IL PARTO VAGINALE DOPO UN TAGLIO CESAREO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI
Il crescente incremento nel tasso di tagli cesarei che è avvenuto nella seconda metà del ventesimo secolo ha posto la questione della possibilità di partorire spontaneamente anche dopo un pregresso intervento chirurgico all’utero, un argomento che non era mai stato considerato in precedenza.
Le nuove tecniche di monitoraggio durante il travaglio e la possibilità di un efficace e pronto intervento nel caso di complicanze hanno offerto la concreta possibilità alle donne con un pregresso taglio cesareo di partorire spontaneamente nelle gravidanze successive con rischi molto ridotti rispetto a quelli del passato.
Il parto per via vaginale viene preferito rispetto al taglio cesareo perché è correlato con un ricovero ospedaliero più breve, minori complicanze del periodo puerperale, maggiore facilità e autonomia nelle prime cure del neonato.
Il tentativo di un travaglio di prova offre buone possibilità alla donna di poter partorire spontaneamente, evitando l’intervento chirurgico. La probabilità di riuscita del parto per vie vaginale oscilla intorno al 70 %, con variabili legate alla storia clinica della donna, all’anamnesi ostetrica e alle caratteristiche individuali.
In presenza di operatori sanitari preparati e un’equipe chirurgica pronta all’esecuzione di un eventuale intervento chirurgico è opportuno suggerire alla donna di tentare il parto per via vaginale, tenendo conto dell’importanza fondamentale di seguire le indicazioni delle linee guida per scongiurare quella che è la complicanza principale: la rottura d’utero.
La donna deve essere informata con precisione dei rischi di questa complicanza quando le viene proposto il parto vaginale; inoltre deve essere a conoscenza della possibilità di dover incorrere in un taglio cesareo durante il travaglio e del maggiore rischio infettivo legato all’esecuzione dell’intervento in presenza di dilatazione uterina.
Complicanza del parto vaginale dopo un taglio cesareo: rottura d’utero
La rottura d’utero si verifica quando la parete uterina si lacera.
La lacerazione può essere completa, quando attraversa tutta la parete uterina, oppure parziale, quando riguarda solo uno strato dell’utero. Questa complicanza è molto rara nelle donne che non hanno mai subìto intervento all’utero, ma può verificarsi in coloro che hanno ricevuto un taglio cesareo, una miomectomia o un altro intervento con incisione uterina.
La cicatrice che resta sulla parete dell’utero viene messa a dura prova sotto la pressione delle contrazioni uterine e può riaprirsi, talvolta anche allargandosi rispetto all’incisione originaria.
Quali sono i sintomi materni della rottura d’utero
La sintomatologia materna della rottura d’utero include il dolore costante all’addome (da distinguere con quello periodico delle contrazioni), risalita della parte presentata (per la dislocazione del feto dall’utero), improvviso arresto dell’attività contrattile, ipotensione e ipovolemia, collasso.
Il segno clinico dell’anello di Bandl è l’unica indicazione che può far presagire una rottura d’utero prima che avvenga. Si manifesta con una retrazione del tessuto addominale circa un palmo sopra la sinfisi pubica, come se l’addome fosse stretto in un anello, ma il riconoscimento di questo segno è difficile e spesso è ostacolato dalla presenza di adipe addominale.
Quali sono i sintomi fetali della rottura d’utero
La sintomatologia fetale prevede l’improvvisa decelerazione del battito cardiaco fetale, a causa della riduzione dell’afflusso di sangue placentare.
Quali sono le complicanze derivanti dalla rottura d’utero
La rottura d’utero è legata a gravi complicanze sia per la madre che per feto; la rapida diagnosi di questa condizione e l’immediato intervento chirurgico sono fondamentali per scongiurare il pericolo del decesso di madre e bambino.
La donna deve essere condotta immediatamente in sala operatoria e sottoposta ad una laparotomia urgente: è opportuno che durante l’intervento siano presenti dei pediatri perché la possibilità di dover rianimare il bambino alla nascita è estremamente alta.
Per quanto riguarda la madre, se le condizioni cliniche lo consentono si interviene suturando la lacerazione dell’utero, ma nei casi più complessi si preferisce procedere con un’isterectomia (la asportazione chirurgica dell’utero) per evitare complicanze più severe.
