IDROCEFALO NEL FETO E NEL NEONATO
ERRORE MEDICO E RISARCIMENTO DANNI – AVVOCATO MALASANITÁ
L’idrocefalo è una condizione pericolosa per il feto/neonato che indica la presenza di un’altra patologia grave e che può determinare serie complicanze se non viene trattata correttamente.
L’idrocefalo non è una patologia vera e propria ma una condizione che indica la presenza di altre patologie che affliggono il feto o il neonato e si manifesta con l’accumulo di liquido a livello dei ventricoli cerebrali; infatti il termine hydro in greco indica l’acqua mentre il termine képhalos indica la testa.
Questa presenza di liquidi causa una dilatazione dei ventricoli cerebrali, aumentando la pressione intracranica e danneggiando il tessuto cerebrale. I ventricoli cerebrali sono quattro cavità presenti nel cervello, che comunicano tra loro e contengono il liquido cefalo-rachidiano, anche detto liquor, che protegge il cervello e permette la distribuzione di sostanze nutrienti scorrendo nel midollo spinale; l’accumulo del liquido cefalo-rachidiano può essere causato da un’ostruzione che ne impedisce il deflusso (idrocefalo non comunicante) o da un’alterazione del riassorbimento del liquor (idrocefalo comunicante). Questa condizione è piuttosto rara e si presenta in circa lo 0,1% delle nascite.
Le cause dell’idrocefalo nel feto e nel neonato
L’idrocefalo è una condizione frequentemente associata a difetti di chiusura del tubo neurale o a traumi della nascita, tuttavia le causa all’origine di questa condizione clinica sono numerose e dall’origine variabile.
Tra queste troviamo:
- stenosi dell’acquedotto di Silvio: una delle più frequenti patologie ostruttive, determinato da una restrizione dell’acquedotto cerebrale che collega il terzo e il quarto ventricolo cerebrale;
- spina bifida: una patologia dovuta a un difetto di chiusura del tubo neurale. Lo sviluppo del tubo neurale può essere alterato in caso di deficit materno di acido folico, di cui l’integrazione in gravidanza è opportuna
- infezioni contratte dalla madre in gravidanza: ad esempio in caso di Citomegalovirus, la Toxoplasmosi o la Sifilide, patologie che vanno prevenute in gravidanza a causa dei gravi esiti che possono avere sullo sviluppo del feto.
- emorragia cerebrale: come in caso di emorragia intracerebrale ed emorragia intracranica, frequentemente associate ad un trauma della nascita, in particolare se il neonato è prematuro. Un’emorragia cerebrale può impedire il riassorbimento del liquor, causando l’idrocefalo
- encefalite: un’infiammazione dell’encefalo che viene generalmente causata da un’infezione (come nel caso dell’Herpes Simplex Virus contratto alla nascita)
- meningite: un’infiammazione delle meningi, spesso dovuta a una colonizzazione batterica (ad esempio se il neonato contrae un’infezione da Streptococco di Gruppo B). Anche in questo caso l’idrocefalo è causato a una difficoltà nel riassorbimento del liquor
- cisti endocranica: può determinare un’ostruzione che causa l’accumulo di liquido nei ventricoli cerebrali
- tumori cerebrali: rari nel neonato, ma possono ostruire il deflusso del liquor
- trauma cranico: frequente nel neonato prematuro, che presenta maggiore fragilità del cranio. Può essere dovuto all’esecuzione di manovre brusche durante la nascita o all’esecuzione di un parto operativo;
- malformazioni delle strutture craniche e cerebrali;
La causa dell’idrocefalia è strettamente correlata alla prognosi del neonato. Inoltre, l’identificazione della causa consente il trattamento della condizione patologica e non solo l’alleviamento del sintomo (l’accumulo di liquido).
Le complicanze dell’idrocefalo nel feto e nel neonato
La gravità delle conseguenze dell’idrocefalo dipende strettamente dalla quantità di liquor, dalla posizione della raccolta del liquor, come precedentemente citato, dalla causa che determina questa condizione. Dal momento che le ossa craniche del feto e del neonato non sono ancora saldate tra loro è possibile una parziale malleabilità del cranio del piccolo, che causa una maggiore alterazione del profilo morfologico della testa ma che permette l’instaurarsi di una minore pressione endocranica; questo fattore riduce nel neonato le complicanze strettamente legate all’aumento del gradiente pressorio in caso di idrocefalo, rispetto alla stessa condizione verificatasi in un adulto.
