CHLAMYDIA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
La Chlamydia è un batterio che provoca delle infezioni genitali del paziente infetto, congiuntivite e polmonite nel neonato partorito dalla mamma che presenta tale infezione. La Chlamydia, infatti, può essere trasmessa al bambino durante la gravidanza e al momento del parto. Il rischio per il bambino di contrarre l’infezione aumenta al momento del parto poiché attraversando il canale del parto entra in contatto con le mucose infette della mamma, maggiormente se vi è un’alta carica virale. In base alla carica virale è opportuno decidere la modalità del parto e limitare il rischio di trasmissione da mamma a figlio.
La responsabilità del ginecologo o dell’ostetrica, e quindi dell’Ospedale o della Clinica, potrebbe derivare non solo dall’effettivo riscontro delle infezioni ma anche dalla non tempestiva o errata diagnosi, o dal mancato riconoscimento della problematica o, comunque, dall’incapacità di gestire correttamente la situazione, eseguendo terapie sbagliate, tardive, inefficaci o, comunque, non tempestive.
I fattori di rischio della Chlamydia
La Chlamydia è una malattia sessualmente trasmessa provocata da un batterio Gram-negativo noto come Chlamydia Trachomatis che si moltiplica nelle cellule infette.
I fattori di rischio che aumentano il rischio nella donna di contrarre la Chlamydia sono:
- contatto sessuale con persone infette;
- età minore o uguale ai 25 anni;
- più partner;
- abuso di alcol e sostanze stupefacenti;
- rapporti non protetti;
- pregressa malattia sessualmente trasmessa;
- violenza sessuale.
In presenza di questi fattori di rischio dovrebbe essere prestata maggiore attenzione anche al fine di prevedere conseguenze negative. In mancanza bisognerà valutare l’eventuale colpa e responsabilità – per la mancata o ritardata individuazione dell’infezione o dei suoi sintomi – del ginecoloco, dell’ostetrica o del personale dell’Ospedale (o del Pronto Soccorso, Asl, Asst, Ats) o della Clinica privata.
Se si ritiene di essere stati vittima di una mancata o ritardata diagnosi potrebbe essere utile rivolgersi ad un avvocato o a uno studio legale esperto in risarcimento danni da malasanità che può dare una consulenza per comprendere se il danno era o meno evitabile e successivamente individuare quali effettivi danni ha subito il paziente.
L’infezione da Chlamydia provoca nella donna infezione della cervice uterina (cervicite), dell’endometrio (endometrite) ovvero lo strato che riveste la cavità uterina e dell’uretra (uretrite).
Nei casi più gravi l’infezione da Chlamydia Trachomatis provoca la malattia infiammatoria pelvica (PID).
La malattia infiammatoria pelvica (PID) è un’infezione ascendente ovvero si ha una risalita dell’agente patogeno dai genitali esterni fino agli organi della cavità pelvica e nella maggior parte dei casi provoca un’infezione delle tube. La malattia infiammatoria pelvica si caratterizza per la presenza di un dolore acuto a livello della pelvi ma anche febbre, perdite maleodoranti e sanguinamenti anomali.
Questa malattia comporta gravi problemi riproduttivi poiché causa infertilità e aumenta anche il rischio di gravidanza extrauterina: l’impianto dell’embrione avviene in corrispondenza delle tube. Le tube, infatti, risultano essere danneggiate come conseguenza dell’infiammazione provocata da questa malattia e non permettono il passaggio dell’embrione in cavità uterina, dove in condizioni di fisiologia si sviluppa la gravidanza.
Spesso la Chlamydia è asintomatica e ciò rende difficile la diagnosi, il trattamento e ne facilita il contagio. In altri casi la Chlamydia si presenta con leucoxantorrea (perdite vaginali abbondanti di colore giallastro e maleodoranti), inoltre la cervice uterina è fragile e sanguina facilmente.
Ogni anno è raccomandato lo screening per la chlamydia nelle donne di età inferiore ai 25 anni che sono sessualmente attive allo scopo di individuare le donne infette così da trattare l’infezione per evitare le complicanze.
