rischio di comparsa di resistenza e riducono il rischio di trasmissione virale.
Grazie a questa terapia, l’aspettativa di vita della persona affetta dalla patologia aumenta notevolmente, migliorando la qualità della vita, mentre il rischio di trasmettere l’infezione si riduce. La terapia antiretrovirale dovrebbe essere proposta a tutte le donne in gravidanza con infezione da HIV, comprese coloro che hanno un RNA basso o non rilevabile.
Tutte le donne con sieropositività devono essere informate in gravidanza sui benefici della terapia antiretrovirale e sul rischio di trasmissione dell’infezione al feto durante la gravidanza e la nascita, in presenta di un corretto piano terapeutico. L’obiettivo della terapia antiretrovirale è quello di raggiungere un numero di copie di virus inferiore a 50 copie/ml di sangue, ovvero una quantità non rilevabile.
Per le donne che sono già in terapia con antiretrovirali e che hanno già una carica virale inferiore a 50 copie/ml di sangue, si consiglia un monitoraggio della carica virale ogni due-tre mesi, di cui l’ultima deve essere effettuata entro 4 settimane prima del parto.
Se la donna è già in terapia ma con una carica virale superiore a 50 copie/ml, oppure se si propone un cambio della terapia è indicato un monitoraggio della carica virale mensile fino al raggiungimento di una carica virale inferiore a 50 copie/ml, poi ogni due-tre mesi fino al parto, di cui l’ultima rilevazione deve avvenire entro 4 settimane prima della nascita.
Allo stesso modo deve avvenire il monitoraggio delle donne che iniziano la terapia in gravidanza, ovvero con una rilevazione mensile fino alla quantità non rilevabile e poi ogni due-tre mesi, di cui l’ultima entro quattro settimane dalla data prevista per il parto.
Si suggerisce per le donne in gravidanza con positività per HIV di eseguire un esame ecografico di secondo livello a 20 settimane di gestazione, oltre all’ecografia già prevista dal percorso della gravidanza. È importante che il medico che assiste la donna in gravidanza tenga conto del maggiore rischio di infezioni della donna con positività da HIV e di conseguenza di un possibile rischio di parto prematuro.
Modalità del parto in caso di positività della madre all’HIV
A seguito dell’ultima rilevazione della carica virale che viene effettuata prima della presunta data del parto è necessario che il medico discuta con la donna delle possibili modalità di parto e dei rischi e benefici correlati a ciascuna di esse.
Per le donne con infezione da HIV non in terapia antiretrovirale è raccomandata l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo. Allo stesso modo, il taglio cesareo è raccomandato anche per le donne in terapia antiretrovirali con HIV-RNA rilevabile all’ultimo monitoraggio.
Se una donna con nota positività per infezione da HIV ma non in terapia si presenta presso il punto nascita non in travaglio, si consiglia l’esecuzione di una terapia altamente efficace e l’espletamento del parto tramite taglio cesareo.
Se la donna non in terapia si presenta al punto nascita in travaglio di parto attivo deve essere eseguito il taglio cesareo urgente e deve essere iniziata la terapia antiretrovirale dopo la nascita.
Nel caso la donna si presenti al punto nascita in travaglio senza una documentazione sullo stato sierologico dell’HIV, dovrebbe essere proposto immediatamente un esame di accertamento. In caso di positività, il programma di prevenzione per la trasmissione verticale materno-infantile dell’HIV dovrebbe essere attuato al più presto.
Nel caso una donna in terapia antiretrovirale mostri dall’ultimo monitoraggio un HIV-RNA non rilevabile, può essere considerata l’opzione di un parto per via vaginale, dopo un attento consulto del medico ginecologo con gli altri specialisti e dopo aver informato la donna dei rischi di trasmissione durante il parto spontaneo nel suo singolo caso.
Se si decide di proseguire con un parto per via vaginale è assolutamente controindicato il monitoraggio invasivo del feto. In caso di rottura prematura delle membrane amniocoriali (PROM) da oltre sei ore il parto per via vaginale non è raccomandato.
È essenziale che il bambino riceva la terapia preventiva dopo la nascita, tramite un trattamento antiretrovirale somministrato nel corso delle prime sei settimane di vita, per minimizzare il rischio di infezione.
Dopo il parto la donna deve essere invitata a proseguire la terapia antiretrovirale, per migliorare l’aspettativa di vita e ridurre il rischio di trasmissione.