MORTE FETALE CONSEGUENTE AD UNA SCORRETTA GESTIONE OSTETRICA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
Il rischio di mortalità fetale, nonostante sia un evento per lo più raro, non deve mai essere escluso, soprattutto se la gravidanza è complicata da patologie materne, fetali o di entrambi.
La morte del feto in utero è un evento inaspettato che in alcuni casi non può essere né predetta né evitata come nel caso in cui siano presenti dei nodi veri del cordone ombelicale, evenienza rare. I nodi veri non sono altro che dei nodi veri e propri che si formano sul cordone ombelicale, probabilmente quando quest’ultimo ha una lunghezza maggiore di 80 cm e il feto, durante l’esecuzione di movimenti, fa dei giri su sé stesso provocando la formazione di questi nodi. Il cordone ombelicale contiene due arterie e la vena ombelicale: le arterie trasportano sangue poco ossigenato dal distretto fetale a quello materno mentre la vena ombelicale trasporta sangue ossigenato e nutrienti dal distretto materno a quello fetale. Se il cordone ombelicale presenta dei nodi, soprattutto se questi sono stretti e contengono uno scarso quantitativo di gelatina di Wharton (sostanza che impedisce ai vasi del cordone di collassare), il flusso di sangue ossigenato verso il feto sarà ridotto, se non addirittura assente.
Se il feto è poco ossigenato va in sofferenza fino al decesso. Non è possibile diagnosticare in corso di gravidanza la presenza di nodi veri del cordone ombelicale, ma la diagnosi viene fatta solamente dopo il parto. Non sempre la presenza di nodi è correlata alla morte fetale poiché se questi nodi sono lassi e il quantitativo di gelatina di Wharton è nella norma il feto non va incontro a questa complicanza.
In altri casi la morte del feto in utero può essere conseguente ad una scorretta gestione ostetrica sia della gravidanza che del travaglio di parto. Ciò si verifica quando non vengono rilevati dei processi patologici per i quali si rendono necessari dei controlli più frequenti al fine di monitorare il benessere fetale ed adoperarsi nel caso in cui si assiste ad una degenerazione del quadro clinico.
La morte fetale può anche verificarsi quando si mette in atto una condotta di attesa quando invece è necessario un intervento tempestivo, quando viene fatta una diagnosi errata e di conseguenza un trattamento sbagliato, quando si indugia in presenza di segni di grave sofferenza fetale per i quali si rende necessario espletare immediatamente il parto tramite taglio cesareo.
La gestione del ritardo di crescita intrauterina
Il ritardo di crescita intrauterina, conosciuto anche come IUGR, è caratterizzato dal mancato raggiungimento del potenziale di crescita da parte del feto a causa di un’insufficienza della placenta, organo che permette gli scambi di nutrienti e di sangue ossigenato tra madre e feto. Il rapporto tra il peso della placenta e il peso del feto è ridotto.
Nel caso di ritardo di crescita intrauterina il feto comincia a presentare segni di adattamento a questo quadro clinico al fine di compensare le carenze a cui è sottoposto.
Il ritardo di crescita fetale non deve essere scambiato con il feto piccolo per l’epoca gestazionale (SGA) poiché in quest’ultimo caso non sono presenti segni di adattamento fetale poiché probabilmente è dovuto alle caratteristiche antropometriche dei genitori e gli esiti perinatali, a differenza dello IUGR, sono normali.
Le cause fetali del ritardo di crescita intrauterino sono:
- malformazioni;
- anomalie cromosomiche e genetiche;
- infezioni, arteria ombelicale unica;
- gravidanza gemellare.
Le cause materne sono:
- patologie preesistenti;
- patologie della gravidanza come ad esempio preeclampsia, fumo, mala alimentazione, come anoressia e bulimia.
Le cause placentari infine sono:
- inserzione marginale della placenta;
- inserzione velamentosa;
- iperspiralizzazione del cordone.
Le complicanze del ritardo di crescita intrauterina oltre la morte endouterina fetale sono:
- prematurità;
- morte neonatale;
- paralisi cerebrale;
- sindrome da distress respiratorio;
- emorragia intraventricolare;
- retinopatia del prematuro.
La diagnosi di IUGR
Innanzitutto, affinché ci sia una corretta gestione del ritardo di crescita intrauterina è importante la diagnosi poiché se questa patologia non viene diagnosticata, la gravidanza sarà seguita come una gravidanza con decorso fisiologico senza che vengono eseguiti dei controlli più intensi e ravvicinati come è giusto che sia, al fine di monitorare al meglio la salute del feto.
