BETA-TALASSEMIA O ANEMIA MEDITERRANEA
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÀ
La Beta-talassemia è anche detta anemia mediterranea perché è la forma più comune di emoglobinopatie tra le popolazioni mediterranee. Si tratta di una patologia ereditaria autosomica recessiva, cioè si presenta quando sono alterate entrambe le copie di un gene. Il nome della talassemia deriva dalla catena emoglobinica la cui sintesi è deficitaria; in questo caso vi è una sottoproduzione delle catene di β globulina. La produzione di catene α non è impedita ma queste divengono instabili, si accumulano e precipitano.
Il gene talassemico può essere presente in forma:
- omozigote;
- eterozigote.
Quindi l’emoglobinopatia si manifesterà in maniera clinicamente diversa.
Allo stato omozigote per il gene β talassemico corrisponde la talassemia maior o anemia di Cooley, a quello eterozigote la talassemia minor. Quest’ultima può essere distinta, in base alla gravità delle manifestazioni cliniche, in talassemia intermedia e talassemia minima.
Nell’anemia di Cooley l’eritropoiesi (processo di formazione dei globuli rossi) è fortemente inefficace e si verifica una severa emolisi (distruzione dei globuli rossi). Nel feto però non si verificano alterazioni rilevanti della sintesi emoglobinica perché la maggior parte dell’emoglobina sintetizzata è di tipo fetale e quindi priva di catene beta. Questa protezione però scompare rapidamente dopo la nascita e i neonati affetti diventano anemici dai 3 ai 6 mesi di età.
La morte, nella forma precoce e grave del lattante, si verifica entro i primi due anni di vita, ad esempio per emosiderosi secondaria (patologia caratterizzata dall’abnorme accumulo di ferro nei tessuti). La malattia di Cooley è caratterizzata da tumefazione dell’addome per splenomegalia ed epatomegalia e si presenta pallore ingravescente, anoressia, febbricola e decadimento delle condizioni generali.
Distinguiamo oltre alla forma precoce, una forma cronica della seconda e terza infanzia caratterizzata da alterazioni ematologiche, viscerali e scheletriche che comporta il decesso entro il 10°-12° anno di vita e una rara forma mite dell’adulto. Quest’ultima ha un decorso lento e ingravescente caratterizzato da spiccate alterazioni scheletriche con decesso verso i 20-30 anni.
Tra le beta talassemie minor possiamo distinguere forme clinicamente asintomatiche che rappresentano la condizione di portatore sano e forme anemiche con varia sintomatologia (una malattia di Cooley attenuata).
L’anemia mediterranea in gravidanza
Se la donna raggiunge l’età della maturità sessuale una gravidanza è possibile soprattutto nelle forme meno gravi; il decorso dipende dalle condizioni generali della gestante e dal grado di correzione dell’anemia che si è riusciti ad ottenere. Si possono presentare però complicanze acute anche gravi come lo scompenso cardiaco della gestante a causa dell’emosiderosi. Nei casi osservati la malattia di Cooley ha un effetto deleterio sulla gravidanza, con un alto rischio di aborto, di morte fetale tardiva, di parto pretermine e di ritardo della crescita fetale. Inoltre, le trasfusioni possono determinare alloimmunizzazione materno – fetale e quindi il rischio di malattia emolitica del neonato.
Una gravidanza andrebbe programmata dopo una terapia ferrochelante intensiva (per mantenere i livelli di ferro al di sotto della soglia di tossicità) e durante la gravidanza bisogna evitare carenza di folati e di altre vitamine. Infine, durante il travaglio si deve evitare una condizione di ipovolemia (riduzione del volume di sangue circolante) tenendo sotto controllo le perdite ematiche e bisogna avere sempre un’adeguata assistenza anestesiologica e rianimatoria.
La prognosi dei malati beta – talassemici è oggi mutata grazie alla sempre maggiore diffusione dei trapianti di midollo osseo.
La diagnosi prenatale per la β talassemia viene effettuata mediante PCR su sangue fetale o Dna. Quindi viene studiata la sintesi delle catene emoglobiniche da parte degli eritrociti fetali (su sangue fetale prelevato con funicolocentesi eco guidata) o si adottano tecniche di analisi strutturale del Dna fetale (prelievo di cellule fetali con amniocentesi o biopsia dei villi coriali). Queste sono tecniche di diagnosi prenatale invasiva, per cui non sono esenti da rischi e sono da riservare a casi selezionati.
NIPT (screening prenatale non invasivo basato sul Dna)
Oggi è sempre più diffuso come test di screening il NIPT (screening prenatale non invasivo basato sul Dna): è stato dimostrato che a partire dal primo trimestre di gravidanza (dalla 10ª settimana) è presente nel circolo ematico materno Dna libero di origine fetale che può essere recuperato in maniera non invasiva (prelievo ematico materno) ed utilizzato per lo studio di alcune patologie fetali.
Come già detto il NIPT non è un test diagnostico, ma un test di screening, cioè non formula una diagnosi conclusiva, ma misura la probabilità che il feto presenti un’anomalia genetica. Quindi ogni risultato positivo di un NIPT dovrà essere confermato da una tecnica di diagnosi prenatale invasiva tradizionale. Questo test di screening è stato sperimentato anche nelle gravidanze a rischio per talassemia e per la fibrosi cistica. Infatti, nel caso delle malattie autosomiche recessive, nelle quali i genitori sono eterozigoti per mutazioni diverse, l’esclusione o la presenza dell’allele paterno possono essere utilizzate per precisare la probabilità che il feto sia affetto; tale probabilità viene esclusa in assenza della mutazione paterna, mentre aumenta quando è presente. In quest’ultimo caso, il genotipo del feto deve essere poi diagnosticato con una tecnica Inva.