La posizione della raccolta del liquor è da considerare per la prognosi, poiché nei casi di idrocefalo ostruttivo il punto in cui si trova l’ostruzione può determinare grosse differenze nello sviluppo della patologia:
- se l’ostruzione si trova tra il primo e il secondo ventricolo, l’idrocefalo coinvolgerà un solo ventricolo cerebrale;
- se l’ostruzione si trova tra il secondo e il terzo i ventricoli coinvolti saranno due;
- se si trova tra il terzo e il quarto saranno tre mentre se l’occlusione si verifica oltre il quarto ventricolo l’idrocefalo coinvolgerà tutti e quattro i ventricoli cerebrali.
In questo modo è possibile distinguere la condizione clinica in:
- idrocefalo monoventricolare;
- idrocefalo biventricolare;
- idrocefalo triventricolare;
- idrocefalo tetraventricolare.
Se l’idrocefalo non viene diagnosticato e trattato in tempo, ma si lascia protrarre questa condizione nei primi giorni di vita del neonato, la sofferenza inflitta ai tessuti cerebrali può determinare alterazioni nello sviluppo psicomotorio del bambino, gravi complicanze visive e disturbi nel controllo muscolare, fino a provocare gravi disabilità nella vita adulta. Le complicanze sono estremamente difficili da prevedere e possono variare da soggetto a soggetto. Questi disturbi tuttavia possono migliorare se trattate efficacemente già dalla prima infanzia.
I fattori di rischio dell’idrocefalo nel feto e nel neonato
Tra i fattori di rischio da considerare maggiormente vi è quello dell’infezione. Se è noto che la donna abbia contratto un’infezione in gravidanza, come la Rosolia o la Toxoplasmosi, deve essere considerata la possibilità che il bambino manifesti complicanze relative a queste patologie, tra cui l’idrocefalo. La prevenzione è importante e la donna deve essere informata durante la gravidanza su come evitare il contagio ed effettuando gli esami routinari previsti in gravidanza per monitorare l’eventuale comparsa di queste patologie. In presenza di un’infezione, va immediatamente proposto un trattamento efficace per ridurre le complicanze fetali, compreso l’idrocefalo.
Una carenza di acido folico in gravidanza può determinare un difetto di chiusura del tubo neurale e quindi può dare origine a gravi patologie fetali (come la spina bifida) che possono causare idrocefalo. Questa condizione può essere prevenuta con l’assunzione di un integratore di acido folico, che deve essere consigliato a tutte le donne a inizio gravidanza o addirittura prima del concepimento, se la donna manifesta al medico il desiderio di una gravidanza.
Anche il consumo di alcolici in gravidanza è associato ad una maggiore incidenza di idrocefalia nel feto e nel neonato. È importante che il professionista che assiste la donna in gravidanza la informi sul rischio correlato all’assunzione di alcolici durante la gestazione e la inviti a sospenderne il consumo.
I sintomi dell’idrocefalo nel feto e nel neonato
Il sintomo principale è dettato dall’aumento della dimensione del cranio del feto all’ecografia o neonato alla visita pediatrica. L’aumento della circonferenza cranica è molto evidente in caso di idrocefalo dovuto a un’ostruzione, mentre in caso di alterazione del riassorbimento del liquor la sintomatologia può essere meno evidente.
A questo segno si possono associare sintomi quali:
- convulsioni o crisi epilettiche;
- difficoltà ad alimentarsi spontaneamente;
- deviazione dello sguardo verso il basso (noto come “segno del sole calante”);
- letargia;
- irritabilità;
- vomito;
- tensione a livello delle suture e delle fontanelle.
Dal momento che l’aumento della circonferenza cranica può non sempre essere evidente e che gli altri sintomi dell’idrocefalo sono aspecifici e spesso in comune con altre patologie (come in caso di infezione o di altre patologie neurologiche) talvolta il riconoscimento clinico di questa patologia può essere ostacolato, tuttavia la presenza di sintomi simili deve insospettire i medici e portare all’esecuzione di test diagnostici per riconoscere la condizione e identificarne le cause.
La presenza di altri sintomi può essere indicativa della patologia all’origine di questa condizione e un’attenta valutazione clinica può contribuire alla diagnosi.
La diagnosi dell’idrocefalo nel feto e nel neonato
I principali test diagnostici sono quelli che permettono di identificare la dilatazione dei ventricoli, di comprenderne la tipologia e di controllare l’evoluzione di questa condizione.
Tra queste tecniche vi è:
- l’ecografia:
- la risonanza magnetica nucleare (RMN);
- la tomografia computerizzata (TAC).