Risulta essenziale che la diagnosi, oltre ad essere corretta sia tempestiva. Un eventuale errore del ginecologo o dell’ostetrica o dell’Ospedale per mancata o ritardata diagnosi potrebbe portare anche a gravi complicanze per la donna.
La Chlamydia in gravidanza
La Chlamydia può essere trasmessa da mamma a figlio durante la gravidanza per via verticale, ciò può provocare:
- aborto spontaneo;
- Corionamnionite (infezione delle membrane amniocoriali);
- parto pretermine;
- basso peso alla nascita;
- rottura prematura delle membrane le quali vengono indebolite dalla presenza di questo batterio;
- mortalità perinatale.
Il rischio maggiore di trasmissione della Chlamydia da mamma a figlio si ha durante il parto spontaneo con una percentuale che varia dal 25 % al 60 %, mentre è rara la trasmissione della Chlamydia se il parto viene espletato attraverso il taglio cesareo.
Le donne che presentano fattori di rischio per la Chlamydia (pregressa malattia sessualmente trasmessa, diversi partner, età inferiore ai 25 anni, rapporti non protetti, abuso di alcol e sostanze) devono eseguire un test di screening nel primo trimestre di gravidanza che consiste in un test molecolare noto come (NAAT) e in un esame colturale. Per eseguire questi esami deve essere effettuato un prelievo delle secrezioni endocervicali e vaginali, un prelievo uretrale e deve essere raccolto il primo getto di urine.
Le donne a rischio e le donne il cui esito degli esami eseguiti nel primo trimestre risulta positivo per la Chlamydia devono ripetere questi esami anche nell’ultimo trimestre di gravidanza per prevenire le complicanze del bambino.
Le donne che sono state trattate devono ripetere il test dopo 3 – 4 settimane dal termine del trattamento in modo da poterne confermare la negativizzazione e l’efficacia del trattamento.
Il trattamento della Chlamydia consiste nella somministrazione di antibiotici quali azitromicina (una compressa al giorno) o amoxicillina (500 mg tre volte al giorno per una settimana). L’eritromicina estolato è un altro antibiotico che può essere utilizzato per il trattamento della Chlamydia ma è controindicato in gravidanza poiché è tossica per il fegato.
Il trattamento della Chlamydia è diretto anche al partner della donna infetta.
In caso di gravi complicanze, aborto o morte del feto, del neonato o del bambino, pur potendo generalmente avere diritto ad un risarcimento dei danni verso l’Ospedale, i medici o l’Assicurazione, la principale domanda che i parenti (madre, padre, nonno, nonna, fratello, sorella o gli eredi) si devono fare riguarda il motivo che ha portato all’esito negativo del trattamento medico o al decesso, e se c’erano effettive possibilità di guarigione, o di evitare l’evento.
Prima di tutto, quindi, rivolgendosi ad un avvocato o ad uno studio legale specializzato in risarcimento danni da malasanità, insieme al medico legale, si potrebbe capire cosa sia successo e se ciò sia eventualmente dovuto a responsabilità o colpa.
Le complicanze della Chlamydia nel neonato e trattamento
L’infezione da Chlamydia nel neonato coinvolge il naso e la faringe, la congiuntiva, il tratto urogenitale e il retto. Le complicanze più frequenti nel neonato al quale è stato trasmesso la Chlamydia durante la gravidanza o al momento del parto sono la congiuntivite e la polmonite.
Se viene intrapresa una terapia adeguata la prognosi è favorevole, mentre se viene messo in atto un trattamento improprio il decorso della malattia si prolunga nel tempo. Il bambino nato prima del termine di gravidanza presenta un rischio maggiore di rapida evoluzione della polmonite in grave insufficienza respiratoria considerando il fatto che la maturità polmonare in un neonato pretermine non è ancora completamente sviluppata per cui è più soggetto ad avere problemi respiratori.
