MORTE ENDOUTERINA DEL FETO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
Si definisce morte endouterina fetale (MEF) la morte del feto a partire dalla 22esima settimana di gestazione o, in caso di epoca gestazionale non nota, di feti di peso superiore ai 500 grammi.
Quali sono i fattori di rischio e le cause di MEF (Morte endouterina del feto)
La morte endouterina del feto è associata ad alcuni fattori di rischio rappresentati dall’età materna ai limiti (meno di 15 anni e più di 35 anni), dal fumo di sigaretta, dalla gemellarità, da una inadeguata assistenza prenatale.
Non sempre è possibile risalire all’eziologia della morte endouterina, ma tra le cause principali si possono annoverare:
- malformazioni fetali;
- fenomeni di compressione e/o stiramento del funicolo o nodi veri;
- malattie infettive di natura batterica o virale;
- distacco di placenta normalmente inserta;
- disordini ipertensivi;
- trombofilie materne;
- ritardo di accrescimento intrauterino;
- diabete;
- gestosi;
- indice di massa corporea (BMI) inferiore a 25
Dal punto di vista clinico la morte endouterina del feto può essere sospettata quando la paziente percepisce la scomparsa dei segni e dei sintomi associati alla gravidanza o, più spesso, si nota l’assenza dei movimenti fetali precedentemente percepiti.
L’ecografia rappresenta il metodo più immediato per confermare l’assenza di attività cardiaca e di movimenti fetali attivi.
Se l’evento si è verificato da diverso tempo, è inoltre possibile riscontrare dimensioni fetali inferiori alla norma per l’epoca della gravidanza, una notevole riduzione del liquido amniotico e un possibile accavallamento delle ossa craniche.
Quali sono le complicanze collegate alla MEF (morte endouterina del feto)
La complicanza più temibile della morte endouterina del feto è rappresentata dalla coagulazione intravasale disseminata o CID, innescata dal passaggio, prima nel liquido amniotico e poi nella circolazione materna, di materiale trombo-plastinico derivato dai tessuti del feto morto.
La probabilità che si inneschi una coagulazione intravasale disseminata dipende direttamente dal tempo nel quale il feto morto viene trattenuto in utero.
È comunque piuttosto raro che si abbia l’innesco di una coagulazione intravasale disseminata prima che siano passate almeno 4 settimane dalla morte del feto, e successivamente il rischio della complicazione è del 10-25%.
Cosa succede ad una paziente colpita da MEF (morte endouterina del feto)
Una volta che si è verificata una morte endouterina del feto, il travaglio del parto insorge spontaneamente entro 2 o 3 settimane.
Se si aggiunge il fatto che è piuttosto improbabile che si possa innescare una coagulazione intravasale disseminata entro 4 settimane dalla morte endouterina del feto, in questi casi viene proposto un atteggiamento di attesa del travaglio spontaneo, tenendo naturalmente sotto controllo l’assetto coagulativo della paziente al fine di evidenziare tempestivamente un inizio di CID (coagulazione intravasale disseminata).
Tuttavia, la recente disponibilità di efficaci presidi farmacologici finalizzati alla maturazione del collo uterino e all’induzione del travaglio, uniti alla necessità di far fronte ai problemi psicologici legati all’attesa da parte della coppia, rappresentano i fattori alla base dell’attuale tendenza ad un atteggiamento interventista.
La somministrazione vaginale di prostaglandine prima della 28ª settimana consente di ottenere nel 90% dei casi l’espulsione del feto e della placenta, alla quale è opportuno far seguire una revisione strumentale della cavità uterina per la rimozione dei residui placentari.
Se le condizioni della cervice uterina sono favorevoli, è indicata direttamente la somministrazione endovenosa di ossitocina per l’induzione del travaglio di parto.
Se invece il collo dell’utero è impreparato, l’infusione di ossitocina può essere preceduta dall’induzione della sua maturazione mediante l’applicazione intracervicale di PGE2 (prostaglandina E2, nota anche come dinoprostone) sotto forma di gel.
In tutti i casi è opportuno controllare lo stato coagulativo della paziente prima dell’induzione del travaglio, dal momento che gli effetti clinici di una coagulopatia da consumo possono esordire in modo drammatico con una emorragia post-partum.
Il parto vaginale rappresenta una modalità generalmente più sicura per la madre rispetto al taglio cesareo, anche in caso di pregresso taglio cesareo.