Controindicazioni al parto per via vaginale con pregresso taglio cesareo
Non a tutte le donne può essere proposto un parto spontaneo dopo un taglio cesareo. Sono controindicazioni al parto vaginale:
- l’esecuzione di un pregresso taglio cesareo con incisione longitudinale, cioè verticale rispetto all’addome materno: dal momento che le fibre muscolari dell’utero sono disposte verticalmente, una pregressa incisione longitudinale, quindi parallela alle fibre, è correlata con una maggiore possibilità di riapertura della cicatrice. Per questo motivo è da preferire l’esecuzione di un’incisione trasversale, con rare eccezioni legate alle condizioni cliniche materne (ad esempio se la posizione della placenta non consente l’incisione trasversale);
- un taglio cesareo o altro intervento chirurgico all’utero eseguito da meno di 24 mesi: un intervento eseguito da meno di due anni non permette ai tessuti di riacquistare le proprie qualità e può facilitare la lacerazione nella sede d’intervento. È importante che la ferita abbia avuto il tempo di completare il processo cicatriziale, perché le contrazioni uterine del travaglio espongono i tessuti ad una forte tensione;
- presenza di complicazioni della ferita chirurgica dopo l’intervento: se dopo il taglio cesareo si sono presentati problemi della ferita, ad esempio un’infezione del sito chirurgico, il tessuto può non essersi rimarginato in maniera valida;
- una precedente rottura d’utero: aver già vissuto in passato l’esperienza della rottura d’utero espone maggiormente la donna al rischio che questo evento si presenti nuovamente;
- le altre comuni controindicazioni: ovviamente non è suggerito il parto vaginale dopo taglio cesareo in presenza di controindicazione che comunque sconsiglierebbero l’esecuzione dell’intervento, come in caso di feto in posizione anomala o in presenza di un’infezione materna che può essere trasmessa con il parto (ad esempio l’herpes vaginale).
Una gravidanza gemellare o un feto di grosse dimensioni possono essere controindicazioni al travaglio di prova, perché la sovradistensione dell’utero dovuta a queste circostanze incrementa il rischio di rottura, ma è opportuno discutere e valutare il singolo caso perché non esistono ancora indicazioni precise in proposito.
L’esecuzione di più di un taglio cesareo precedente diminuisce la possibilità di successo nel travaglio di prova; per ogni taglio cesareo effettuato la probabilità della donna di partorire spontaneamente si riduce, ma anche in questo caso vanno analizzate le caratteristiche del singolo caso, informando la donna della minore possibilità di riuscita della procedura.
Alcuni studi evidenziano maggiori complicanze nel parto vaginale in seguito a taglio cesareo per le donne obese o con diagnosi di diabete, ma i risultati non sono ancora conclusivi. È necessario in questo caso informare la donna sulla possibilità di incorrere in maggiori rischi prima che intraprenda una decisione.
Precauzioni da avere durante il travaglio
Durante il travaglio di parto di una donna con pregresso taglio cesareo è consigliato che il monitoraggio materno-fetale avvenga in maniera continuativa tramite cardiotocografia; questo consente di monitorare le contrazioni uterine e di osservare la presenza di sintomi di malessere fetale, dal momento che le anomalie del battito cardiaco fetale sono uno ei primi sintomi di rottura d’utero.
Il professionista che assiste la donna deve anche essere pronto a riconoscere sintomi come l’improvviso e intenso dolore addominale (differente da quello delle contrazioni per via della presenza costante), l’arresto delle contrazioni uterine, la presenza di perdite ematiche vaginali anomale, anomalie nella palpazione addominale, tachicardia e segni di ipotensione o shock; in tale caso è necessario che la donna venga condotta immediatamente in sala operatoria e sottoposta ad un intervento chirurgico.
Per quanto riguarda l’induzione del travaglio di parto alcuni studi evidenziano un maggiore rischio di rottura d’utero nei travagli di parto indotti con prostaglandine o ossitocina. La somministrazione di ossitocina durante il travaglio di prova per aumentare l’attività contrattile è controindicata.