In caso di sintomi da infezione bisogna verificare tutto quanto fatto, o non fatto, dal ginecologo o dall’ostetrica e dall’équipe medica in sala parto, del chirurgo, dell’anestesista, del neonatologo o del personale infermieristico. Un passaggio fondamentale se ci si trova davanti ad un caso di malasanità
La congiuntivite
La congiuntivite è l’infiammazione della congiuntiva ovvero la membrana che riveste il bulbo oculare. I sintomi della congiuntivite si manifestano tra il quinto e il tredicesimo giorno dalla nascita e consistono in delle secrezioni sierose abbondanti provenienti dal bulbo oculare e che via via diventano purulente. La congiuntiva è arrossata e le palpebre gonfie. Nel peggiore dei casi, in assenza di trattamento, si ha la perdita della vista.
Il trattamento interessa l’intero organismo. La terapia antibiotica locale non risulta essere efficace, è necessaria una terapia antibiotica generale con eritromicina.
La polmonite
La polmonite è un’infiammazione del polmone che si manifesta con problemi respiratori, tosse secca, apnea, tachipnea e difficoltà respiratorie e può essere preceduta da infiammazione delle vie aeree. La presenza di questi sintomi in un neonato dopo 4 – 12 settimane dalla nascita deve far sospettare una polmonite da Chlamydia. Nei casi più gravi il bambino va incontro ad un’insufficienza respiratoria soprattutto se il trattamento è mancante o non è adeguato.
I bambini che invece hanno avuto una polmonite da Chlamydia ma che sono guariti sono a rischio di contrarre in futuro delle patologie respiratorie ricorrenti.
Il trattamento della polmonite consiste nella somministrazione di antibiotici quali eritromicina in 4 somministrazioni al giorno per la durata di 14 giorni o in alternativa azitromicina (una volta al giorno per un totale di tre giorni) e claritromicina (2 volte al giorno per un totale di 14 giorni).
Si deve fare attenzione alla somministrazione dell’eritromicina la quale nei neonati può provocare una stenosi del piloro ovvero un restringimento dell’orifizio che mette in comunicazione lo stomaco con l’intestino.
Dopo il primo mese di vita l’antibiotico di scelta è l’azitromicina, per il neonato è invece consigliata l’eritromicina.
Prima di somministrare l’azitromicina e la claritromicina deve essere eseguito al bambino un elettrocardiogramma poiché tali antibiotici possono causare allungamento dell’intervallo QT.
La diagnosi della Chlamydia nel neonato
Le complicanze della Chlamydia nel neonato sono la congiuntivite e la polmonite; quindi, considerando che il batterio della Chlamydia lo si ritrova nella congiuntiva e a livello polmonare, la diagnosi consiste in un prelievo delle secrezioni della congiuntiva e del naso e della faringe del neonato che presenta queste complicanze, le quali andranno esaminate al fine di isolare la Chlamydia Trachomatis.
La diagnosi della Chlamydia si distingue in diretta e indiretta.
Con la diagnosi diretta si va alla ricerca dell’agente responsabile dell’infezione da Chlamydia dopo aver esaminato il campione. La diagnosi diretta comprende le seguenti tecniche:
- test di amplificazione degli acidi nucleici (NAAT) che comprendono la PCR e la LCR e consistono nell’identificazione e quantificazione del DNA della Chlamydia Trachomatys. Tali tecniche rappresentano il gold standard per la diagnosi della Chlamydia;
- test immunoenzimatici (TEST ELISA) che ricercano gli antigeni;
- esami colturali: consistono nell’esecuzione di colture su campioni sangue e di urine al fine di testare la sensibilità gli antibiotici.
La diagnosi indiretta invece consiste nella ricerca degli anticorpi specifici attraverso la tecnica di microimmunofluorescenza. In presenza di questi anticorpi devono essere eseguiti altri test per confermare la presenza dell’infezione.
La Chlamydia ed errori medici
Il ginecologo a cui la futura mamma si affida durante la gravidanza deve riconoscere i fattori di rischio per i quali è indicato eseguire i test di screening per la ricerca della Chlamydia nel primo trimestre di gravidanza. Il test di screening per la ricerca della Chlamydia deve essere prescritto dal ginecologo se la mamma ha un’età minore di 25 anni, se ha avuto una pregressa malattia sessualmente trasmessa, se abusa di alcol e sostanza e se ha più partner. La mancata prescrizione di questo esame che consiste nel prelievo di secrezioni vaginali, uretrali, cervicali per diagnosticare la Chlamydia rappresenta un errore omissivo.
