TEST IN GRAVIDANZA PER LA VALUTAZIONE DEL BENESSERE FETALE
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO PER MALASANITÀ
La sorveglianza del benessere del feto durante la gravidanza consente di ridurre la mortalità e la morbilità al momento del parto e nel periodo che immediatamente segue la nascita e di ridurre l’incidenza di danni a lungo termine per il nascituro.
Lo scopo del monitoraggio del feto nel corso di tutta la gravidanza è di identificare i bambini a rischio e di evitare l’insorgenza di danni o la morte del feto in utero a causa di complicanze sia materne che fetali.
Il monitoraggio fetale, inoltre, permette di riconoscere precocemente eventuali segni di asfissia fetale dovuta a una riduzione dell’apporto di ossigeno al feto. La limitazione dell’ossigenazione fetale, infatti, determina danni cerebrali e deficit neurologici permanenti.
Anche in questa fase diagnostica molto delicata potrebbero purtroppo verificarsi errori medici dell’Ospedale o della Clinica o della Casa di cura, bisognerà valutare l’eventuale colpa ed inoltre comprendere se il danno era o meno evitabile.
Quando questi test di monitoraggio fetale evidenziano un rischio per il feto, è necessario intervenire tempestivamente e decidere il momento migliore per espletare il parto cosi da ridurre le complicanze neonatali.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un errore del ginecologo o dell’ostetrica per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze.
La conoscenza della fisiopatologia ostetrica e fetale è di fondamentale importanza per la corretta interpretazione dei risultati del test.
L’uso di molteplici metodiche che consente la valutazione di più variabili biofisiche che forniscono informazioni sul benessere fetale nella gravidanza a rischio ha un maggiore valore predittivo rispetto all’esecuzione di un singolo esame che da informazioni per lo più limitate sullo stato di salute del feto.
Quali sono i processi che avvengono in gravidanza rischiosi per il feto
I processi che portano a un danno o alla morte fetale sono:
- riduzione del flusso utero placentare che può essere dovuto a ipertensione materna (aumento della pressione arteriosa in gravidanza), gestosi (malattia sistemica di origine placentare caratterizzata da ipertensione, presenza di proteine nelle urine e di altre manifestazioni cliniche sistemiche), ritardo di crescita intrauterina (IUGR). La riduzione del flusso utero placentare, quindi, è dovuto principalmente a problemi a livello placentare i quali causano un ridotto apporto di sangue, ossigeno e nutrienti dal compartimento materno a quello fetali, determinando complicanze perinatali;
- alterazioni metaboliche materne come il diabete gestazionale;
- complicanze a carico del cordone ombelicale come nodi veri, giri del cordone intorno al collo o al corpo del feto, prolasso di funicolo, situazioni che determinano un ridotto apporto di ossigeno dalla placenta, organo di scambio materno fetale, al feto e una conseguente sofferenza fetale;
- scompenso cardiaco fetale;
- anemia fetale;
- sepsi fetale.
Qualora vi siano i presupposti, la madre potrebbe chiedere il risarcimento dei danni per essere stata vittima di un caso di malasanità a causa di una diagnosi sbagliata, errata, tardiva oppure di una cura sbagliata o errata o di una terapia non tempestiva o inefficace. Lo studio legale o l’avvocato, preferibilmente specializzati in danni da responsabilità medica, insieme al proprio medico legale, valuteranno se vi sia o meno la possibilità di chiedere i danni all’Ospedale, all’Assicurazione, al ginecologo e più in generale ai medici coinvolti.
La valutazione di quali danni nel caso concreto si possano chiedere rimane dell’avvocato e del medico legale, ad esempio il danno patrimoniale (ossia danni economici da lucro cessante o danno emergente) o il danno non patrimoniale (come il danno biologico per inabilità temporanea o invalidità permanente, il danno morale o, nei casi, più gravi il danno da morte o da perdita di chance di sopravvivenza).
I movimenti attivi del feto (MAF) sono segno di benessere fetale cosi come anche le accelerazioni della frequenza cardiaca del feto. Le accelerazioni e i movimenti fetali, infatti, sono un segno di normale ossigenazione fetale e di una corretta connessione tra il sistema nervoso centrale e il cuore del feto.