La diagnosi di ritardo di crescita intrauterina viene fatta attraverso l’ecografia con la misurazione della circonferenza cranica, della lunghezza femorale, del diametro biparietale, della circonferenza addominale e della stima del peso fetale che può essere fatta attraverso una modalità dell’ecografo che permette di risalire al peso del feto dopo aver misurato queste strutture.
Il ritardo di crescita può essere simmetrico e asimmetrico. Si parla di ritardo di crescita simmetrico quando il feto smette di crescere sin dall’inizio della gravidanza, in questo caso il peso e la circonferenza cranica risulteranno essere minore del 10 percentile, tenendo come riferimento delle curve di crescita; mentre si parla di ritardo di crescita asimmetrico quando il bambino smette di crescere dopo la 16 esima settimana gestazionale, in questo caso la circonferenza cranica avrà delle dimensioni maggiori rispetto al resto del corpo e la stima del peso sarà sempre minore al 10 percentile.
Il primo organo ad essere suscettibile al ritardo di crescita è il fegato per cui si avrà una ridotta circonferenza addominale, la quale è un buon indicatore della crescita fetale. Se il feto non viene subito tolto dall’ambiente intrauterino aumenteranno i processi catabolici finalizzati alla produzione di energia proprio perché la sintesi epatica diminuisce.
La gravità del ritardo di crescita intrauterino può essere valutato anche con la flussimetria, ovvero con lo studio dei flussi sanguigni in corrispondenza di alcune importanti vasi sanguigni. Si avrà un ridotto flusso di sangue ossigenato verso il fegato, che come abbiamo detto è il primo organo ad essere suscettibile, mentre si avrà un aumentato flusso di sangue, come effetto di compenso, in corrispondenza dell’arteria cerebrale media, di conseguenza la circonferenza cranica sarà di dimensioni aumentate. L’aumentato rapporto tra volume cerebrale e volume epatico è indicatore della severità della patologia.
Quando il feto è in sofferenza si assiste ad una centralizzazione del circolo nota come fenomeno del “brain sparing”. Il feto tende a privilegiare gli organi nobili quali cuore, cervello e polmoni facendo in modo che il sangue ossigenato sia diretto verso quest’ultimi, a discapito degli organi periferici come ad esempio i reni. Se il flusso di sangue diretto verso i reni è ridotto, si avrà una ridotta produzione di urina e di conseguenza una ridotta quantità di liquido amniotico (oligoidramnios).
Il management del ritardo di crescita intrauterino
Dopo aver diagnosticato il ritardo di crescita intrauterino tramite questi metodi, la donna deve essere inserita presso un ambulatorio di gravidanza a rischio considerando che la gravidanza è complicata da una condizione per la quale non può più essere considerata a decorso fisiologico poiché vi è il rischio per la salute del feto.
Devono quindi essere programmati dei controlli frequenti e se vi è un peggioramento del quadro clinico i controlli devono essere ancora di più intensificati o la gravida può essere ricoverata in modo da tenere sotto stretto controllo il benessere fetale e adoperarsi se viene rilevato uno stato di sofferenza fetale.
Se i flussi sono completamente alterati è indicata l’estrazione del feto poiché è indicativo di ipossia per grave peggioramento della funzione placentare. Inoltre, può anche essere indotto il travaglio di parto a termine, ovvero dopo la 37esima settimana, se le condizioni del feto sono stabili per evitare un peggioramento del quadro clinico.
La gravidanza con ritardo di crescita intrauterina dopo aver fatto diagnosi, devono essere effettuati dei controlli frequenti e deve essere gestita e trattata correttamente al fine di evitare esiti avversi per il feto quali la morte endouterina dovuta ad un peggioramento del quadro clinico.
La morte endouterina del feto in seguito a ritardo di crescita è dovuta quindi ad una scorretta gestione.
L’interpretazione del tracciato cardiotocografico
Grazie al tracciato cardiotocografico è possibile rilevare il benessere fetale e segni di eventuale sofferenza fetale dovuta ad eventi ipossici e ad asfissia.
Il tracciato cardiotocografico è uno strumento che permette di registrare su carte il battito cardiaco del feto rilevato in continuo e l’eventuale presenza di contrazioni uterine in modo da capire come il feto reagisce a quest’ultime.
La cardiotocografia, quindi, valuta lo stato neurovegetativo del feto e la funzionalità cardiaca.
