EPATITE C
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
L’epatite C è un’infezione provocata dal virus dell’HCV e può provocare un serio danno a livello epatico se non viene diagnostica, prevenuta e adeguatamente trattata.
Si può riscontrare l’epatite C anche nei neonati poiché il virus può essere trasmesso da mamma a figlio durante la gravidanza e il parto, per cui la prevenzione deve essere fatta sin dal primo trimestre di gravidanza individuando le future mamme positive per l’epatite C in modo tale da limitare il rischio di trasmissione al proprio bambino e di conseguenza le complicanze che questa infezione comporta.
L’epatite C, infatti, è responsabile del 50% dei tumori al fegato e delle cirrosi epatiche terminali per cui è spesso indicazione per il trapianto al fegato. La prima cosa da fare per evitare gli esiti avversi dell’epatite C è quella di ridurne la trasmissione.
La trasmissione dell’epatite C avviene tramite il contatto diretto con i liquidi biologici dei soggetti positivi, con lo scambio di aghi, uso promiscuo di oggetti per manicure, pedicure e in misura minore per via sessuale ma anche per via verticale quindi il virus può essere trasmesso da mamma a figlio durante la gravidanza e al momento del parto.
I professionisti sanitari devono mettere in atto tutte quelle misure al fine di prevenire la trasmissione dell’epatite C. Questa infezione è anche nota come “epidemia silenziosa” poiché per un lungo periodo di tempo della durata anche di 3 anni decorre in modo asintomatico ed esita nel 70% dei casi in un’epatite cronica con grave danno al fegato e spesso esita nel decesso del paziente.
In caso di gravi complicanze o morte del paziente pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (marito, moglie, partner, convivente, genitori, figlio/figlia, fratello/sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo, e se c’erano effettive possibilità di guarigione, o di evitare l’evento. Essenziale, in questa fase, risulterà l’esame dei referti medici tra cui le visite specialistiche, gli esami di laboratorio, i farmaci prescritti, la cartella clinica e il consenso informato.
La prevenzione dell’epatite C deve essere attuata durante la gravidanza e il parto per ridurre al minimo il contagio per il bambino.
L’epatite C in gravidanza
In gravidanza lo screening per la rilevazione dell’epatite C nella futura mamma non è obbligatorio per cui tale esame non viene eseguito a tutte le mamme in dolce attesa. Lo screening per l’epatite C consiste nell’esecuzione di un prelievo di sangue venoso che va a ricercare gli anticorpi dell’infezione.
L’esecuzione del prelievo viene consigliato dal ginecologo nel primo trimestre di gravidanza alle mamme che presentano un rischio aumentato di contrarre l’infezione da epatite C:
- contatto sessuale con persone infette;
- età minore di 25 anni;
- diversi partner sessuali;
- abuso di alcol e sostanza stupefacenti;
- rapporti non protetti;
- pregressa malattia sessualmente trasmessa;
- vittima di violenza sessuale.
Se l’esame risulta positivo per l’infezione da epatite C, devono essere eseguiti ulteriori esami più approfonditi per verificare la carica virale ovvero la quantità di virus nel sangue attraverso l’HCV-RNA PCR.
Un’elevata carica virale è associata ad un maggior rischio di trasmissione dell’infezione da mamma a figlio durante la gravidanza. Il rischio di trasmissione al bambino è aumentato anche quando vi è la copresenza di HIV e HCV.
Ad ogni modo, in presenza di un’elevata carica virale non possono essere somministrati farmaci in gravidanza per contrastare l’infezione e ridurre il rischio di trasmissione poiché tali farmaci attraversano la placenta, giungono al feto e provocano effetti teratogeni.
Un ginecologo che prescrive comunque medicinali nocivi per il bambino commette un errore medico che può significare un grave pericolo per la vita del feto e del neonato. In questo caso, anche se non esiste un automatismo tra errore medico e risarcimento del danno, devono essere verificati gli effettivi danni subiti dal piccolo.
Potrebbero infatti essere configurati più voci di danno: ad esempio danno patrimoniale, non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale), perdita di chance di guarigione o sopravvivenza. Deve essere considerato tra i danni patiti anche il doversi sottoporre ad una serie di trattamenti medici ulteriori con i connessi rischi.
Al fine di limitare la trasmissione verticale, inoltre, devono essere evitate le manovre invasive in gravidanza come l’amniocentesi e i traumi della placenta poiché aumentano il rischio del passaggio del virus HCV dal distretto materno a quello fetale.
L’epatite C e tipo di parto
L’infezione da HCV non rappresenta un’indicazione per l’espletamento del parto tramite taglio cesareo.