La riduzione dei movimenti fetali è indice di sofferenza dovuta, nella maggior parte dei casi, a una riduzione dell’ossigenazione fetale, infatti, al di sotto di una certa soglia di ossigenazione del sistema nervoso centrale cessa l’attività motoria.
Quando si è alla presenza di una limitazione dell’apporto di ossigeno e il feto è in sofferenza cronica, per un meccanismo compensatorio, viene attivato il fenomeno del “brain sparing” da parte del feto che permette di perseverare i tessuti nobili quali cuore e cervello in seguito alla presenza di un’importante carenza di ossigeno.
Il feto, infatti, aumenta la perfusione di sangue ricco di ossigeno al cuore e al cervello mentre la riduce ad altri organi quali il rene. La limitata perfusione a livello renale comporta una riduzione del liquido amniotico (oligoidramnios) per la minore produzione di urina.
Ecografie in gravidanza per valutare il benessere fetale
L’ecografia è tra gli esami più utilizzati sia per la gravidanza a basso rischio che per la gravidanza ad alto rischio poiché permette di fornire delle informazioni utili sullo stato di salute del feto.
L’ecografia è un test non invaso che utilizza gli ultrasuoni per produrre sullo schermo le immagini dell’utero gravidico.
Fino al terzo mese di gravidanza si utilizzano delle sonde trans vaginali le quali sono ad alta potenza ma a bassa lunghezza d’onda.
Dal terzo mese in poi, quando le dimensioni dell’utero iniziano ad aumentare, si utilizzano le sonde trans addominali, meno potenti rispetto a quelle trans vaginali ma ad alta lunghezza d’onda cosi da permettere la visualizzazione di tutto il contenuto uterino.
Con l’ecografia del primo trimestre si può visualizzare la presenza della camera gestazionale, il numero delle camere gestazionali (se la gravidanza è singola o gemellare), la sua sede e si può anche ascoltare battito cardiaco del feto.
L’ecografia del primo trimestre, quindi, dà la conferma del corretto annidamento dell’embrione nell’utero e permette di datare correttamente la gravidanza e la data presunta del parto.
L’ecografia del secondo trimestre, anche chiamata ecografia morfologica, studia la morfologia del feto e delle sue strutture corporee e l’anatomia dei vari organi al fine di evidenziare eventuali anomalie. Durante il secondo trimestre, infatti, gli organi del feto sono ben visibili e il feto è abbastanza grande per poter essere studiato.
L’ecografia del terzo trimestre consente di valutare il corretto accrescimento fetale tramite la misurazione di diversi parametri le cui misure sono confrontate con quelle eseguite nel secondo trimestre.
L’ecografia del terzo trimestre permette anche di controllare la posizione della placenta, la quantità di liquido amniotico, consente di visualizzare la posizione fetale (se cefalico o podalico), di monitorare la crescita del bambino e di ricercare eventuali anomalie anatomiche che insorgono tardivamente.
Con le nuove linee guida, le ecografie previste dal ministero della salute durante i nove mesi di gravidanza sono due: l’ecografia del primo trimestre e l’ecografia del secondo trimestre.
Queste due ecografie sono a carico del sistema sanitario nazionale e, nel caso di una gravidanza a basso rischio e che procede in modo fisiologico, sono sufficienti per monitorare lo stato di salute del feto.
Gli indicatori ecografici del benessere fetale sono l’ecografia doppler che studia il flusso dei vasi arteriosi e venosi, la misurazione del liquido amniotico (AFI: Amniotic Fluid Index) e il profilo biofisico fetale che valuta attraverso esame ecografico lo stato del feto tenendo conto di alcune variabili.
Ecografia doppler per valutare il benessere fetale
Alcuni apparecchi ecografici hanno anche il modello doppler che consente di studiare l’andamento del flusso di sangue arterioso e venoso all’interno dei vasi in corrispondenza delle strutture esaminate, sia materne che fetali.
I flussi arteriosi e venosi del distretto materno e fetale sono indicatori dello stato di salute del feto.