Il ginecologo e l’ostetrica devono essere capaci di interpretare correttamente il tracciato cardiotocografico in modo da distinguere un tracciato rassicurante, da uno sospetto o anomalo.
Nel caso di tracciato rassicurante la gestione clinica non prevede alcun tipo di intervento. Il tracciato è non rassicurante quando vi è una bassa probabilità di ipossia (riduzione dell’ossigeno negli organi periferici) o acidosi (riduzione del pH sanguigno) per cui l’intervento è volto a correggere le cause reversibili di ipossia e acidosi come cambiare la posizione materna evitando quella supina poiché il peso dell’utero gravido va a comprimere dei vasi sanguigni importanti che portano sangue ossigenato al feto, somministrare liquidi, somministrare ossigeno, somministrare farmaci betamimetici che riducono l’attività contrattile dell’utero. La gestione prevede uno stretto monitoraggio del benessere del feto o metodiche aggiuntive per valutare l’ossigenazione del feto.
Le altre tecniche utilizzate in associazione al tracciato cardiotocografico
Le metodiche aggiuntive per la rilevazione del benessere fetale sono:
- la stimolazione dello scalpo fetale: se il feto è in salute risponde con un’accelerazione dopo che viene stimolato lo scalpo;
- il campionamento del sangue fetale per rilevare il pH del sangue. Il pH è normale se è maggiore di 7.25, mentre è anormale se inferiore di 7.20;
- l’elettrocardiografo che permette un’analisi morfologica del segmento ST dell’elettrocardiogramma;
- Se si ha un sopraslivellamento ST il feto risponde all’ipossia, mentre se il segmento ST è negativo il feto non è in grado di rispondere e non ha avuto tempo di reagire.
Il tracciato è anormale quando vi è la possibilità che il feto sia in ipossia o acidosi, in questo caso l’intervento deve essere immediato ed è volto a correggere, come nel caso del tracciato non rassicurante, le cause reversibili o utilizzare metodiche aggiuntive per valutare lo stato di ossigenazione e se il quadro clinico non si risolve è raccomandato l’espletamento del parto il prima possibile.
Il battito cardiaco del feto deve essere rilevato di continuo nel caso in cui la gravidanza è complicata da malattie materne e/o fetali, se il battito cardiaco fetale non è rassicurante, se il travaglio di parto è prolungato, se la gravida ha febbre, se è in atto un’emorragia vaginale, in caso di induzione del travaglio di parto.
I possibili errori medici
In questo caso gli errori che possono portare alla morte del feto in utero sono:
- incapacità di interpretare il tracciato cardiotografico e di discriminare un tracciato rassicurante da uno non rassicurante o anomalo;
- mancata attuazione di manovre conservative in caso di tracciato non rassicurante o anomalo e mancato utilizzo di manovre aggiuntive per avere ulteriori informazioni sullo stato di ossigenazione fetale;
- mancata esecuzione del taglio cesareo in emergenza se lo stato di ossigenazione del feto non si risolve con le manovre conservative;
- mancata esecuzione del taglio cesareo dopo aver rilevato un grave stato di sofferenza fetale;
- mancata rilevazione del battito cardiaco fetale in continuo tramite cardiotocografia quando indicato.
Il management ostetrico del prolasso di funicolo
Il prolasso del funicolo è la discesa del cordone ombelicale, in seguito alla rottura delle membrane amniocoriali, davanti la testa del feto. Il prolasso di funicolo si distingue dalla procidenza del funicolo poiché quest’ultima si verifica quando le membrane sono ancora integre.
Quando questa condizione si verifica il cordone ombelicale risulta essere compresso tra la testa del feto e la pelvi della madre. Il cordone ombelicale contiene due arterie e la vena ombelicale, la quale trasporta sangue ossigenato dal distretto materno a quello fetale per cui non riceverà il quantitativo di ossigeno necessario. Se non viene immediatamente eseguito un taglio cesareo il feto è ad alto rischio di morte per asfissia a causa della compromissione del funicolo che impedisce il ritorno venoso al feto.
I fattori di rischio del prolasso di funicoli
I fattori di rischio del prolasso del cordone ombelicale sono:
- multiparità;
- basso peso fetale;
- situazione obliqua del feto o trasversa;
- aumento eccessivo del liquido amniotico (polidramnios);
- feto podalico;
- epoca gestazionale minore di 37 settimane gestazionali;
- manipolazione fetale;
- rottura provocata delle membrane (amniorexi).