Il taglio cesareo è indicato quando si ha una coinfezione HCV con HIV in mamme che sono in terapia antiretrovirale per HIV e/o con carica virale HIV maggiore di 50 copie/ml.
Al momento del travaglio e del parto, al fine di ridurre la trasmissione del virus, è da evitare il monitoraggio fetale invasivo, la rottura prolungata delle membrane amniocoriali, il parto operativo vaginale e le lacerazioni perineali poiché sono delle manovre che aumentano la possibilità del passaggio dell’HCV da mamma a figlio.
L’allattamento al seno non è controindicato in caso di HCV a meno che non sia presente una coinfezione con HIV.
L’epatite C nel neonato
Considerando che l’epatite C è anche nota come l’epidemia silenziosa, il bambino che ha contratto l’infezione non mostra alcun sintomo o segno particolare proprio perché l’infezione è asintomatica.
La diagnosi vera e propria di HCV nel neonato può essere fatta solo dopo il 18esimo mese di vita poiché nei primi mesi questa è inficiata dalla presenza di anticorpi materni che sono stati trasmessi durante la gravidanza e che scompaiono nel sangue del bambino dopo circa un anno dalla nascita.
Un’affidabile diagnosi precoce può essere fatta attraverso una tecnica di biologia molecolare nota come PCR che identifica l’RNA dell’HCV. Tale tecnica dovrebbe essere eseguita dopo il secondo mese di vita poiché prima presenta una bassa specificità.
Un figlio di mamma positiva per epatite C ha contratto l’infezione se due o più PCR HCV-RNA sono positive e/o se i test sierologici rimangono positivi dopo il 18esimo mese.
I bambini che sono positivi solo ad una PCR devono continuare ad essere monitorati fino ai 18 mesi.
L’infezione è esclusa quando due o più PCR HCV-RNA sono negative e/o si ha una persistenza di negatività del test sierologico dopo il 18esimo mese.
Se le PCR sono negative ma i test sierologici dopo il 18esimo mese sono positivi i controlli del bambino devono proseguire nel tempo poiché solo con la prolungata osservazione è possibile distinguere l’infezione cronica da un’infezione ormai guarita.
Risulta essenziale che i controlli siano regolari. Un’eventuale omissione di prescrizione da parte del pediatra, del infettivologo o dei medici dell’Ospedale potrebbe portare ad un mancato riconoscimento della malattia e, quindi, a gravi complicanze ed essere causa di danni per il bambino.
Il follow-up del neonato con epatite C
Il bambino positivo per HCV deve essere seguito nel tempo attraverso un dettagliato programma di follow-up semestrale da parte del pediatra e dell’infettivologo.
Il follow up prevede:
- l’esame clinico che permette di riscontrare i segni di danni epatici quali aumento del volume del fegato (epatomegalia), sangue dal naso (epistassi), prurito, presenza di liquidi in cavità addominale (ascite), sanguinamento a livello gastrointestinale;
- esami del sangue per l’identificazione dei fattori della coagulazione, le proteine nel sangue e delle transaminasi (AST e ALT). Le transaminasi sono degli enzimi epatici i cui valori nel sangue aumentano in presenza di danno epatico;
- ecografia addominale per lo studio della struttura e della morfologia del fegato;
- ricerca degli anticorpi anti HCV nel sangue;
- HCV RNA PCR.
Attraverso il follow up è possibile capire l’evoluzione della malattia e decidere quando iniziare con il trattamento. I farmaci che sono utilizzati per gli adulti sono attualmente off label in età pediatrica.
Non esiste ancora un vaccino per l’epatite C; il bambino deve essere vaccinato per l’epatite B e per l’epatite A, devono essere evitati i farmaci che danneggiano il fegato e deve essere seguita una dieta ed uno stile di vita che evitano l’obesità.
L’evoluzione dell’epatite C e conseguenze per il neonato
L’infezione da HCV contratta durante la gravidanza o al momento del parto può evolvere in:
- infezione cronica senza sintomi o con dei sintomi vaghi e aspecifici che progredisce con il deterioramento del fegato; il quadro clinico si aggrava ulteriormente dopo 10 anni dal momento in cui viene contratta l’infezione;
- risoluzione spontanea: si assiste ad una negativizzazione spontanea. È un evento raro. È importante distinguere la guarigione vera e propria dalla carica virale ridotta e dall’infezione occulta ovvero che il virus non è più presente nel sangue ma lo è nelle cellule del fegato;
- danno epatico cronico che progredisce rapidamente in cirrosi epatica scompensata e carcinoma del fegato.