Lo scopo dell’ecografia doppler è di individuare precocemente alterazioni del flusso sanguigno del feto. Le alterazioni del flusso sanguigno, infatti, possono causare una mancanza cronica di ossigeno e, di conseguenza, danni irreversibili.
L’ecografia doppler si può eseguire con o senza colore. Il colore serve per studiare il movimento e la direzione del flusso sanguigno. Il blu è utilizzato per il flusso che si allontana dalla sonda, mentre il rosso è utilizzato per il flusso che si avvicina alla sonda.
Nel caso di ritardo di crescita intrauterina (IUGR) l’ecografia doppler ne monitorizza l’evoluzione e permette di stabilire il momento opportuno per far nascere il feto.
I distretti più studiati del feto sono l’arteria ombelicale, l’arteria cerebrale media, la vena ombelicale e il dotto venoso (dotto di Aranzio), mentre nella madre si studia il flusso delle arterie uterine.
Ad esempio, nel caso in cui vi è un’anomalia della crescita fetale, dovuta a problemi a carico della placenta, la quale non è in grado di mantenere un adeguato apporto di nutrienti e ossigeno al feto, il fegato è il primo organo a essere suscettibile a questa riduzione; in questo caso il flusso sanguigno a livello del dotto venoso, condotto che trasporta il sangue ossigenato dalla placenta al cuore del feto, è aumentato, mentre il flusso a livello del fegato è ridotto.
Lo studio del flusso a livello dell’arteria cerebrale media permette di identificare i feti a maggior rischio ipossico. Il flusso sanguigno a livello dell’arteria cerebrale risulta essere aumentato quando viene attivato dal feto, in seguito alla riduzione del suo stato di ossigenazione, il fenomeno del “brain sparing” che prevede la ridistribuzione di sangue ricco di ossigeno e nutrienti al cervello a discapito degli altri organi non nobili.
Lo studio del flusso delle arterie uterine, le quali portano il sangue dall’utero alla placenta, evidenzia invece la presenza di eventuali alterazioni della funzione placentare.
L’ecografia doppler, quindi, è importante per monitorare lo stato della circolazione fetale e del funzionamento della placenta in gravidanza attraverso la misurazione della quantità e della velocità del flusso dei vasi sanguigni.
L’indicazione principale per l’esecuzione dell’ecografia doppler è la presenza di un ritardo di crescita intrauterino (IUGR) cioè quando il feto è più piccolo rispetto all’epoca gestazionale a causa di uno scorretto funzionamento della placenta che influisce sul suo regolare sviluppo.
L’ecografia doppler è anche utilizzata per avere un quadro più preciso della situazione come ad esempio nel caso di malformazioni fetali o di gestosi ma non è una metodica che è eseguita di routine durante la gravidanza.
Misurazione del liquido amniotico e calcolo dell’AFI (Amniotic Fluid Index) per valutare benessere fetale
Il liquido amniotico è il liquido che circonda il feto durante tutta la gravidanza. La funzione del liquido amniotico è quella di proteggere il feto dalle pareti dell’utero che diventano particolarmente spesse nel corso della gravidanza e da eventuali traumi, di favorire i movimenti del feto, di mantenere costante la temperatura del feto e, inoltre, il liquido amniotico favorisce i processi metabolici.
Il liquido amniotico è prodotto principalmente da secrezioni dell’amnios, dall’emissione di urine del feto e da secrezioni dell’apparato respiratorio fetale ed è riassorbito per mezzo dell’apparato respiratorio e digerente del feto dopo essere stato deglutito.
Nel caso in cui il feto presenta problemi a carico dei reni o un ritardo di crescita intrauterina (IUGR) il liquido amniotico è ridotto (oligoidramnios), mentre la quantità di liquido amniotico è aumentata (polidramnios) nel caso di anemia fetale, spina bifida o quando il feto presenta un’ostruzione gastrointestinale che riduce l’assorbimento del liquido amniotico
Alterazioni quantitative del liquido amniotico sono indice di complicanze fetali perciò è importate lo studio del liquido amniotico e la sua misurazione nel corso della gravidanza.
Il controllo del liquido amniotico si esegue tramite l’ecografia nel corso di tutta la gravidanza attraverso un controllo “a occhio” del suo quantitativo.