La diagnosi del prolasso di funicolo
La diagnosi di prolasso di funicolo viene fatta con la visita ostetrica quando si sente pulsare il cordone ombelicale. Non appena viene diagnosticato il prolasso di funicolo con le dita su deve cercare di mantenere alta la testa del feto per evitare che quest’ultima comprima il cordone ombelicale e deve subito essere attivata l’emergenza così da adoperarsi e preparare tutto per l’espletamento del parto tramite taglio cesareo.
L’ostetrica e/o il ginecologo commettono un errore che può portare alla morte del feto se non riconoscono un prolasso di funicolo o se si perde tempo inutilmente per eseguire il taglio cesareo dopo aver fatto diagnosi.
Inoltre, devono essere riconosciuti i fattori di rischio e non deve essere praticata l’amniorexi ovvero la rottura delle membrane precocemente ovvero quando la testa del feto non ha ancora superato la prima parte del bacino della madre.
Il management ostetrico della distocia di spalla
La distocia di spalla avviene quando le spalle rimangono bloccate lungo il canale del parto. La distocia può essere di:
- primo tipo quando le spalle del feto non si confrontano con il bacino materno e quindi non lo oltrepassano;
- secondo tipo quando non avviene la rotazione interna e le spalle non oltrepassano lo stretto medio del bacino materno.
La distocia di spalla può causare la morte del feto perché quando questa avviene si viene a creare un gradiente pressorio fra la testa del feto che viene espulsa e il corpo che è ancora ritenuto perciò viene ostacolato il ritorno venoso dall’encefalo al cuore.
La diagnosi di distocia di spalla viene fatta quando, durante il travaglio, in seguito all’espulsione della testa del feto, non vengono espulse le spalle dopo almeno due contrazioni valide e quando il tempo che intercorre fra l’espulsione della testa del feto e l’espulsione delle spalle è maggiore di un minuto.
Altri segni della distocia di spalla sono:
- il segno della tartaruga (una volta espulsa la testa questa resta adesa alla vulva e tende a retarsi);
- il mancato movimento di rotazione esterna della testa del feto dopo la sua espulsione.
Non appena viene diagnosticata la distocia di spalla deve essere attivato un protocollo e devono essere effettuate una serie di manovre, dalla meno alla più invasiva, al fine di correggere la distocia. La risoluzione deve avvenire entro 7 minuti, periodo di tempo oltre il quale aumenta ulteriormente il rischio di vita per il feto.
Se le manovre non bastano a risolvere la distocia deve essere effettuato il taglio cesareo in emergenza.
L’ostetrica e/o il ginecologo commettono degli errori se non viene seguito il protocollo per la risoluzione della distocia di spalla, se questa non viene risolta entro 7 minuti e se le manovre non vengono eseguite correttamente.
L’infezione delle membrane amniocoriali
Le infezioni delle membrane amniocoriali possono portare alla rottura spontanea delle membrane amniocoriali perché i batteri le rendono più fragili.
I fattori di rischio per l’infezione delle membrane amniocoriali sono: infezioni croniche della cervice e della vagina, diagnosi prenatale invasiva, rottura prematura delle membrane.
I segni materni di infezione:
- sono febbre;
- tachicardia;
- aumento del numero dei globuli bianchi (leucocitosi);
- dolore uterino;
- liquido amniotico maleodorante;
Mentre i segni di infezione fetale sono:
- tachicardia;
La presenza di un’infezione può essere rilevata con questi segni e anche attraverso l’esecuzione di tamponi vaginali e cervicali che permettono di risalire all’organismo patogeno responsabile dell’infezione.
In assenza dell’antibiogramma, eseguito su un campione di liquido amniotico, devono essere somministrati antibiotici a largo spettro.
Nel caso di infezione delle membrane amniorcoriali deve essere espletato immediatamente il parto tramite taglio cesareo indipendentemente dall’epoca gestazionale perché è più rischioso per il feto portare avanti la gravidanza che affrontare i rischi della prematurità.
In presenza di:
- tachicardia fetale;
- febbre materna;
- tachicardia materna e aumento dei globuli bianchi deve sempre essere sospettata un’infezione.
L’ostetrica e il ginecologo commettono un errore se non eseguono il taglio cesareo dopo aver diagnosticato la presenza di un’infezione delle membrane amniocoriali perché può essere causa di morte fetale se si ritarda il parto. Un altro errore è quello di non riconoscere e sottovalutare i segni di infezione e, infine, la mancata somministrazione di antibiotici.