Riconoscere le mamme positive per Chlamydia permette di ridurre il rischio di trasmissione al proprio bambino durante la gravidanza. Il neonato che ha contratto la Chlamydia al momento del parto e durante la gravidanza sviluppa una polmonite o una congiuntivite che, se non riconosciute e trattate possono portare ad esiti negativi quali insufficienza respiratoria, patologie respiratorie ricorrenti e perdita della vista.
Le mamme appartenenti alla categoria a rischio devono essere rivalutate anche durante l’ultimo trimestre di gravidanza. Alle future mamme con Chlamydia deve essere prescritta una terapia antibiotica con azitromicina e amoxicillina allo scopo di trattare l’infezione e ridurre la trasmissione per via verticale al proprio bambino.
Il ginecologo deve prescrivere una terapia antibiotica adeguata evitando la somministrazione di farmaci controindicati in gravidanza che hanno effetti teratogeni per il feto. Il medico che prescrive l’eritromicina estolato in gravidanza commette un errore poiché questo antibiotico è tossico per il fegato.
È compito del pediatra seguire dopo la nascita il bambino di mamma con infezione da Chlamydia diagnosticata in gravidanza.
Se la mamma è stata trattata in gravidanza il bambino deve seguire un follow up clinico al fine di rilevare precocemente l’insorgenza dei sintomi e trattarli.
Se invece la mamma non ha ricevuto la terapia antibiotica il bambino è a rischio di contrarre l’infezione e deve ricevere la terapia antibiotica nel momento in cui insorge la sintomatologia altrimenti è possibile verificare l’infezione da Chlamydia nel neonato attraverso la ricerca del batterio nell’aspirato naso faringeo e in caso di positività non esitare ad iniziare la terapia antibiotica.
In caso si omessa o ritardata diagnosi, se il pediatra non è in grado di riconoscere i sintomi della Chlamydia, omette l’esecuzione delle tecniche diagnostiche per confermare l’infezione, non avvia la terapia antibiotica o non intraprende un adeguato programma di follow up il bambino avrà una prognosi negativa.
A questo punto bisognerà individuare quali effettivi danni ha subito il piccolo (uno su tutti il danno biologico) e la sua famiglia (ad esempio danni non patrimoniali, danni economici, perdite di guadagno ecc.).
Le misure di prevenzione e controllo della Chlamydia
Essendo una malattia sessualmente trasmessa, la prevenzione della Chlamydia consiste in un corretto comportamento sessuale che prevede l’utilizzo di metodi contraccettivi di barriera i quali permettono di ridurre notevolmente il rischio di contagio da un partner all’altro.
I soggetti a rischio di contrarre la Chlamydia devono essere sottoposti ad uno screening per la ricerca della Chlamydia.
Sono da considerarsi soggetti a rischio coloro che hanno un’età minore di 25 anni, che hanno avuto dei rapporti non protetti con uno o più partner nuovi.
Lo screening per la ricerca della Chlamydia è raccomandato anche nel primo trimestre di gravidanza se la futura mamma è a rischio di contrarre tale malattia.
Con lo screening è possibile individuare i soggetti che presentano un rischio aumentato di contrarre la Chlamydia, se i test di screening sono positivi si deve procedere all’esecuzione di un prelievo di sangue venoso specifico per confermare la diagnosi di infezione.
Considerando che la Chlamydia può essere trasmessa per via verticale da mamma a bambino durante la gravidanza, non appena viene diagnosticata l’infezione alla futura mamma deve essere sottoposta ad una terapia antibiotica per prevenire che l’infezione venga trasmessa al bambino.
Un avvocato esperto in malasanità, coadiuvato da un medico legale e da un medico specialista, può capire se vi sia stato un errore nella diagnosi, nella prevenzione o nello svolgimento della terapia e, di conseguenza, se c’è responsabilità del medico, o dell’Ospedale (o del Pronto Soccorso, Asl, Asst, Ats) o della Clinica privata. Essenziale, in questa fase, risulterà l’esame della documentazione medica tra cui le analisi e gli esami prescritti, i medicinali assunti, la cartella clinica.