Se si ritiene di non essere stati adeguatamente seguiti da un medico, da un epatologo o dall’Ospedale potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale che si occupi preferibilmente di risarcimento danni per malasanità.
Il comportamento del professionista per ridurre il contagio e le complicanze dell’epatite C ed errori
Sin dalla gravidanza devono essere eseguiti degli accertamenti per escludere la positività per epatite C nella futura mamma e per limitare la trasmissione al bambino.
In assenza di una prevenzione adeguata il figlio di madre positiva può contrarre il virus dell’HCV sia durante la gravidanza che al momento del parto, soprattutto se vengono eseguite delle tecniche invasive che favoriscono il passaggio del virus dal distretto materno a quello fetale.
L’ostetrica e il ginecologo possono fare errori di tipo commissivo oppure omissivo se nella mamma positiva per HCV:
- viene eseguita l’amniocentesi: tecnica di diagnosi prenatale invasiva che prevede l’accesso in cavità uterina aumentando il rischio di trasmissione dell’epatite al bambino;
- viene espletato il parto attraverso l’applicazione del forcipe e della ventosa ostetrica quando non sussiste un’indicazione;
- viene effettuato il monitoraggio invasivo del bambino con applicazione della sonda per il monitoraggio del benessere sullo scalpo fetale;
- non viene velocizzato il travaglio tramite l’induzione nel caso di rottura delle membrane poiché al fine di limitare il rischio di trasmissione al feto deve essere evitata la prolungata rottura delle membrane.
Le complicanze dell’epatite C comprendono danni al fegato quali cirrosi epatica e tumori: il grave danneggiamento del fegato, organo altamente vascolarizzato, porta al decesso del paziente.
Il ginecologo deve prescrivere l’esame per la ricerca del virus dell’epatite C a tutte le future mamme in attesa che presentano dei fattori di rischio per questa infezione e in caso di positività devono essere eseguiti ulteriori esami per definire il grado di contagiosità del virus così da poter stimare il rischio di trasmissione da mamma a figlio.
La mancata prescrizione di tali esami rappresenta un errore di tipo omissivo poiché senza di questi non è possibile discriminare il rischio di trasmissione al feto e di conseguenza applicare il protocollo diagnostico per il neonato.
Nel caso in cui vi è una coinfezione di HCV e HIV è indicato espletare il parto attraverso il taglio cesareo perché il rischio di trasmissione dell’infezione al feto è aumentato.
Il figlio di madre positiva è preso in carico dal pediatra il quale deve seguire un programma di follow up periodico attraverso degli esami clinici, strumentali e di laboratorio, test sierologici e delle valutazioni virologiche.
Attraverso questo programma di follow up è possibile valutare l’evoluzione dell’infezione e confermare o escludere l’epatite C nel bambino. La diagnosi definitiva deve essere fatta dopo il 18esimo mese di vita.
Il pediatra può andare incontro a responsabilità per colpa medica se:
- omette l’esecuzione di esami grazie ai quali è possibile diagnosticare l’infezione da HCV;
- se prescrive gli esami prima del 18esimo mese poiché non sono attendibili;
- se non segue il programma di follow up.
Lo studio legale o l’avvocato specializzati in danni da malasanità, insieme al medico legale, potranno valutare se vi sia o meno la possibilità di chiedere i danni all’Ospedale, all’Assicurazione o al pediatra. Dovranno verificare tutto quello che è stato fatto, o non fatto, dai sanitari e determinare e quantificare i danni eventualmente subiti (ad esempio danno non patrimoniale, danno biologico, danno morale, danno patrimoniale, perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza)
Prevenzione e controllo dell’infezione da HCV
Considerando che l’epatite C si trasmette attraverso i fluidi biologici devono essere adottate delle misure per limitarne il contatto quali:
- utilizzo dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine, camici, visiera o occhialini) da indossare durante l’assistenza al paziente in particolar modo quando si è esposti al rischio di contatto con liquidi biologici o quando si eseguono degli interventi invasivi;
- evitare lo scambio di aghi infetti. Gli aghi devono essere smaltiti negli appositi contenitori e non devono assolutamente essere riutilizzati per altri pazienti;
- medicare e coprire le ferite;
- non condividere rasoi, spazzolini, forbici;
- raccomandare l’utilizzo dei preservativi in caso di rapporti occasionali.
È opportuno ricordare che in caso di trasmissione di infezioni nosocomiali (cioè durante la degenza ospedaliera o durante lo svolgimento di una visita) è possibile chiedere il risarcimento dei danni all’ospedale che è responsabile della carenza organizzativa e degli ipotetici sbagli del personale. Anche in questo caso sarà opportuno rivolgersi ad un avvocato esperto in malasanità.