L’ecografia è la tecnica utilizzata per identificare l’idrocefalo durante la gravidanza. Questa metodica permette di misurare i diametri della testa fetale, ma anche di misurare la dilatazione dei ventricoli cerebrali.
L’ecografia transfontanellare può essere utilizzata nel neonato, osservando l’immagine del cranio attraverso le fontanelle del bambino, che sono ancora pervie e consentono un’osservazione migliore di quella che permetterebbe lo stesso esame eseguito su un individuo di maggiore età.
La risonanza magnetica nucleare e la tomografia computerizzata vengono in genere utilizzati su bambini più grandi, ma nei neonati può comunque aiutare a dare un inquadramento diagnostico più preciso ed a per pianificare l’intervento chirurgico, se necessario. In caso di comparsa di convulsioni, l’esecuzione di un elettroencefalogramma (EEG) può aiutare nella diagnosi.
La diagnosi dell’idrocefalo non può limitarsi ai riconoscimenti di questa condizione ma deve necessariamente prevedere anche l’identificazione della causa scatenante; nel caso di emorragia cerebrale o un trauma della nascita oppure di una patologia oncologica sarà necessario indagare ulteriormente sulle immagini encefaliche, mentre in caso di sospetta infezione sarà opportuno effettuare degli esami ematochimici.
È importante che l’idrocefalo non venga confuso con altre patologie dai sintomi simili, come l’emorragia intracranica, l’epilessia o la presenza di un tumore cerebrale.
Il trattamento dell’idrocefalo nel feto e nel neonato
Certe volte il trattamento più opportuno si limita al monitoraggio dell’evoluzione dell’idrocefalo, senza un intervento diretto. Questa opzione è possibile solo nei casi meno gravi, in cui l’idrocefalo tende a risolversi spontaneamente.
Per i casi di idrocefalo progressivo la terapia disponibile è generalmente chirurgica; l’intervento può mostrarsi necessario nel caso la pressione endocranica sia eccessiva. Le due tecniche chirurgiche principalmente impiegate in questi casi sono:
- la derivazione ventricolo-peritoneale;
- la terzoventricolocisternostomia.
Il primo intervento citato si esegue tramite l’inserimento di un catetere drenante che fa defluire il liquido cerebro-spinale dalla cavità dei ventricoli cerebrali fino al peritoneo, che si trova nella zona addominale, dove il liquido viene riassorbito. La presenza di una valvola consente di monitorare la pressione interna e riconoscere quando è opportuno eliminare il liquido in eccesso. Questa metodica è spesso complicata nell’utilizzo sui neonati perché con la crescita del bambino è necessario sostituire il catetere sottoponendo il piccolo a numerosi interventi chirurgici.
La terzoventricolocisternostomia
La terzoventricolocisternostomia è invece una procedura che viene eseguita in endoscopia, ovvero praticando dei piccoli fori nel cranio e utilizzando una mini-telecamera per guidare l’operazione. Viene effettuato un foro alla base del terzo ventricolo per permettere al liquor di defluire nelle cisterne liquorali alla base del cranio e di non accumularsi in sede ventricolare.
Questa tecnica, che non prevede la necessità di dover ripetere più volte l’intervento come invece accade nel caso della derivazione ventricolo-peritoneale, non è adatta a tutti i casi clinici e i neonati candidabili a questo intervento vanno selezionati.
Entrambe le tecniche chirurgiche prevedono dei rischi per il bambino, tra cui quello infettivo, in particolare se l’intervento non viene eseguito rispettando le norme di sterilità previste dalla chirurgia. Quando viene eseguita una derivazione ventricolo-peritoneale bisogna considerare anche la possibilità che il catetere si ostruisca e non consenta il drenaggio del liquor, obbligando a ripetere l’intervento. Se il drenaggio del liquor è eccessivo può verificarsi il collasso del ventricolo cerebrale, che potrebbe dare origine a un ematoma subdurale. Se invece il drenaggio non è sufficiente, la sintomatologia da idrocefalo può ripresentarsi. È importante che i genitori del bambino vengano informati sui possibili rischi che l’operazione chirurgica può implicare per il bambino e che dichiarino il loro consenso all’intervento.
A seguito dell’intervento, il neonato deve essere seguito nelle fasi dello sviluppo, per monitorare l’efficacia del trattamento e considerare eventuali esiti lasciati dall’idrocefalo. La valutazione dello sviluppo cognitivo del bambino è fondamentale, così come quella del progresso motorio e dell’articolazione del linguaggio. Nel caso si riscontrino anomalie i genitori del bambino devono essere indirizzati alle cure di uno specialista che possa trattare il disturbo per offrire al piccolo la migliore prospettiva di vita.