La misura del liquido amniotico può essere correttamente eseguita a termine di gravidanza attraverso l’AFI (Amniotic Fluid Index) e la misurazione della tasca massima.
Per la misurazione dell’AFI e della tasca massima si divide idealmente l’addome materno in quattro quadranti formati dall’incrocio a livello dell’ombelico di una linea verticale che corrisponde alla linea alba che va dal pube fino al fondo dell’utero e da una linea orizzontale posta a metà tra la sinfisi pubica e il fondo dell’utero.
L’AFI si ottiene dalla somma, in centimetri, della quantità di liquido amniotico presente nei quattro quadranti. L’AFI, in condizioni fisiologiche, deve essere maggiore di 5 cm e minore di 25 cm.
Si parla di oligoidramnios quando l’AFI è minore di 5 cm e di polidramnios quando è maggiore di 25 cm.
La misurazione del liquido amniotico può essere eseguita anche misurando la tasca massima ovvero il quadrante materno, dove non c’è il cordone ombelicale, che contiene un maggior quantitativo di liquido amniotico.
La tasca massima deve essere maggiore di 2 cm e minore di 8 cm.
Nel caso di oligoidramnios la tasca massima misura meno di 2 cm, mentre misura più di 8 cm nel caso di polidramnios.
Profilo biofisico fetale per valutare il benessere fetale
Il profilo biofisico fetale è la valutazione ecografica dello stato fetale tramite l’osservazione di alcune variabili biofisiche in un certo arco di tempo.
Queste variabili sono studiate tramite l’esecuzione dell’ecografia trans addominale, dalla durata di 30 minuti, a partire dal terzo trimestre di gravidanza.
Il profilo biofisico fetale è indicato per le gravidanze ad alto rischio e va ripetuto con cadenza settimanale.
Le variabili che vengono prese in considerazione sono: il volume di liquido amniotico, i movimenti respiratori del feto, i movimenti attivi fetali (MAF), il tono del feto e il non stress test (NST). I primi quattro parametri sono valutati tramite l’ecografia per 30 minuti.
A ognuna di queste variabili è assegnato un punteggio massimo di due e un punteggio minimo di zero. I punteggi assegnati a ogni variabile sono poi sommati tra di loro. Se la loro somma è uguale a sei, il profilo biofisico fetale viene ripetuto dopo 24 ore. Il punteggio è favorevole se è maggiore di otto, mentre è sfavorevole se è minore di sei.
Il feto, durante la valutazione ecografica, deve compiere almeno un movimento respiratorio ogni 30 secondi in 30 minuti, più di due movimenti del tronco e degli arti, uno o più movimenti di flessione estensione di arti, capo e troco e chiusura e apertura delle mani i quali sono indice di un buon tono muscolare.
La misura dell’AFI, inoltre, deve essere compresa fra 5 e 25 cm e la tasca massima deve misurare più di 2 cm e meno di 8 cm.
Il non stress test (NST) – cardiotocografia antenatale per valutare il benessere fetale
Il non stress test (NST) è eseguito al di fuori del travaglio di parto in assenza dello stress delle contrazioni uterine.
Il non stress test è il metodo più utilizzato per la valutazione del benessere fetale attraverso la rilevazione, per 20-30 circa, del suo battito cardiaco. Il battito cardiaco del feto è rilevato attraverso un apparecchio chiamato cardiotocografo ed è registrato su carta termica.
Il cardiotocografo è dotato di una sonda a ultrasuoni che è posta sull’addome materno in corrispondenza del dorso del feto, punto dove è possibile ascoltare in maniera più marcata il suo battito cardiaco.
Questo test è particolarmente indicato per una gravidanza ad alto rischio di morte fetale in utero o per la gravidanza a basso rischio nel caso in cui la gravida avverta un’importante riduzione dei movimenti attivi fetali (MAF), i quali sono indice di benessere fetale e una loro diminuzione mette in allarme la futura madre, o se si ha una riduzione evidente di liquido amniotico (oligoidramnios).
La gravidanza è considerata ad alto rischio quando si è alla presenza di patologie materne (disturbi della coagulazione, emoglobinopatie, anemia materna, cardiopatie, patologie renali croniche, diabete mellito, ipertensione) e patologie fetali (ritardo di crescita intrauterina, malformazioni fetali, anemia fetale, infezioni fetali, riduzione e aumento eccessivo di liquido amniotico, gestosi, gravidanza oltre il termine, pregressa morte fetale in utero e gravidanza gemellare).
Il non stress test deve essere eseguito a termine di gravidanza cioè tra la 37esima e la 42esima settimana di gestazione ma può essere anche effettuato prima del termine se sono presenti dei fattori di rischio di morte in utero del feto.
Si dice che il non stress test è reattivo quando in venti minuti di registrazione sono presenti almeno due accelerazioni del battito cardiaco fetale al di sopra la linea di base di almeno 15 battiti al minuto per almeno 15 secondi, mentre il non stress test non è reattivo in assenza di accelerazioni nell’arco d i 40 minuti.
Le accelerazioni sono spesso legate ai movimenti attivi del feto (MAF): l’esecuzione di un movimento presuppone un aumento del consumo di energie in quanto si sta compiendo un lavoro e il modo migliore per avere in tempi brevi più ossigeno a disposizione per compiere tale lavoro è quello di aumentare la frequenza cardiaca di base.
Le accelerazioni e i movimenti attivi fetali sono indici di benessere fetale e sono espressione di un maturo e coordinato controllo del cervello fetale sul cuore.
Se l’apporto di ossigeno al feto non è adeguato, il suo battito cardiaco non aumenta dopo aver compiuto un movimento. Al di sotto di una certa soglia di ossigenazione fetale, in particolare a livello del sistema nervoso centrale, cessa l’attività motoria.
Cardiotocografia in travaglio di parto per valutare il benessere fetale
La cardiotocografia in travaglio, a differenza di quella antenatale (non stress test), ha lo scopo di monitorizzare l’andamento delle contrazioni uterina e la risposta del feto alle stesse al fine di evidenziare un’eventuale sofferenza fetale acuta.
La presenza delle contrazioni uterine può interferire con il benessere del feto.
Durante le contrazioni della muscolatura uterina, infatti, l’apporto di ossigeno al feto è momentaneamente ridotto perché la pressione esercitata dalle pareti dell’utero, le quali si irrigidiscono, determina una compressione dei vasi placentari cosi da non garantire un’adeguata perfusione di sangue ossigenato dal distretto materno a quello fetale.
Oltre alla sonda utilizzata per rilevare il battito cardiaco fetale, è posta sull’addome della madre un’altra sonda che rileva l’attività contrattile dell’utero e la registra su carta termica, in contemporanea al battito cardiaco fetale.
L’attività contrattile può causare delle decelerazioni della frequenza cardiaca di base del feto le quali possono essere segnale di ipossia a causa di una ridotta perfusione a livello placentare.
Se il feto è in buona salute e la placenta funziona correttamente, il feto può utilizzare le riserve di ossigeno del sangue placentare nel momento in cui si ha la contrazione per far fronte alla riduzione della perfusione di sangue ossigenato che quest’ultima comporta.
Comportamento medico e malasanità nella gestione dei test in gravidanza
Quando i test che consentono di monitorare il benessere fetale evidenziano un rischio per il feto, è necessario intervenire tempestivamente e decidere il momento migliore per espletare il parto, allo scopo di ridurre le complicanze per il nascituro.
L’esecuzione del parto tramite taglio cesareo in emergenza/urgenza, nel caso in cui il feto si trovi in sofferenza, è quasi sempre il trattamento essenziale per ridurre il rischio di complicanze neonatali e, nei casi più severi, la morte del neonato, soprattutto nel caso in cui insorgono delle condizioni che limitano l’adeguato apporto di ossigeno al feto.
La conoscenza della fisiopatologia ostetrica e fetale è di fondamentale importanza per la corretta interpretazione dei risultati di test e il mancato riconoscimento dei segni che indicano la sofferenza fetale è un atto di negligenza medica cosi com’è anche un atto di negligenza la mancata esecuzione dei test prenatali.
Il mancato riconoscimento dei segni di sofferenza fetale e, di conseguenza, un mancato trattamento tempestivo possono causare dei danni permanenti e la morte del neonato.